La ricorrenza del 1° maggio, la festa delle lavoratrici e dei lavoratori è quest’anno dedicata da Cgil-Cisl-Uil al tema della salute e sicurezza nei luoghi e ambienti di lavoro. Lo slogan scelto è eloquente: “Uniti per un lavoro sicuro”.
Battersi per un lavoro sicuro e di qualità significa anche portare avanti un nuovo modello di sviluppo, dove gli obiettivi di miglioramento e sostenibilità ambientale non siano contrapposti a quelli del lavoro.
La fase storica globale che stiamo attraversando è condizionata da due fasi di transizione che corrono speditamente in parallelo: quella ambientale e quella tecnologica, le quali stanno incidendo profondamente nei modelli di vita, negli assetti geopolitici, economici e nella qualità e modalità del lavoro, presente e futuro.
L’accettabilità sociale delle politiche ambientali dipende dalla capacità di compensare la perdita dei posti di lavoro in attività clima-alteranti creandone di nuovi, e in maggior numero in attività verdi.
Per questo la CGIL, nella sua quotidiana attività di contrattazione multilivello comprende, non senza difficoltà, non solo il tema della tutela della difesa del lavoro, ma anche quella per l’ambiente, il clima, il territorio e gli investimenti per lo sviluppo territoriale sostenibile, convinta che si debba accelerare e governare la transizione energetica supportando e sviluppando le fonti rinnovabili derivate come fotovoltaico, eolico, idroelettrico e geotermico, visto che ci troviamo in Toscana.
Purtroppo la politica energetica nazionale risulta sempre incentrata nel sostenere l’incremento delle importazioni e delle infrastrutture di fonti fossili, prevedendo nuovamente il ricorso al nucleare tradizionale, mentre sarebbe necessario investire sul versante delle politiche industriali sostenendo la ricerca e lo sviluppo di una filiera italiana per la decarbonizzazione dell’industria manifatturiera, sia attraverso la leva fiscale, sia con misure di salvaguardia sociale ed occupazionale.
Queste decisioni, lungimiranti, strategiche devono essere in primis assunte dalla politica. Ad oggi, nel sistema capitalistico globale e locale, il settore finanziario è di fatto l’unico a decidere cosa e quando fare o non fare e a spese di chi. Gli effetti di questa gestione, assecondati da una politica succube, sono evidenti, in Toscana e nel resto del Paese; importanti siti produttivi che potrebbero essere convertiti al mercato green chiudono, o rischiano di chiudere alimentando un processo di desertificazione industriale. Un disastro sul fronte occupazionale e delle filiere locali con l’incremento di insofferenza e malcontento, difficili da governare in un processo di necessaria, rapida transizione. Con queste condizioni, né la Cgil, né altri, saranno credibili nel sostenere di fronte a lavoratori e cittadini, in stato di precarietà, che la transizione ecologica produrrà un saldo occupazionale e di qualità della vita positivo.
Le stime della Cgil riportano che in Italia con la transizione ecologica, solo nei settori automotive, siderurgia, centrali a carbone, cicli combinati chimico, petrolchimico e della raffinazione si perderanno 112.000 posti di lavoro diretti e nell’indotto altri 300.000. Sottovalutare e rinunciare a governare questi aspetti significa minare alla base la buona riuscita della giusta transizione e assecondare una deriva che minerà la coesione sociale e accrescerà povertà e emarginazione.
Per contrastare questa deriva il ruolo dell’intervento pubblico si rivela fondamentale: i piani di investimenti delle grandi partecipate pubbliche dei settori energetici, e i piani di investimento pubblici di Cassa Depositi e Prestiti e dei Servizi Assicurativi e Finanziari per le Imprese (SACE), dovrebbero essere prioritariamente indirizzati all’implementazione delle fonti energetiche rinnovabili e alla creazione e al consolidamento di una filiera nazionale per la produzione di materiali, di uno sviluppo di ricerca e di una innovazione tecnologica per superare la dipendenza proveniente da altri Stati e continenti.
La Cgil è molto preoccupata di come stanno procedendo le cose, sia in casa nostra, sia a livello globale. Il perdurare delle crisi del mercato del lavoro, del costo dei beni primari di sostentamento e consumo, di quelli energetici, delle spese per la cura, stanno allargando le sacche di malcontento e insofferenza alimentate da una politica etero guidata, senza prospettiva, fondata sul consenso immediato, sull’eterno presente, che sminuisce e ridicolizza il tema della crisi climatica, riducendola all’ennesima vessazione per lavoratori e cittadini già in difficoltà. C’è poi la questione dell’imperante bellicismo, che noi avversiamo con forza: le guerre oltre a portare enormi danni umani, sociali ed economici portano anche a un drastico peggioramento delle condizioni ambientali dei territori interessati dai conflitti.
Celebrare oggi il Primo maggio testimonia che le lotte e i sacrifici personali e collettivi sostenuti da milioni di lavoratori in tutto il mondo, per assicurare a sé stessi e alle generazioni future diritti, tutele e migliori condizioni di vita, lavoro ed emancipazione sociale, non finiscono mai e se ne aggiungono sempre di nuove, come quella per la giusta transizione.
A maggior ragione in questi tempi così cupi, tanto da mobilitare la Cgil nel promuovere la consultazione referendaria dei cittadini italiani i prossimi 8 e 9 giugno per ripristinare il diritto ad un lavoro stabile, senza licenziamenti illegittimi, per un lavoro in ambienti e condizioni sicure, per l’integrazione con la cittadinanza. Tutte conquiste che ritenevamo consolidate, ma che spetta ancora una volta alle lavoratrici e lavoratori riconquistare e preservare.
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