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è legittimo tassare anche i beni destinati alla vendita non utilizzati? – Associazione Segretari Comunali e Provinciali


Nel complesso e mutevole panorama della tassazione immobiliare, emerge un interrogativo fondamentale: come si concilia l’imposizione fiscale con la natura dei beni immobiliari destinati alla vendita? Un’analisi approfondita di una recente sentenza della Corte Costituzionale, la n. 49/2025, svela le intricate questioni di equità, capacità contributiva e ragionevolezza che sottendono a questa materia.

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La controversia nasce da un ricorso presentato dalla società srl contro un avviso di accertamento emesso dal Comune di riferimento, che richiedeva il pagamento dell’Imposta Municipale Unica (IMU) per l’anno 2012 su immobili di proprietà della società. Tali immobili erano detenuti esclusivamente con l’intento di essere venduti a terzi, dunque qualificabili come “beni-merce”.

La questione è stata sollevata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che ha messo in dubbio la legittimità costituzionale dell’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’IMU per questi immobili destinati alla vendita e non utilizzati per altri scopi. La norma imponeva l’IMU su tutti gli immobili posseduti dall’impresa, senza distinzione tra beni strumentali all’attività produttiva e beni detenuti per la vendita, equiparando così situazioni sostanzialmente diverse sotto il profilo della capacità contributiva e dell’utilizzo effettivo del bene.

Motivi di difesa del ricorrente sull’esenzione IMU immobili “beni-merce”

La società ricorrente ha contestato la legittimità di tale imposizione, sostenendo che l’applicazione dell’IMU ai beni merce sia irragionevole e violi i principi costituzionali di uguaglianza tributaria, capacità contributiva e ragionevolezza. La società ha evidenziato che, a differenza dei beni strumentali, i beni merce non sono utilizzati dall’impresa per svolgere l’attività produttiva, ma sono detenuti in vista della vendita, senza che l’impresa eserciti alcun potere reale o utilizzo diretto su di essi. Pertanto, l’imposizione fiscale su tali beni non rifletterebbe una reale capacità contributiva. Inoltre, si è sottolineato l’andamento altalenante della normativa, che ha previsto in alcuni anni l’imposizione dell’IMU sui beni merce, in altri la sua esenzione, creando un regime fiscale incostante e privo di una logica coerente. Tale oscillazione normativa è stata definita arbitraria e lesiva del principio di ragionevolezza.

La decisione della Corte Costituzionale: rileva il diritto legale di fare qualcosa con un bene (come usarlo, affittarlo, ecc.), non se si stia effettivamente usando quel diritto

La Corte Costituzionale ha esaminato la questione sollevata dalla Corte di giustizia tributaria e ha ritenuto non fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Governo circa la mancanza di chiarezza sulla natura dei beni oggetto di imposizione, poiché il giudice rimettente aveva chiaramente indicato che si trattava di beni merce e non vi era contestazione in merito da parte del Comune impositore.

Nel merito, la Corte ha analizzato l’evoluzione normativa dell’imposizione sugli immobili detenuti dalle imprese esclusivamente per la vendita, evidenziando come la normativa precedente all’IMU (ICI) non prevedesse una disciplina specifica per tali beni, mentre il D.Lgs. 23/ 2011, istitutivo dell’IMU, non prevedeva alcuna esenzione per i beni merce. Successivamente, il legislatore ha introdotto una riduzione dell’aliquota IMU per questi immobili nel 2012, seguita da una completa esenzione a partire dal 2014 (Legge 124/2013).

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La Corte ha riconosciuto che la norma impugnata, nel prevedere l’imposizione dell’IMU anche sui beni merce, senza tener conto dell’effettivo utilizzo del bene da parte dell’impresa, può apparire in contrasto con i principi di capacità contributiva e uguaglianza tributaria. Tuttavia, ha sottolineato che la tassazione patrimoniale può legittimamente basarsi sul possesso materiale del bene come indice di ricchezza, anche se il bene non è utilizzato direttamente dall’impresa. La scelta del legislatore di esentare successivamente i beni merce dall’IMU è stata interpretata come una discrezionalità politica volta a sostenere determinate categorie di imprese in particolari momenti di crisi finanziaria.

Nel caso in esame, la Corte ha osservato, citando sé stessa, che: nella sentenza n. 60 del 2024, ha chiaramente espresso il principio che un immobile non costituisce un valido indice di capacità contributiva solo se è inutilizzabile per fatti estranei rispetto alla sfera di controllo diligente del proprietario, mentre nel caso oggetto del giudizio a quo la scelta di non utilizzare l’immobile è dipesa esclusivamente da una libera scelta dell’imprenditore. Occorre inoltre ricordare che ciò che rileva è la possibilità di avvalersi delle facoltà proprie del diritto reale e non il loro effettivo esercizio.

Alla luce di quanto sopra, la Corte ha dichiarato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 manifestamente infondata, confermando la legittimità dell’imposizione IMU sui beni immobili detenuti dalle imprese per la vendita nel periodo contestato, senza esenzione.

In sintesi, la Corte ha rigettato la richiesta dell’impresa, affermando la legittimità costituzionale della norma che impone l’IMU sui beni merce, pur riconoscendo la complessità e le implicazioni della materia sotto il profilo della capacità contributiva e dell’uguaglianza tributaria.



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