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La nuova era della NATO: meno America, più Europa?


Era stato Franklin D. Roosevelt il primo presidente ad usare i 100 giorni iniziali del proprio mandato per dare il segno della svolta che intendeva imprimere al paese, e JFK aveva rilanciato l’idea, facendone da allora una specie di parametro per ogni nuova amministrazione. E non c’è dubbio che Trump 47 abbia ripreso in grande stile quella tradizione (anche più di Trump 45), andando perfino oltre le previsioni della vigilia. E tuttavia, almeno finora, non lo ha fatto su uno dei dossiers su cui molti attendevano invece una sua offensiva: la NATO.

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Certo, ci sono state azioni ed esternazioni della nuova amministrazione che hanno lasciato capire che Washington non investirà più di tanto nell’Alleanza e richiederà agli europei di farsi sempre più carico della loro sicurezza e difesa: lo hanno detto a più riprese sia il vicepresidente J.D. Vance e il segretario alla difesa Pete Hegseth sia, con toni meno ruvidi, il segretario di stato Marco Rubio. Ma, a parte l’intimazione ad aumentare considerevolmente le spese militari, non ci sono ancora state prese di posizione chiare, nette e dirette sul futuro della NATO, anche se il disimpegno del titolare del Pentagono dal gruppo ‘Ramstein’ che coordina gli aiuti militari all’Ucraina è stato notato. Chi lavora all’interno dell’organizzazione riferisce che il Consiglio Atlantico ha finora evitato accuratamente di discutere del tentativo di Trump di negoziare un cessate il fuoco nel conflitto russo-ucraino o delle sue stesse uscite nei confronti di alleati come il Canada e la Danimarca. Da parte degli europei, a cominciare dal nuovo segretario generale Mark Rutte, c’è insomma un’evidente volontà di non aprire una discussione pubblica sull’Alleanza – con esiti imprevedibili – prima di aver meglio capito l’eventuale strategia di Trump, al di là degli sfoghi sui presunti ‘freeloaders’ e delle reticenze ad offrire supporto ad un’eventuale “forza di rassicurazione” europea in Ucraina.

Con l’approssimarsi del summit previsto per fine giugno all’Aja, tuttavia, sarà inevitabile discutere almeno alcuni aspetti dell’eventuale transizione verso una NATO meno americana e più europea – il ‘burden-shifting’ che era stato auspicato da alcune think tanks vicine alla campagna presidenziale di Trump –  se non altro per evitare crisi come quella scoppiata al vertice del 2018 a Bruxelles. Il Consiglio Atlantico dovrà discutere, ad esempio, di target di spesa per gli alleati: fra il 2% del PIL grosso modo raggiunto (in media) l’anno scorso e il 5% menzionato da Trump la distanza è enorme, ma un possibile compromesso potrebbe alzare l’asticella al 3% e anche oltre, a condizione che l’orizzonte temporale non sia troppo ravvicinato o dettagliato. Si dovrà anche discutere del bilancio stesso dell’organizzazione, ed è probabile che Washington annunci da subito una drastica riduzione del proprio contributo (attualmente attorno al 16% del totale), sollecitando gli altri alleati a coprire la differenza ovvero a ridurre costi, ambizioni, mezzi e personale. E si dovrà discutere pure di cariche, a cominciare dal nuovo comandante militare in capo dell’Alleanza, che è tradizionalmente americano (il mandato di Christopher Cavoli scade in estate): l’eventuale nomina di un generale europeo, ipotizzata di recente sui media, non avrebbe però solo un valore simbolico ma comporterebbe anche un disimpegno di fatto delle forze USA, che non hanno mai servito sotto comando straniero (se non per pochi mesi durante la prima guerra mondiale).

Sarà anche importante capire quali conseguenze avrà, per le truppe e le basi americane in Europa (anche al di fuori della NATO), la spending review in corso da parte di DOGE a livello federale: non è un caso che alcuni alleati, soprattutto dai paesi più esposti alla minaccia convenzionale russa, abbiano già sollecitato Washington a discutere possibili modalità e tempi di un eventuale ri-dispiegamento della presenza e delle capacità americane, in modo da evitare pericolosi vuoti strategici.

E tuttavia l’impressione é che, al di là di tutto questo, sarà soprattutto il bigger picture legato al decorso del conflitto russo-ucraino, da un lato,  e della disputa transatlantica sui dazi, dall’altro, a determinare l’atmosfera in cui si svolgerà il vertice di giugno. I primi 100 giorni di Trump 2.0 non hanno ancora indicato una traiettoria definita, solo un’attitudine d’insieme accoppiata alla consueta imprevedibilità e volatilità di un presidente stavolta senza più guard-rails – rispetto alle quali gli europei sono comunque chiamati ad elaborare proposte ed opzioni per rendere la NATO quanto più possibile non solo Trump-proof ma, probabilmente, anche America-proof.



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