La seconda domenica di maggio, in Italia, si celebra la Festa della Mamma. È un momento simbolico, che invita a riflettere sul ruolo della maternità nella vita quotidiana, ma anche sulle fatiche che spesso restano sullo sfondo. Oggi più che mai, questa ricorrenza solleva una questione tutt’altro che simbolica: cosa significa diventare madri nel nostro Paese, soprattutto quando si lavora?
La risposta arriva dai numeri. E racconta una storia che ancora oggi fatica a cambiare. In Italia, lavorano poco più della metà delle donne (53,3%, ISTAT) e il tasso di natalità è tra i più bassi d’Europa. Un dato, quest’ultimo, che non può essere letto senza considerare il contesto: precarietà lavorativa, salari bassi, costi della vita crescenti, squilibri nella gestione dei carichi di cura e poco supporto strutturato.
A indagare in profondità questo scenario è lo studio “Vissuti e opinioni tra genitorialità e lavoro”, realizzato dall’Osservatorio D di Valore D in collaborazione con SWG (2025). Dall’indagine emerge una fotografia nitida: oltre il 50% delle persone indica tra le principali barriere alla genitorialità la precarietà lavorativa e le difficoltà economiche, seguite dalla difficoltà di conciliare vita professionale e familiare e dalla mancanza di servizi adeguati all’infanzia.
Ma c’è di più: anche quando la genitorialità si concretizza, le difficoltà non si attenuano soprattutto per le madri. Per il 77% delle persone rispondenti, le donne madri (o quelle che desiderano diventarlo) subiscono penalizzazioni già in fase di selezione. Il 70% segnala inoltre ostacoli legati alla richiesta del congedo di maternità e il 64% (67% tra le donne) ritiene che il reinserimento al lavoro post congedo non venga gestito in modo adeguato. Ancora, il 67% osserva una riduzione delle opportunità di crescita professionale per chi diventa madre e le preoccupazioni emergono in modo più netto tra i giovani (18-34 anni), dove i numeri aumentano.
A incidere è anche un elemento culturale che continua a pesare: l’idea, ancora diffusa, che la cura sia principalmente una responsabilità femminile. Lo confermano anche i dati della World Values Survey (WVS), un’ampia indagine condotta ogni 5 anni su 100 nazioni, secondo cui l’Italia è l’unico Paese europeo in cui oltre la metà della popolazione (54,1%) ritiene che una madre che lavora possa danneggiare i figli/le figlie in età prescolare, a fronte di una media europea del 30%. È una visione che incide profondamente sull’esperienza lavorativa delle donne, dalla selezione alle opportunità di crescita, contribuendo a generare diseguaglianze persistenti.
Lo stesso vale per chi si occupa di familiari non autosufficienti, un impegno che ricade spesso sulle donne e che sempre più frequentemente coincide con la cura dei figli. Anche in questi casi, ciò può comportare una riduzione delle opportunità lavorative o l’interruzione del percorso professionale. Un carico invisibile, ma concreto, che troppo spesso non trova risposte adeguate né nella sfera pubblica né in quella aziendale.
Per cambiare rotta, Valore D e Fuori Quota hanno avviato un percorso condiviso, culminato nella pubblicazione del white paper “Rimuovere le barriere alla maternità”, realizzato con la collaborazione di Bain & Company. Il documento, in continuità con il percorso già avviato da Valore D con progetti come “Lavoro di Cura e Genitorialità”, non si limita a fotografare la situazione, ma propone azioni concrete, ispirate a esperienze già attive in molte imprese. L’obiettivo è chiaro: costruire un ambiente professionale in cui diventare genitori non significhi dover pagare un prezzo, né economico né di reputazione lavorativa.
Il percorso individuato si articola in cinque tappe chiave della vita lavorativa: dalla selezione alla crescita professionale, dalla decisione di diventare genitore al rientro dal congedo, fino alla continuità di carriera nel tempo. In ciascuna fase, il white paper propone strumenti specifici: curriculum anonimi per ridurre i bias, formazione per i manager, figure interne di supporto, benefit legati alla cura, orari flessibili, trasparenza nelle promozioni.
Piccoli cambiamenti che, se adottati in modo sistemico, possono fare la differenza. Perché rendere il lavoro un luogo che accompagna e valorizza la genitorialità non è solo una questione di equità, ma anche di visione. Lo dimostra il fatto che l’80% delle donne intervistate nello studio dell’Osservatorio D crede che le imprese abbiano oggi la responsabilità – e l’opportunità – di fare la propria parte. Ma questa richiesta non arriva solo dalle donne: anche i giovani padri vogliono una miglior distribuzione dei carichi di cura per partecipare pienamente alla vita familiare (Oltre le Generazioni, Valore D, 2024).
Anche la sfera pubblica ha un ruolo fondamentale. Come ricorda Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D, «I dati SWG ci dicono che 8 persone su 10 chiedono a Stato e politica di fare di più. Il nostro Paese dedica solo l’1% della spesa pubblica al sostegno alle famiglie, il dato più basso d’Europa.». Un numero che parla da sé, e che richiama all’urgenza di un’alleanza tra aziende e istituzioni per creare un sistema più giusto, più sostenibile, più realistico.
Così, nel giorno in cui si celebra la maternità, guardare ai numeri può diventare un gesto di consapevolezza. Perché ogni augurio sincero ha più forza se si accompagna a un impegno concreto: quello di trasformare il lavoro in uno spazio dove crescere, professionalmente e personalmente, non sia una possibilità riservata solo a poche persone.
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