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Il diritto al lavoro come fondamento di cittadinanza: una sfida ancora aperta


Nella ricorrenza del Primo Maggio, la riflessione sul diritto al lavoro si impone con rinnovata urgenza, chiamando in causa non solo la tenuta del nostro sistema produttivo, ma soprattutto l’effettività dei principi costituzionali che lo fondano. L’articolo 1 della Costituzione, nel sancire che «l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro», non si limita a enunciare un valore astratto, ma stabilisce un nesso indissolubile tra lavoro, dignità della persona e partecipazione alla vita sociale. Eppure, a fronte di tale solenne proclamazione, permangono criticità profonde che ne ostacolano la piena realizzazione, in particolare per le persone con disabilità e per i lavoratori esposti a rischi professionali. 

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L’accesso al mondo del lavoro per le persone con disabilità rappresenta una questione che travalica la semplice dimensione occupazionale per investire la sfera più profonda dell’essere cittadini. Non si tratta soltanto di garantire un reddito, ma di riconoscere la piena titolarità di diritti e la concreta possibilità di partecipare alla vita sociale su base paritaria. Questo principio, radicato nella nostra Costituzione e nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, svela tutta la sua portata rivoluzionaria quando si considera come il lavoro costituisca il principale veicolo per costruire un’identità autonoma, svincolata dalla riduttiva percezione della menomazione. 

La persistenza di barriere culturali e organizzative, nonostante la Legge 68/1999, continua a negare a molti cittadini con disabilità questa fondamentale opportunità di autorealizzazione. A distanza di oltre vent’anni dalla sua promulgazione, il quadro normativo disegnato dalla Legge 68 appare oggi in parte inadeguato a rispondere alle trasformazioni del mercato del lavoro, sempre più caratterizzato da flessibilità, digitalizzazione e nuove forme di organizzazione del lavoro. I dati del XXIV Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva del Cnel dipingono un’Italia dalle molteplici contraddizioni: se da un lato si registra una timida crescita occupazionale (+0,5% nei primi nove mesi del 2024), dall’altro persistono criticità strutturali che ne limitano la qualità e l’inclusività. I dati rivelano un sistema in cui la precarietà rimane la principale porta d’accesso al mondo del lavoro, con profonde disparità di genere e geografiche che continuano a caratterizzare il panorama occupazionale nazionale.

Gli ostacoli all’inclusione lavorativa

Sulla condizione di disabilità, i dati mostrano come gli ostacoli all’inclusione lavorativa operino su molteplici livelli: dai pregiudizi sulla produttività alla carenza di accomodamenti ragionevoli, dalle difficoltà nei percorsi di inserimento alla mancata accessibilità degli ambienti, fino alla scarsa considerazione delle potenzialità offerte dallo smartworking e dalle nuove tecnologie abilitanti. 

Ancora oggi, purtroppo, l’inclusione lavorativa rappresenta una sfida irrisolta, come evidenzia il preoccupante quadro emerso dal Rapporto Cnel. Le persone con disabilità continuano a incontrare difficoltà nell’accesso al mondo del lavoro: solo il 33% di quelle con limitazioni gravi e il 57% di quelle con disabilità non grave risultano occupate, a fronte del 62% della popolazione senza disabilità. Il divario si acuisce nei tassi di disoccupazione, dove le persone con disabilità registrano percentuali più elevate (16,6% per chi ha gravi limitazioni e 14,4% per le altre) rispetto al 12% del resto della popolazione. Un altro fenomeno allarmante è quello dei ritiri precoci dal mercato del lavoro, che colpiscono in misura quasi tripla le persone con disabilità grave (5,7%, contro il 2,3% dei lavoratori senza limitazioni). 

La situazione poi è particolarmente critica per i giovani con disabilità, tra i quali due terzi non lavorano né studiano: una percentuale di gran lunga superiore a quella dei coetanei senza disabilità. L’assenza di politiche efficaci rischia di compromettere irrimediabilmente il futuro di questa generazione, relegandola ai margini della società. 

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Una riflessione critica sul collocamento mirato

Per affrontare tutte queste criticità, servono interventi strutturali: formazione professionalizzante mirata, incentivi alle aziende per favorire l’inclusione, e condizioni contrattuali che garantiscano pari opportunità e uguaglianza.

Questa situazione impone una riflessione critica sull’attuale sistema di collocamento mirato, che necessiterebbe di una profonda revisione per adeguarsi alle dinamiche contemporanee del mercato del lavoro. Una riforma della Legge 68 dovrebbe prevedere: meccanismi più flessibili di incontro tra domanda e offerta; strumenti innovativi per favorire l’inserimento nel settore privato; maggiore attenzione alle nuove professioni digitali; incentivi concreti per le aziende che investono in politiche inclusive; percorsi di formazione continua allineati alle esigenze delle imprese 4.0. 

In questa prospettiva, la privazione del diritto al lavoro assume i contorni di una vera e propria esclusione dalla cittadinanza attiva. Senza la possibilità di contribuire alla collettività attraverso le proprie capacità, la persona con disabilità rischia di rimanere confinata in un ruolo passivo di assistito, negandole quella dimensione di autodeterminazione che rappresenta il cuore del principio personalista della nostra Carta costituzionale. Il lavoro, in questo senso, cessa di essere un semplice strumento di sostentamento per diventare il fondamento di un’esistenza autonoma e pienamente partecipata. 

Dall’inserimento all’effettiva partecipazione

La sfida che si pone al nostro ordinamento è dunque quella di superare l’approccio meramente formale all’inclusione lavorativa, per abbracciare una visione più ampia che riconosca nella diversità un valore aggiunto per l’intera collettività. Questo richiede non solo il pieno rispetto delle norme esistenti, ma un cambiamento culturale profondo che vada oltre la logica dell’inserimento per abbracciare quella dell’effettiva partecipazione. Solo attraverso una riforma organica della Legge 68/1999, che tenga conto delle trasformazioni del mercato del lavoro e delle potenzialità offerte dalla rivoluzione digitale, potremo tradurre in realtà il dettato costituzionale, garantendo a tutte le persone con disabilità la possibilità di costruire, attraverso il lavoro, la propria identità di cittadini a pieno titolo.

Senza un cambio di passo nelle politiche attive del lavoro e senza un reale impegno da parte di tutte le parti sociali, il rischio è che le disparità attuali diventino sempre più profonde. L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità non può essere considerata un optional, ma deve diventare una priorità nell’agenda politica ed economica del Paese. Solo così potremo costruire un mercato del lavoro veramente inclusivo, che valorizzi le competenze di tutti e non lasci indietro nessuno.

In questa prospettiva, il Primo Maggio non può limitarsi a essere una celebrazione retorica, ma deve trasformarsi in un’occasione per riaffermare, con concretezza, quei valori costituzionali che pongono il lavoro al centro della dignità umana e della coesione sociale. Solo così potremo dire di aver onorato lo spirito della nostra Carta fondamentale, che riconosce a tutti i cittadini – senza eccezioni – il diritto a contribuire, attraverso il proprio lavoro, al progresso materiale e spirituale della società.

Vincenzo Falabella, presidente Fish  e consigliere Cnel. In foto, una giovane del team di Dadi Home serve la colazione agli ospiti. Dadi Home è una casa vacanze aperta a Padova dalla cooperativa Vite Vere: ne abbiamo parlato qui (Foto Dadi Home)

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