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Show di Meloni al premier time. Solita propaganda dal Pil ai salari


Prima dell’intervento del capogruppo al Senato del suo partito, ha preso posto in tribuna per seguire il premier time a Palazzo Madama il leader del M5S Giuseppe Conte.

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“Sono venuto qui perché volevo cercare di capire se abbiamo una premier che scende da Marte e viene sulla terra o se abbiamo un ologramma, anziché una premier in carne e ossa visto che parla solo con video autopromozionali. Però, ho visto una Meloni davvero irriconoscibile, scollata dalla realtà. Di fronte ai dati drammatici dell’Istat di oggi (ieri, ndr) con il calo dei consumi sui generi alimentari, lei risponde con i dati dello spread e con le valutazioni delle agenzie di rating. Ma dico sta fuori di testa? cosa spalmano gli italiani sul pane? lo spread?”, ha detto l’ex premier.

“Ma voi avete capito cosa ha detto sulla spesa militare? Quella supercazzola?”. Quindi incalza: “Ma i miliardi che mancano dove li prende?”. Meloni “si è impegnata con Trump a portare” la spesa militare “al 2% adesso”. “In Italia – conclude Conte – abbiamo gli stipendi più bassi e continuiamo a spendere miliardi in armi”. Difficile dargli torto.

Meloni racconta un Paese che non c’è dai salari all’industria

Nelle risposte alle dieci interrogazioni che le sono state rivolte dai partiti di maggioranza e di opposizione, Giorgia Meloni ha raccontato la favola di un Paese che non c’è.

“Non è facile riassumere in tre minuti quanto fatto in politica estera, posso dire che ha avuto dal mio punto di vista in questi anni una identità chiara, un protagonismo che ha smentito chi aveva preconizzato un isolamento italiano con l’avvento del governo di centrodestra”, ha detto Meloni. Sebbene in Europa sia guardata con sospetto da tutti i big europei, dalla Francia alla Germania. E persino l’amico Donald Trump di fatto ha rispedito al mittente lo sforzo meloniano di mediazione sui dazi tra Washington e Bruxelles.

“I dati del primo trimestre 2025” su “occupazione, salari, stima del Pil confermano l’efficacia della strategia che abbiamo messo in campo”, dice la leader di FdI. Ma a sbugiardarla non ci sono solo i 25 lunghissimi mesi di calo della produzione industriale o i fallimenti del ministro Adolfo Urso su Transizione 5.0, automotive, siderurgia e carburanti. Ieri l’Istat ha fotografato uno scenario drammatico anche sul fronte del commercio, con le vendite a picco. Soprattutto quelle alimentari.

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La premier si bea del rating di S&P ma omette di ricordare che l’agenzia ha tagliato le stime del Pil 2025 allo 0,5%

L’occupazione ha rallentato la sua corsa, abbiamo il 30 per cento di aumento delle ore di cassa integrazione nel primo trimestre 2025 rispetto al 2024 e un calo dei salari reali a marzo dell’8 per cento rispetto a gennaio 2021. Per non parlare della crescita. Che il governo ha rivisto al ribasso allo 0,6%.

“La recente promozione di Standard and Poor’s che ha alzato il rating dell’Italia è l’ennesima riprova del lavoro di un governo che è stato in grado di ridare all’Italia la serietà e conseguentemente l’attrattività che merita”, dice Meloni.

Eppure la stessa agenzia di rating, ma questo Giorgia non lo dice, recentemente ha tagliato le stime sul Pil dell’Italia per quest’anno allo 0,5%.

La congiuntura negativa dell’industria “è legata in gran parte al settore dell’automotive, che – si difende la premier – è stato schiacciato dalle follie ideologiche di una transizione ecologica incompatibile con la sostenibilità dei nostri sistemi produttivi”.

“Se questo era un tema centrale di politica industriale, mi spiega perché avete tolto 3 miliardi dal fondo automotive che avevamo lasciato?”, replica Stefano Patuanelli (M5S).

Meloni poi pasticcia con Industria 4.0 che era una riforma del governo Renzi e con Transizione 4.0 che era figlia del governo Conte. Riconosce che Transizione 4.0 fosse un provvedimento giusto ma la chiama Industria 4.0.

Il pentastellato Patuanelli la incalza dal flop di Transizione 5.0 all’automotive

“Spiace che la Presidente del Consiglio non conosca la differenza tra Industria e Transizione 4.0, perché la seconda era pluriennale e apriva gli incentivi anche alle Piccole e Medie Imprese. Transizione 4.0 a cui faceva riferimento era finanziata col PNRR, ma va bene lo stesso. L’importante per le imprese è superare quell’assurdo accrocco normativo che è Transizione 5.0”, afferma Patuanelli.

“Abbiamo chiesto a Meloni cosa intendesse fare su questo tema e, soprattutto, come intenda reperire tra i 10 e i 20 miliardi in armamenti, come lei ha dichiarato” di voler fare. “Perché – spiega – o si taglia ulteriormente la spesa, o si alzano le tasse, o si farà una supercazzola in ambito Nato”.

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Rutte verso regole su spese per la Difesa che mandano all’aria i piani del governo meloniano

Ma fare artifici contabili come vorrebbe fare Meloni, la cosiddetta supercazzola in ambito Nato come la chiama Patuanelli, non sarà così semplice.

Il Consiglio Atlantico della Nato si è riunito ieri per esaminare la proposta del segretario generale, Mark Rutte, da concordare al summit di giugno.

Gli Usa, a quanto si apprende, non cedono sul 5% e Rutte ha quindi presentato un’opzione a due livelli. Gli alleati, secondo questo schema, si dovrebbero impegnare a spendere il 3,5% del Pil per la difesa classica – ovvero tank, aerei, missili ed eserciti, secondo quanto previsto attualmente dalle definizioni Nato – e prevedere un ulteriore 1,5% per le nuove sfide (come cyber, ibrido, resilienza della società).

Laddove per arrivare al 2% del Pil Meloni vorrebbe conteggiare anche le spese per il comparto sicurezza e altre voci di bilancio, come cyber.



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