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danni da 28mila miliardi di dollari per colpa di 111 aziende


Negli ultimi anni, il cambiamento climatico ha smesso di essere un rischio astratto per diventare una realtà economica tangibile. Ondate di calore letali, incendi boschivi sempre più estesi, siccità croniche e alluvioni improvvise stanno colpendo in modo crescente territori, comunità e infrastrutture, con costi economici enormi. A fronte di questa crisi sistemica, cresce il numero di governi e comunità che cercano di far valere il principio del “chi inquina paga”, portando in tribunale le grandi aziende responsabili delle emissioni climalteranti. Ma uno degli ostacoli principali rimane la difficoltà di provare, in modo scientificamente solido, il nesso causale tra le emissioni di una singola azienda e i danni subiti.

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Ora, un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature segna un punto di svolta. Secondo i ricercatori del Dartmouth College e della Stanford University, le ondate di calore causate da anidride carbonica e metano emessi da 111 aziende sono costate all’economia globale 28.000 miliardi di dollari tra il 1991 e il 2020. Di questi, 9.000 miliardi sono direttamente attribuibili alle cinque aziende con le emissioni più elevate.

Lo studio introduce un nuovo modello di attribuzione climatica, che consente di collegare specifici danni economici alle emissioni di singole imprese fossili, basandosi su un criterio causale definito “but for” (ma se) — ossia: un evento climatico estremo non si sarebbe verificato “se non fosse stato per” le emissioni di una determinata azienda.

«Sosteniamo che il caso scientifico sulla responsabilità climatica sia chiuso, anche se il futuro di questi casi rimane una questione aperta – afferma Justin Mankin, autore senior dello studio e professore associato presso il Dipartimento di Geografia del Dartmouth College –  Il nostro framework è in grado di fornire solide attribuzioni di danni climatici basati sulle emissioni a livello aziendale. Questo dovrebbe aiutare i tribunali a valutare meglio le richieste di risarcimento per le perdite e i disagi derivanti dai cambiamenti climatici causati dall’uomo».

Nel dettaglio, secondo i calcoli dei ricercatori, l’azienda con le emissioni più elevate tra quelle analizzate, la Chevron, potrebbe essere ritenuta responsabile di danni economici legati al caldo per un valore compreso tra 791 e 3.600 miliardi di dollari nel periodo considerato.

«I nostri risultati dimostrano che è effettivamente possibile confrontare il mondo attuale con un mondo privo di singoli emettitori –  dichiara Christopher Callahan, primo autore dello studio, che ha iniziato il lavoro come dottorando nel gruppo di ricerca di Mankin – La prosperità dell’economia occidentale si è basato sui combustibili fossili, ma proprio come un’azienda farmaceutica non può essere assolta dagli effetti negativi di un farmaco grazie ai benefici che ne derivano, le aziende produttrici di combustibili fossili non dovrebbero essere scusate per i danni che hanno causato, dalla prosperità che i loro prodotti hanno generato».

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Lo studio rappresenta un salto di qualità nella cosiddetta scienza dell’attribuzione climatica, un settore in rapida evoluzione che cerca di collegare eventi estremi e fenomeni climatici a precise cause antropiche. Il nuovo modello supera i limiti degli approcci precedenti, che si basavano su misurazioni atmosferiche aggregate e difficilmente attribuibili a fonti specifiche. Qui, invece, il calcolo parte dalle emissioni aziendali documentate, simulate all’interno di modelli climatici per confrontare il mondo reale con un mondo alternativo in cui tali emissioni non sono mai state rilasciate.

Questa metodologia ha già trovato applicazione concreta nel Climate Superfund Act del Vermont, approvato dopo le devastanti alluvioni del 2023. La legge consente allo Stato di richiedere alle aziende fossili un contributo economico per i danni ambientali scientificamente collegabili alle loro emissioni. Sebbene sia oggetto di contestazione legale, il provvedimento si basa anche sulle evidenze fornite proprio da questo studio.

«Il caldo estremo è indissolubilmente legato al cambiamento climatico stesso, e le perdite che ne derivano sono state motivo di rivendicazioni legali. Quindi, è un’occasione ovvia per illustrare l’ampia applicazione del nostro approccio – osserva Mankin – Questa analisi non è un esercizio predittivo in cui ci chiediamo cosa ci riserva il futuro. È piuttosto uno sforzo documentale in cui mostriamo cosa è già successo e ne spieghiamo le ragioni».

Uno strumento potente, dunque, per documentare e quantificare le responsabilità storiche delle grandi imprese nei confronti della crisi climatica. E, forse, anche per cominciare a presentar loro il conto.



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