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Dazi, scoppia il caso di Amazon. La Casa Bianca: atto ostile e politico. Poi il chiarimento con Bezos


di
Giuliana Ferraino

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Trump sente Bezos al telefono e il gruppo precisa: mai voluto esporre il costo delle tariffe. La fiducia dei consumatori scende ai minimi da 5 anni e il deficit commerciale a marzo si amplia a 162 miliardi (92,8 miliardi un anno fa)

Dazi, accuse politiche, aziende in allarme: l’America di Trump, al suo centesimo giorno di mandato, entra in una fase di alta tensione. E al centro della tempesta c’è Amazon. La Casa Bianca ha accusato pubblicamente il gruppo di Jeff Bezos di un «atto ostile e politico» per aver ipotizzato di segnalare sulla sua piattaforma l’aumento dei prezzi provocato dai dazi. Dopo una telefonata tra Trump e Bezos, la precisazione del colosso dell’e-commerce: «Mai approvata né prevista una simile misura».

Tutto è cominciato dopo che Punchbowl News ha riportato l’intenzione di Amazon di segnalare sul prezzo di ogni prodotto l’impatto diretto delle tariffe Trump. La risposta della Casa Bianca non si è fatta attendere: sventolando la foto di Bezos, Leavitt ha accusato Amazon di «un atto ostile» davanti a stampa e telecamere, mentre accanto a lei il segretario del Tesoro, Scott Bessent, restava immobile. E ha chiesto provocatoriamente perché non avesse adottato una simile trasparenza «quando l’inflazione con l’amministrazione Biden era esplosa al livello più alto in 40 anni». 




















































Amazon poi ha chiarito che l’ipotesi riguardava solo la sua piattaforma a basso costo Haul, creata lo scorso novembre per competere con le cinesi Temu e Shein: vendendo a prezzi stracciati prodotti provenienti dalla Cina, i dazi del 145% imposti da Trump avrebbero fatto aumentare enormemente i prezzi. Ma la discussione non ha mai coinvolto il sito principale, ha precisato la società di Seattle. Che invece avrebbe fatto pressione sui fornitori cinesi per contenere i prezzi finali.

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Nonostante il chiarimento, che ha permesso al titolo Amazon di recuperare in Borsa, chiudendo a .0,42% dopo un iniziale -2%, la tensione resta alta. Jeff Bezos, di recente, è riuscito a riavvicinarsi a Trump, che in passato aveva definito una «minaccia per la democrazia». Prima con l’indicazione al Washington Post, il quotidiano di cui è editore, di non appoggiare la democratica Kamala Harris in corsa contro Trump alla elezioni presidenziali dello scorso novembre; poi con il contributo di un milione di dollari donato al fondo per l’organizzazione dell’inaugurazione presidenziale, a cui Bezos ha presenziato in prima fila, insieme a tutti gli altri protagonisti di Big Tech — da Mark Zuckerberg (Meta) a Sundar Pichai (Google), da Tim Cook (Apple) a Elon Musk (Tesla e SpaceX) — accompagnato dalla fidanza Lauren Sanchez, che sposerà a giugno a Venezia. Altri gesti conciliatori includono l’acquisto per 40 milioni da parte di Amazon di un documentario sulla first lady Melania e la decisione di trasmettere episodi del reality show di Trump «The Apprentice» su Prime Video

Ma c’è una strana coincidenza: il caso Amazon, con le dure accuse della Casa Bianca, è esploso proprio mentre Bezos si prepara a fare concorrenza a SpaceX e Starlink di Elon Musk con il progetto Kuiper, ieri al debutto con il lancio dei primi 27 satelliti a bassa orbita. Solo una casualità? In un contesto in cui i confini tra economia, geopolitica e interessi strategici si fanno sempre più labili, anche un semplice caso smette di essere neutrale e diventa parte del conflitto. 

La linea di «incertezza strategica», rivendicata dalla Casa Bianca come leva negoziale per riscrivere le regole del commercio internazionale, rischia di trasformarsi in un boomerang. La fiducia dei consumatori americani si erode: ad aprile è scesa ai minimi da 5 anni. Le aziende rinviano investimenti e decisioni: Gm, ad esempio, ha sospeso un buyback e ritirato la guidance sull’andamento di quest’anno per troppa incertezza, come hanno fatto molti altri gruppi, mentre Ups taglierà 20 mila posti di lavoro. Il deficit commerciale Usa si amplia anziché ridursi, salendo a 162 miliardi di dollari a marzo rispetto ai 92,8 miliardi di un anno fa, per la corsa ad accaparrarsi merci prima del cosiddetto «Liberation Day» del 2 aprile, con l’entrata in vigore delle sovrattasse doganali, poi ridotte al 10% per 90 giorni (Cina esclusa). 

Così, per evitare il congelamento di assunzioni e piani di sviluppo in un settore cruciale come quello automobilistico, l’amministrazione Usa ieri è stata costretta a fare un’altra marcia indietro sui dazi, introducendo esenzioni per l’automotive. I dazi sui pezzi di ricambio, ad esempio, saranno parzialmente rimborsabili fino al 15% del valore dei veicoli assemblati negli Usa, ha annunciato il segretario al commercio Howard Lutnick. 

È la cronaca (parziale) di un anniversario amaro per la presidenza Trump: 100 giorni segnati da preoccupazioni crescenti e un futuro sempre più incerto. Dentro e fuori gli Stati Uniti.

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29 aprile 2025

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