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una leva strategica di business


«Non esiste una performance organizzativa sostenibile se non passa da una performance personale positiva, e non esiste una performance personale positiva senza un forte senso di benessere». Elena Panzera, Presidente AIDP Lombardia, lo afferma con chiarezza, ribaltando la visione riduttiva del welfare aziendale come semplice benefit accessorio. Per i People Manager oggi si tratta invece di un vero e proprio pilastro strategico.

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AIDP lo definisce corporate wellbeing, un’evoluzione culturale che mette al centro la persona nel suo ecosistema: «Parliamo di benessere fisico, psicologico, finanziario e professionale. È una responsabilità collettiva, un investimento a lungo termine che si ripaga in produttività, motivazione e competitività».

Serve un nuovo patto psicologico tra persone e aziende

Con la trasformazione rapida di ruoli e carriere, il vecchio patto tra lavoratore e impresa è saltato. «Le organizzazioni non sono più in grado di promettere una progressione lineare: oggi è più complesso prospettare a una persona dove sarà tra due anni. Per questo dobbiamo ricostruire un rapporto basato su fiducia, riconoscimento e coinvolgimento», spiega Panzera.

Lavorare su questi tre pilastri richiede di occuparsi del benessere, da quello fisico – che tocca anche la sfera della sicurezza nei luoghi di lavoro – a quello psicologico e finanziario. E poi c’è il benessere che riguarda l’area dello sviluppo professionale: «Oggi le persone non chiedono più ‘quali competenze mi servono per essere promosso’ – sottolinea Panzera -, ma ‘come posso essere competitivo nel mercato del lavoro oggi e fra due anni?’ Il nuovo patto si costruisce così: costruendo insieme l’employability, non il ruolo. Perché il ruolo, fra due anni, potrebbe essere ben diverso da quello che si potrebbe immaginare nell’immediato».

In questo contesto il welfare aziendale diventa leva strategica per creare appartenenza, offrendo strumenti personalizzati che rispondano a reali bisogni: «Le persone non chiedono solo aumenti. Vogliono sentirsi viste e supportate nella loro vita, anche fuori dall’ufficio».

L’HR deve diventare architetto dell’ascolto (e usare il marketing)

Personalizzazione è la parola chiave per approcciare nel modo migliore il welfare aziendale. Ma come si costruisce? «Serve un approccio data driven. L’HR deve diventare architetto dell’ascolto, costruire sistemi strutturati e continui, analizzare i dati come farebbe un esperto di marketing. I bisogni di un giovane non sono quelli di un collega che deve comprare la prima casa o di un caregiver. Serve conoscere il singolo e proporre servizi coerenti».

Tecnologia e Intelligenza Artificiale sono alleate preziose in questo processo, purché la persona resti al centro: «Non è la tecnologia a spersonalizzare. È la sua cattiva applicazione. Se invece la usiamo per leggere i bisogni e facilitare l’accesso al welfare, può aumentare significativamente il potere d’acquisto».

Un esempio? L’integrazione tra welfare aziendale e pubblico. «Ogni anno in Italia restano inutilizzati circa 10 miliardi in bonus pubblici. Se l’azienda crea un portale unico in cui il dipendente, con un semplice codice fiscale, accede a entrambi i livelli di welfare, può ottenere in media 1.200 euro netti in più all’anno».

Le proposte AIDP per cambiare il sistema del welfare aziendale

Fedele al suo DNA, AIDP svolge innanzitutto un’importante azione di diffusione culturale sul territorio: «La nostra è un’associazione con 4.500 soci e rappresenta circa 3,5-4 milioni di lavoratori – racconta Panzera –. La nostra missione come realtà no profit è fare cultura, informazione, e mettere a disposizione il nostro network alle aziende, piccole, medie e grandi, per condividere best practice, formare gli HR e supportare anche la formazione dei lavoratori. Lavoriamo sull’aggiornamento continuo e costruiamo una rete virtuosa per lo scambio di pratiche positive».

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Superare i limiti attuali per un welfare aziendale più inclusivo

Parallelamente all’azione culturale, AIDP lavora con le istituzioni per portare avanti proposte concrete. Elena Panzera elenca le più urgenti: «Stiamo lavorando a proposte concrete, ad esempio per abolire la soglia di esenzione fiscale dei mille euro all’anno dei fringe benefit per chi non ha figli a carico, e di 2mila per chi li ha, adottando una soglia comune di 3mila euro. Stiamo anche puntando a favorire l’introduzione di un ‘conto welfare’ detassato e flessibile (che permetta di accumulare crediti spendibili in previdenza, formazione o mobilità sostenibile), l’estensione dei fringe benefit alle spese di istruzione (affitti compresi), e la creazione di un Fondo nazionale per il welfare aziendale delle PMI, finanziato da Stato e imprese».

Inoltre, attualmente, la normativa italiana prevede che i premi di risultato fino a 3mila euro annui siano soggetti a una tassazione agevolata del 5%, a condizione che il reddito da lavoro dipendente dell’anno precedente non superi gli 80.000 euro. Tuttavia, questa soglia esclude una significativa fascia di lavoratori, come quadri e dirigenti, che spesso sono responsabili di carichi familiari rilevanti e potrebbero beneficiare di tali agevolazioni.

Come ribadisce Panzera, «per rendere il welfare aziendale più equo e accessibile, sarebbe opportuno eliminare il limite di reddito per consentire a un numero maggiore di dipendenti di usufruire delle detassazioni previste. Inoltre, l’estensione del welfare aziendale ai servizi domestici, come l’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti, potrebbe favorire l’emersione del lavoro nero in questo settore, promuovendo la regolarizzazione e la tutela dei lavoratori coinvolti. Infine, per le aziende che investono in forme di welfare aggiuntive rispetto ai premi di risultato, sarebbe auspicabile prevedere ulteriori incentivi fiscali, riconoscendo l’importanza di tali iniziative nel migliorare il benessere dei dipendenti e la produttività complessiva dell’organizzazione».

Le PMI non sono escluse: fare rete è la chiave del welfare aziendale

A chi obietta che solo le grandi aziende possono permettersi un welfare avanzato, Panzera risponde con l’esperienza maturata sui territori: «AIDP mette in rete piccole e grandi imprese, creando economie di scala. In Lombardia, nelle aree di Bergamo, Brescia e Insubria, abbiamo visto casi di successo grazie a questo modello».

Anche la diffusione dei fractional HR, professionisti che portano visione e strumenti nelle PMI, è un segnale positivo. «Oggi c’è più consapevolezza tra i lavoratori, che spingono anche i piccoli imprenditori a offrire servizi. Ma va sostenuta con cultura, formazione e supporto tecnico. Le reti sono fondamentali».

La vera sfida quando si parla di welfare aziendale è culturale: serve fiducia e trasparenza

«In Italia il welfare è ancora visto con diffidenza. Serve comunicazione chiara, trasparente. Serve ascolto, fiducia, relazione», conclude Elena Panzera. «Il benessere finanziario, ad esempio, non si può gestire con un chatbot. Serve una persona competente, che ascolti e spieghi. Abbiamo fatto formazione ai giovani sul tema della previdenza complementare e da tre adesioni siamo passati a venticinque. Questo è l’impatto dell’informazione fatta bene».

Il futuro del welfare aziendale passa da qui: conoscenza, personalizzazione, tecnologia al servizio della persona. E una nuova alleanza tra individui e organizzazioni, basata su reciprocità e sostenibilità.

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