Sulla difesa non si torna indietro. Era da un po’ che Giorgia Meloni non si vedeva al premier question time, e in effetti di temi da affrontare se n’erano accumulati un bel po’, ma in Senato la presidente del Consiglio tiene il punto sui dossier più caldi. Molte delle interrogazioni dei gruppi parlamentari si intrecciano, perché alla base c’è la strategia economica e geopolitica dell’Italia. Meloni così mette subito in chiaro: “Ribadisco, con coerenza da patriota, che la libertà ha un prezzo”, dunque il 2% del Pil per le spese di difesa l’Italia “lo raggiungerà nel 2025”.
La premier ricorda che questo impegno risale al 2014, quando era all’opposizione e FdI viaggiava con percentuali troppo piccole per immaginare la guida del governo. Ma “mantenere gli impegni è fondamentale per farsi rispettare”. Le opposizioni, intanto, attaccano: da Matteo Renzi al Pd, ai Cinquestelle, che con il capogruppo a Palazzo Madama, Stefano Patuanelli, definisce le risposte di Meloni una “supercazzola”. La preoccupazione più diffusa è il calo costante della produzione industriale, con dati sulla crescita che non scaldano i cuori del centrosinistra. Ma la presidente del Consiglio replica che “in un contesto generale di contrazione, per paradosso, l’Italia fa registrare una delle performance migliori: l’indice di produzione industriale è sceso del 2,4% rispetto al periodo pre-Covid, quello della Germania invece dell’8,9% e quello della Francia del 3,4%”. Una congiuntura negativa “legata in gran parte al settore dell’automotive, schiacciato dalle follie ideologiche e di una transizione ecologica incompatibile con la sostenibilità dei sistemi produttivi”, punta il dito Meloni.
I numeri, comunque, non risolvono il problema, così come Transizione 5.0, la misura che nelle intenzioni dell’esecutivo avrebbe dovuto dare lo sprint alle imprese italiane sfruttando i fondi del Pnrr, ma che finora non ha prodotto gli effetti sperati. Ecco perché Meloni riconoscendo “l’efficacia di Industria 4.0” annuncia che il governo sta valutando, con la Commissione Ue, se esistano “i margini per inserire entrambi i programmi nella revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.
Del resto i dazi sono una spada di Damocle che ancora pende sulla testa dell’Occidente, dunque anche l’Italia deve trovare contromisure. In questo senso si inserisce l’annuncio del leader di FdI sulla missione “molto ampia” che sta preparando nell’Indo-Pacifico.
Altro argomento che ha acceso gli animi dell’aula del Senato è quello relativo alla visita della premier a Washington. Avs accusa di aver impegnato 40 miliardi degli italiani per la “clamorosa subalternità della destra nei confronti dell’Amministrazione americana”. Anche in questo caso Meloni respinge ogni addebito: “Temo che sia un calcolo totalmente inventato e fatico anche a ricostruire le voci che hanno portato a realizzarlo”. La premier ipotizza che “in questo bizzarro calcolo forse considerano anche il 2% del Pil in spese per la difesa” e “i 10 miliardi di investimenti delle aziende italiane negli Stati Uniti non è una mia promessa, ma prima di partire per gli Stati Uniti mi sono limitata a fare una ricognizione degli investimenti programmati e li ho utilizzati per ricordare quanto le nostre economie siano interconnesse”.
Con gli Usa c’è anche il nodo degli approvvigionamento di gas naturale liquido, su cui sempre le opposizioni chiedono di capire se non sia una partita di giro con Donald Trump per ottenere ‘benevolenza’ sui dazi. “Abbiamo sottoscritto una dichiarazione per rafforzare la cooperazione in campo energetico”, respinge le accuse al mittente Meloni. “A noi serve per continuare il cammino diversificazione delle forniture avviato dall’Italia all’indomani della guerra d’invasione russa in Ucraina” e “gli Usa sono già il secondo Paese fornitore di Gnl in Italia con accordi sottoscritti quando c’era Joe Biden, dunque è difficile che possa essere venduto come un favore a Trump”. La premier sottolinea che a spingere il governo nelle sue scelte sono solo “le necessità e il vantaggio” del Paese. Poi la stoccata: “Le fonti per diversificare il mix energetico vengono da Nord Africa, Caucaso e Gnl americano. Portiamo avanti una strategia su cui siamo d’accordo, benché all’epoca fossimo in opposizione. O state dicendo che, siccome hanno vinto i repubblicani in America, dobbiamo riprendere il gas dalle Russia?”.
Il tema energia chiama (e richiama) la questione bollette. Meloni si dice “disponibile” a fare fronte comune in Europa per ottenere il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’energia elettrica. Anzi, invita i suoi competitor politici “una volta tanto a lavorare insieme in per arrivare a una soluzione che interessa i nostri cittadini”. Anche perché, a suo avviso, continuare solo con la politica degli aiuti alla lunga non paga: “Da inizio legislatura il governo ha stanziato oltre 60 miliardi di euro per imprese e famiglie, ma se il problema non si risolve strutturalmente le risorse non saranno mai sufficienti”. L’obiettivo primario del governo, dice, è “abbassare strutturalmente i costi dell’energia, che pesano sulle famiglie come macigni”, tant’è vero che la scelta di tornare al nucleare, rivendica, è proprio per provare ad abbassare i prezzi e avere indipendenza energetica.
La sessione dura 90 minuti, Meloni esce soddisfatta da Palazzo Madama. Ma la distanza resta con le opposizioni, poco impressionati dai dati su spread, occupazione e agenzie di rating snocciolati in aula dalla premier. La partita, dunque, resta aperta.
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