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Le banche danno retta a Pechino. Ma fanno un pessimo affare


Gli istituti che hanno preso alla lettera l’invito del partito ad aumentare i prestiti, non hanno calcolato le pessime condizioni dell’economia reale, incapace di contrarre nuovo debito. Con il risultato che famiglie e aziende non pagano nemmeno gli interessi sui prestiti

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12/05/2025

Sembra sempre di tornare al punto di partenza, senza soluzione di continuità. E allora viene da chiedersi: come è possibile che la politica, in Cina, abbia una percezione così distorta dell’economia reale? Tutto parte, ancora una volta, dal debito, l’atavico male del Dragone. Pochi mesi fa, a marzo, il Congresso del popolo cinese ha spronato le banche a concedere più prestiti a famiglie e imprese, con l’intento di rianimare i consumi. In realtà, il pressing di Pechino sulle banche, arriva da lontano. Sono almeno un paio di anni che tra i pilastri della politica economica cinese figura proprio la maggior apertura al credito verso l’economia reale.

Gli istituti da parte loro a volte hanno dato retta al partito, altre no. Ma chi lo ha fatto, si è scottato. Motivo? Basta leggere un report di Caixin per capire come prestare denaro a un’economia in sofferenza può essere controproducente. La sintesi è questa: se da anni i cinesi non consumano e non comprano come dovrebbero, un motivo ci sarà. E ci sarà anche se i prezzi continuano a diminuire, dando origine a una deflazione che in Cina non potrebbe essere più vischiosa. Dunque, ecco che le banche che hanno preso alla lettera gli ordini di Pechino, hanno concesso prestiti aumentando il debito delle imprese. Debito non ripagato, come si legge nel report, a cominciare dagli interessi.

E così, il corto circuito è servito. Nuovi prestiti, nuovo debito, ma un’economia incapace di assorbirlo. Per le banche sono solo guai, perché prestiti non rimborsati, vuol dire sofferenze, dunque perdite. Lo stesso rapporto spiega come ogni mese “alcuni direttori di banca implorino i clienti al telefono per farsi pagare almeno gli interessi sui mutui. Nemmeno le rate, ma gli interessi. E finché i clienti coprono gli interessi, il prestito non diventa cattivo”. Ma quando smettono di farlo, allora sì.

Che in Cina ci sia un problema di consumi, è fin troppo chiaro. Lo dicono i numeri. Le pressioni deflazionistiche rimangono quindi una minaccia importante per la crescita della grande economia asiatica. Secondo il National Bureau of Statistics, l’inflazione a marzo ha registrato un decremento tendenziale dello 0,1%, dopo il -0,7% del mese precedente e rispetto al +0% atteso dagli analisti. In particolare, i prezzi di generi alimentari, tabacco e alcolici sono diminuiti dello 0,6%. Tra i prodotti alimentari, il prezzo della carne di maiale è aumentato del 6,7%. Rispetto al mese precedente, invece, i prezzi al consumo mostrano un decremento dello 0,4%, a fronte del -0,2% del consensus, dopo il -0,2% precedente.

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Senza considerare il versante delle amministrazioni, dunque lo Stato. Le province cinesi hanno accumulato negli anni debiti in quantità per finanziare la costruzione di infrastrutture, abitazioni e, più in generale, il formidabile sviluppo dell’economia del Dragone. Stando ai dati ufficiali, il debito pubblico di Pechino ammonta a circa 4700 miliardi di euro e, sommato con quello di famiglie e imprese, vale il 282% del Prodotto interno lordo nazionale.



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