Nelle scorse settimane l’amministrazione Trump ha inviato alle ambasciate americane in Europa una nota diretta alle principali imprese europee che hanno relazioni commerciali con l’amministrazione americana, con la quale viene loro richiesto di adeguarsi all’ordine esecutivo e abbandonare tutti i programmi DEI (Diversity Equity Inclusion), pena la rescissione dei contratti in essere.
Riteniamo che si tratti di un’indebita ingerenza da parte di un paese straniero nelle politiche europee e in quelle aziendali, una vera e propria minaccia rivolta alle aziende che non volessero uniformarsi e intendessero continuare a perseguire la valorizzazione delle diversità e l’inclusione.
Tale pressione ha immediatamente avuto effetti sulle dinamiche commerciali europee, le lobby delle imprese hanno infatti colto la palla al balzo e hanno chiesto alla Commissione europea di ritrattare le Direttive su diritti e parità. La CES ha prontamente inviato una lettera al Consigliere USA presso l’UE, Norman Scharpf, per richiedere un incontro e contestare tale iniziativa. Ester Lynch, segretaria generale della CES, in occasione della conferenza finale del progetto TUaD – Trade Unions against Discriminations- tenutasi a Berlino il 29 aprile scorso, ha lanciato un chiaro messaggio alla Commissione europea: le richieste di Trump sono illecite e la Confederazione Europea dei Sindacati non starà a guardare mentre un altro paese interferisce cercando di annullare i diritti di civiltà conquistati in Europa grazie alle lotte del movimento dei lavoratori. “La Commissione – ha detto Ester Lynch – dovrebbe chiedere formalmente all’amministrazione degli Stati Uniti di ritirare la sua lettera contro i programmi DEI e garantire che le imprese europee e le parti sociali possano continuare ad attuare politiche per i diritti e l’uguaglianza e contratti collettivi liberi da interferenze politiche straniere”. È infatti paradossale che mentre si registra una crescita del fenomeno discriminatorio, alimentata dai discorsi razzisti, suprematisti e nazionalisti delle destre, in particolare nei confronti di lavoratrici e lavoratori appartenenti alla comunità LGBTQIA+, si tenti di azzerare gli strumenti già esistenti per contrastarlo. Una regressione culturale contro la quale i sindacati europei stanno lavorando nelle sedi istituzionali, nei confronti con le parti datoriali, nell’impegno con la società civile, per rafforzare e tutelare il modello sociale europeo.
Anche la CGIL avverte, da un lato, l’esigenza di sollecitare la Commissione Europea affinché prenda una posizione netta e intransigente contro l’interferenza dell’Amministrazione USA e, dall’altro, la responsabilità – come organizzazioni sindacali – di rafforzare gli accordi contrattuali nel segno del contrasto alle discriminazioni, senza affidarsi unicamente alle policy e alle buone prassi aziendali che, come ormai chiaro, rischiano di essere messe in forse dalle aziende stesse non appena inizia a soffiare un vento contrario.
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