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Industria dei beni di consumo: “La sfida: trasformazione digitale”


di Mariateresa MastromarinoBOLOGNAAnalisi, interventi e spunti per affrontare le sfide dell’industria dei beni di consumo, facendo luce sulla trasformazione digitale e sullo scenario economico imprenditoriale. Si è svolto nella sede del Resto del Carlino ‘Industria dei beni di consumo ed evoluzione del contesto competitivo. Strumenti e soluzioni per la trasformazione digitale’, evento organizzato da Ibc in collaborazione con Qn Economia, Confindustria Emilia, GS1 Italy e la società di consulenza Deloitte, che si inserisce nel piano di iniziative di Ibc (Associazione industrie beni di consumo) per promuovere l’innovazione delle imprese associate, con focus sulle piccole e medie, rafforzando la collaborazione tra i comparti produttivo e distributivo. Dopo gli interventi della direttrice Agnese Pini e del vicedirettore Valerio Baroncini, la parola passa a Flavio Ferretti, presidente di Ibc e ad Noberasco: “Delle 35mila aziende nostre associate – inizia –, 20mila sono micro e piccole imprese, al di sotto del milione di fatturato annuo”. Per accompagnare queste realtà nel processo evolutivo, Ibc e Cerved hanno siglato una partnership attraverso la piattaforma ‘Cerca il bando’, che raggruppa i bandi disponibili in Italia: “Raggiungere gli obiettivi di maggiore digitalizzazione e modernità nei processi logistici – aggiunge Ferretti – è necessario per portare le nostre aziende a livelli più alti”. Anche perché quando si parla di “digitalizzazione – sottolinea –, ci scontriamo con il credo che questo si traduca in investimenti irraggiungibili”. “La digitalizzazione è fondamentale per il nostro dna – dicono Marco Corbelli, operation manager finanza agevolata, e Massimiliano De Martino, responsabile area finanza agevolata Cerved –. Cerved segue l’impresa in tutte le sue fasi e vogliamo aiutare sempre più aziende nelle agevolazioni per l’aumento tecnologico, migliorando la loro efficienza”.

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A parlare di scenari economici è Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma. “L’industria dei beni di largo consumo in Emilia-Romagna è molto importante: pesa quasi il 20% sui valori socio economici legati all’intero manifatturiero – inquadra –. Un tessuto di oltre 4.700 aziende che genera un fatturato superiore ai 45 miliardi di euro. Siamo in una fase critica, legata alla congiuntura ancora negativa dei consumi”. A preoccupare è “l’export che per i beni di consumo vale, in regione, oltre 10 miliardi di euro, con una crescita superiore al 50% negli ultimi anni. Gli Stati Uniti rappresentano un terzo del mercato di destinazione. L’Emilia Romagna è meno esposta al mercato americano, parliamo di circa il 10% sul totale dell’export dei beni di consumo, mentre la Sardegna supera il 50% e la Campania il 20%”. E tutti devono fare i conti con l’incognita dazi.

Da un recente sondaggio su 300 Pmi, spiega Pierpaolo Mamone, consumer products sector leader di Deloitte, emergono tre esigenze: “contenimento della base costi per frenare la spinta inflazionistica, consolidare i ricavi cercando nuovi mercati e adattarsi a questo clima di enormi incertezze”. Mentre sul fronte innovazione un’azienda su due non l’avvierà o non la vuole avviare per gli “ingenti investimenti economici e mancanza di competenze tecnologiche interne”. A supportare le aziende c’è, però, GS1 Italy, organizzazione dedicata allo sviluppo di standard “per abbassare le barriere tecnologiche ed eliminare la complessità degli strumenti e renderli accessibili alle imprese – spiega Andrea Ausili, Cio, standards and innovation director –. I nostri strumenti portano fiducia tra le aziende e ai consumatori, garantendo interoperabilità”. La mattinata di lavori si è chiusa poi con la tavola rotonda che ha messo a confronto Stefano Baraldi, general manager Emilia Foods, Domenico Brisigotti, direttore generale Coop Italia, Gianpiero Calzolari, presidente Granarolo e Pier Paolo Rosetti, direttore generale Conserve Italia.



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