“L’ultimo miglio della ricerca è il più difficile: i centri e gli ecosistemi creati con il Pnrr e con il Piano nazionale complementare stanno aiutando a superarlo. Devono avere futuro”. Maria Cristina Messa, già ministra dell’Università e della Ricerca nel Governo Draghi e rettrice di Milano-Bicocca, è il direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi, che ha appena aperto il centro d’eccellenza per la riabilitazione robotica a Salerno, nella rete di Fit4Med.
Professoressa Messa, qual è la forza di questo progetto? “Unire l’aspetto della ricerca scientifica con l’aspetto clinico e la diffusione sul territorio. Qui riusciamo a combinare scienze mediche, ingegneristiche, fisiche e digitali per sviluppare soluzioni e arrivare alla loro fruizione, migliorando l’assistenza territoriale e riducendo i divari territoriali e digitali. E continuiamo a fare ricerca: i trial clinici ci aiuteranno a stabilire l’efficacia della robotica in letteratura. Non ci fermiamo a osservare cosa succede durante la riabilitazione, indaghiamo perché succede”.
Cosa succederà dopo il Pnrr? “Per garantire la sostenibilità del centro, oltre ad applicare a bandi competitivi, estenderemo il suo utilizzo anche al medical fitness e al benessere dei lavoratori. Il principale obiettivo è garantire l’accessibilità alle terapie e lavorare sulla prevenzione. Nella nostra piattaforma di Fondazione Don Gnocchi abbiamo 298 ricercatori tra Milano, Firenze e nella rete diffusa sul territorio”.
Come fare per non perdere il capitale umano reclutato col Pnrr? A Milano sono più di mille i contratti in scadenza. “Credo che il futuro sia nell’amalgamare alcune iniziative nate con il Pnrr e riproporle per dare continuità a chi vi ha lavorato e ai risultati raggiunti. Bisogna creare spazi sia nelle accademie e nei centri di ricerca, evitando di ridurre la percentuale di turn over, sia nell’industria, rafforzando il rapporto tra pubblico e privato, e incentivando le start up. Serve una politica industriale che favorisca l’assunzione di ricercatori”.
Sta cambiando la mentalità? “Sì, ma a macchia di leopardo”.
Come evitare la fuga di cervelli e attrarre dall’estero? “Oltre alla questione economica, bisogna garantire più indipendenza scientifica. Siamo in un mondo accademico un po’ gerarchico e chi è stato all’estero è frenato da questo, oltre che dalla mera burocrazia. Non che non ci sia all’estero, ma ci sono uffici e servizi a supporto”.
Qual è lo stato di salute della “sua“ Milano? “È una città vivace e per i giovani, che però sta diventando inaccessibile a chi non ha sufficienti risorse. Il mio auspicio è che garantisca più accoglienza”.
È stata la prima rettrice in città, ora le donne alla guida degli atenei sono la maggioranza. Argomento superato? “La situazione è migliorata, si sono rotti tabù anche nelle università più tradizionali, ma bisogna vigilare. Abbiamo forato un po’ il tetto di cristallo, ma se guarda sotto, tra professori associati e ordinari, le donne sono molte meno. C’è tanto da fare”.
Restiamo in università: test di Medicina addio. E adesso? “Vedremo come gli atenei riusciranno a organizzarsi, ma mi piacerebbe che si parlasse di più degli infermieri: anche nel progetto delle case di comunità la grande carenza è quella del personale paramedico. Si potrebbe agire su diverse aree: togliendo qui il test di ingresso, rivedendo il corso di laurea in chiave più moderna e adatta ai possibili percorsi di carriera. E i salari sono troppo bassi: bisogna alzarli, in alcune aree d’Italia sono incompatibili col costo della vita”.
Politica o ricerca: dove vede il suo futuro? “Qui, al Don Gnocchi: potere lavorare nella ricerca scientifica in Medicina, in una fondazione che è privata ma non profit, è un cerchio che si chiude. Metto a servizio quello che ho imparato, anche con la Fondazione Balzan. E continuo a insegnare: incontro gli studenti del quarto anno non solo per le lezioni ma per discussioni aperte sul loro futuro. Mi piace da matti”.
Cosa le hanno lasciato il rettorato e il ministero? “Da rettore di un’università dinamica e innovativa come la Bicocca ho imparato a rapportarmi con le persone, a gestire un sistema complesso, con tre popolazioni tra professori, personale tecnico e studenti. Un ruolo di responsabilità che mi ha aiutato molto a fare il ministro. Il ricordo migliore di quegli anni è la squadra di governo, così coesa in un momento storico difficilissimo. Ricordo la sensazione di avere un compito complesso, ma che poteva migliorare le sorti, essere d’aiuto. Sono grata di avere potuto lavorare con la guida di Draghi. È stato un periodo bellissimo”.
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