La proposta di defiscalizzare il lavoro nelle aree montane è un tema centrale del dibattito su Redacon, con la consigliera regionale Anna Fornili che segnala come la proposta della Regione Emilia-Romagna sia ferma in Parlamento, e con Mattia Casotti (Lega) che riferisce di seguire l’iter della legge e annuncia alcune novità, sebbene la defiscalizzazione non sia ancora considerata il cuore del problema.
L’Italia è un Paese ricco di straordinarie risorse naturali e culturali, eppure le aree montane, che occupano circa il 62% del territorio nazionale, continuano a subire un progressivo spopolamento. L’Appennino reggiano è un esempio emblematico: borghi un tempo floridi (ricordiamo Vagli , Gazzano, Cerreto, Cola,….) stanno progressivamente perdendo i loro abitanti, con effetti economici e sociali tangibili. Le attività economiche faticano a sopravvivere, mentre il territorio rischia di essere abbandonato.
Le fasce dell’Appennino e il ruolo del lavoro
Come sottolinea Claudio Bucci, l’Appennino può essere suddiviso in tre fasce:
- Il crinale, in forte sofferenza e con un significativo calo demografico.
- La fascia centrale, attorno a Castelnovo – Carpineti, che riesce a mantenere una relativa stabilità (sebbene alcuni comuni, come Vetto, siano in difficoltà).
- La fascia bassa, che mostra addirittura segnali di crescita demografica e sviluppo del mercato immobiliare.
Anche se nel complesso c’è un significativo calo demografico in 20 anni, nel dettaglio perché il crinale soffre mentre la fascia bassa cresce? La risposta è semplice: la vicinanza alla città e la presenza di opportunità di lavoro. Comuni come Casina, ad esempio, offrono una qualità della vita paragonabile a quella delle aree di crinale, ma con il vantaggio della comodità rispetto ai centri urbani, dove è più facile trovare impiego. È dunque il lavoro a fare la differenza.
Le conseguenze dello spopolamento
Come segnala puntualmente ogni inizio anno il mensile Tuttomontagna, negli ultimi decenni molte comunità montane hanno visto una drastica riduzione della popolazione. I giovani, in particolare i laureati, emigrano verso le città o addirittura all’estero in cerca di opportunità che valorizzino le loro competenze, lasciando dietro di sé paesi sempre più vuoti e servizi essenziali in crisi.
Questa situazione ha effetti negativi anche sui servizi pubblici (ospedali, scuole, trasporti), che faticano a mantenersi operativi con un numero ridotto di utenti, generando un circolo vizioso che rende ancora meno attrattivo restare.
Oltre agli aspetti sociali, lo spopolamento incide anche sull’ambiente: la gestione delle foreste e dei terreni agricoli diminuisce, aumentando il rischio di frane, incendi e un generale degrado del territorio. Di contro ci sono progetti coraggiosi che mirano a riconoscere gli importanti servizi ecosistemi che le foreste generano. È altresì evidente che senza presidi umani, la montagna perde il suo equilibrio naturale, con conseguenze difficilmente reversibili.
Come potrebbe funzionare la defiscalizzazione?
Ne abbiamo accennato nei giorni scorsi con Elio Pierazzi, sindaco di Frassinoro, comune del quale ora ci occupiamo. Una defiscalizzazione mirata potrebbe prevedere:
- riduzione delle imposte per imprese e lavoratori, incentivando la creazione di attività economiche nelle aree montane.
- azzeramento degli oneri contributivi per i giovani imprenditori e lavoratori nei primi anni di attività, favorendo nuove iniziative.
- supporto economico per il trasferimento, incoraggiando il ritorno nei borghi.
- semplificazione burocratica, riducendo gli ostacoli per la nascita di nuove attività e investimenti, anche nell’area di tutta la MAB UNESCO.
Queste misure potrebbero rivitalizzare il mondo della libera professione, degli esercizi commerciali, delle aree artigianali e industriali.
Esempi di successo in Italia e nel mondo
Non si tratta di un’idea utopica. Diversi Paesi hanno già sperimentato politiche simili con buoni risultati: in Francia: alcune regioni montane hanno ricevuto incentivi fiscali per sostenere agricoltura e turismo, con impatti positivi sull’occupazione; in Spagna: il governo ha incentivato il ritorno dei giovani nelle campagne, finanziando startup rurali; in Italia: alcune Regioni a statuto speciale, come il Trentino-Alto Adige, hanno adottato politiche di sostegno alle imprese di montagna, contribuendo a mantenere vivo il tessuto economico locale.
Le sfide da affrontare
Attuare una defiscalizzazione strutturale non è privo di ostacoli. Sono necessari però una forte volontà politica, perché la montagna non rappresenta la maggioranza né nel Paese né nel Parlamento. Quindi investimenti mirati, per evitare interventi spot senza impatti duraturi. Infine, una gestione attenta, affinché gli incentivi siano utilizzati in modo strategico e produttivo. La senatrice Leana Pignedoli rivendicava con orgoglio la sua appartenenza al Gruppo Amici della Montagna del Parlamento Italiano, che un tempo contava quasi 200 parlamentari impegnati nella tutela delle aree montane. Se fosse ancora attivo, potrebbe ripartire proprio da queste proposte basilari, in perfetta sintonia con l’Agenda 2030 dell’UNESCO.
Un’opportunità da cogliere
L’impressione è che la montagna italiana sia spesso dimenticata nei grandi interventi nazionali. Tuttavia, una strategia fiscale mirata potrebbe finalmente invertire la tendenza, trasformando territori in difficoltà in poli di sviluppo sostenibile e inclusivo.
La defiscalizzazione del lavoro nelle aree montane italiane rappresenterebbe una svolta decisiva per il futuro di questi territori. Non si tratta solo di una questione economica, ma di un intervento necessario per preservare il patrimonio culturale e naturale del Paese. Perché ivestire sulla montagna significa investire sull’Italia.
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