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Una vera tassazione equa per le imprese


Quando la politica fiscale entra nel dibattito pubblico, il tema dell’equità diventa centrale. Questo vale sia per la tassazione delle imprese, focus di questo articolo, sia per quella dei cittadini. Le recenti decisioni del presidente Trump di revocare l’esenzione fiscale all’università di Harvard sollevano interrogativi su quando sia giusto concedere o ritirare tale privilegio.

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Altrettanto rilevante è la questione se l’esenzione fiscale alle organizzazioni non profit crei un vantaggio sleale rispetto alle imprese a scopo di lucro. Infine, persiste il quesito su quale sia un’aliquota fiscale equa per queste ultime. Questi tre aspetti vengono esaminati separatamente, prima di proporre una possibile soluzione.

È EQUO CONCEDERE O NEGARE L’ESENZIONE FISCALE A UNA NO-PROFIT?

Il confronto tra l’amministrazione Trump e le università come Harvard sull’esenzione fiscale appare giusto ad alcuni, iniquo ad altri. Il codice fiscale statunitense — ovvero l’insieme di leggi federali che regolano la fiscalità negli Stati Uniti — stabilisce che l’esenzione spetta alle organizzazioni dedicate esclusivamente a scopi religiosi, caritativi, scientifici, di sicurezza pubblica, letterari o educativi, purché non si impegnino in modo significativo in propaganda o in attività politiche a favore o contro candidati. In passato, il codice fiscale è stato sfruttato per scopi partitici. Durante l’amministrazione Obama, l’Agenzia delle entrate ha ritardato o negato l’esenzione a organizzazioni non profit considerate troppo conservatrici. Ora, l’amministrazione Trump minaccia di revocarla a università giudicate eccessivamente progressiste. Alcuni a sinistra vorrebbero privare dell’esenzione le chiese che sostengono apertamente Donald Trump, mentre altri a destra sosterrebbero la revoca per quelle che promuovono candidati progressisti come figure divine.

È EQUO FAVORIRE FISCALMENTE LE NO-PROFIT TASSANDO LE PROFIT?

Secondo analisti come la Tax Foundation, molte organizzazioni esenti da tasse operano in modo simile a imprese, come cooperative di credito, utenze, assicurazioni, ospedali, università, associazioni sportive, circoli di golf, casinò e studi di consulenza. Queste realtà sfruttano l’esenzione per competere con imprese a scopo di lucro soggette a tassazione, generando situazioni paradossali, come la Ncaa, la federazione dello sport universitario americano, classificata come ente caritativo no-profit. Il problema di fondo è la diffusa ignoranza sull’importanza dei profitti per il benessere sociale. Spesso, studenti universitari dichiarano con orgoglio di voler lavorare per un’organizzazione non profit dopo la laurea, influenzati da professori che promuovono l’idea marxista secondo cui i profitti sono illegittimi e moralmente discutibili. Credono che evitare il settore a scopo di lucro sia una scelta virtuosa, ma si sbagliano.

Il profitto non è un trasferimento di ricchezza, ma un beneficio reciproco: in uno scambio volontario, entrambe le parti guadagnano, altrimenti lo scambio non avverrebbe. Maggiore è il profitto del produttore, maggiore è il valore per il consumatore. I profitti creano nuova ricchezza, poiché la visione imprenditoriale trasforma input dal valore di mercato A in un valore superiore, accrescendo la ricchezza complessiva della società. Disprezzare i profitti significa disprezzare la creazione di ricchezza e la prosperità umana, un’ignoranza economica tanto diffusa quanto dannosa.

QUAL È UN’ALIQUOTA FISCALE EQUA PER LE IMPRESE A SCOPO DI LUCRO?

Poiché le imprese pagano in pratica aliquote effettive diverse, l’unica aliquota realmente equa è zero. La tassazione dei profitti aziendali è inefficiente, come riconosciuto anche da enti come l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che la considera la peggiore forma di imposizione. Presenta inoltre problemi etici: crea una doppia tassazione, colpendo prima i profitti e poi i dividendi degli azionisti; trasforma le imprese in esattori fiscali non retribuiti, una sorta di “servitù non pagata” contraria al Tredicesimo Emendamento, che nel 1865 ha abolito la schiavitù e il lavoro forzato negli Stati Uniti, salvo come pena per reati; i profitti appartengono agli azionisti e non dovrebbero essere tassati finché non diventano reddito effettivo per azionisti o dipendenti. Questo problema, che distingue la ricchezza potenziale da quella spendibile, è emerso anche con la proposta di Joe Biden di una tassa sulla ricchezza basata sul possesso di azioni.

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L’UNICA SOLUZIONE VERAMENTE EQUA

La proposta di azzerare l’aliquota fiscale, non solo per le imprese a scopo di lucro ma anche per le organizzazioni no-profit, potrebbe risultare indigesta per chi è contrario alla ricchezza, ma rappresenta l’unica soluzione semplice alle questioni di equità fiscale. In questo modo, Harvard e altre istituzioni non temerebbero la revoca dell’esenzione fiscale, poiché non sarebbero mai soggette a tasse sul reddito. Non ci sarebbe bisogno di dispute sulla classificazione delle imprese come no-profit, dato che tale status non comporterebbe vantaggi. Un aspetto da considerare è che le donazioni alle organizzazioni no-profit, oggi deducibili, rappresentano solo il 12 % del loro reddito. Il governo non dovrebbe favorire alcune imprese rispetto ad altre, come avviene con le sovvenzioni, alterando i costi per avvantaggiare determinati attori. Questa pratica corrotta deve cessare.

Come afferma un noto principio economico, «le imprese non pagano tasse: le tasse le pagano le persone». Liberare commercialisti e avvocati dal complesso gioco di ottenere favori governativi consentirebbe di destinare le loro competenze a compiti più produttivi. Chi ritiene che il governo necessiti di maggiori entrate dovrebbe proporre con chiarezza aliquote fiscali individuali sufficienti a finanziare ambiziosi piani di spesa pubblica, verificando se i cittadini americani le considerino accettabili.

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