Ai suoi colleghi europei, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha detto la verità: nel Parlamento italiano non c’è una maggioranza per approvare il Meccanismo europeo di stabilità. Neanche nella versione riformata che prevede di utilizzare una parte dei fondi (settanta miliardi) per la risoluzione delle crisi delle banche nel caso i fondi nazionali non siano sufficienti.
Per Matteo Salvini, i nostri istituti di credito non ne hanno bisogno perché godono di ottima a salute. Quindi, cari amici e colleghi dell’Unione europea, andate a quel Paese: a noi questo «cappio al collo» non lo metterete mai. Parola di leghista patriota, che anzi propone in maniera provocatoria di liquidare la quota italiana di quindici miliardi e investirla in minori tasse, maggiori pensioni (proprio quello che Salvini e il centrodestra avevano promesso in campagna elettorale e non hanno mantenuto).
Il capo della Lega dà voce al Parlamento anti-europeo, mentre il governo italiano tiene in ostaggio Bruxelles e tutti quelli che potrebbero o vorrebbero liberamente usufruire dei fondi dell’European Stability Mechanism. Nessuno sarebbe obbligato a farne ricorso per cui non si capisce in cosa consista questo cappio al collo all’Italia di cui parla il ministro delle Infrastrutture. Se invece si verificassero le condizioni e la necessità di un’emergenza, oggi nessun Paese potrebbe ricorrere a quei fondi perché l’Italia non ratifica il trattato intergovernativo. È l’unico Paese dell’Unione europea a non averlo fatto.
Ma all’Eurogruppo di ieri diversi ministri hanno fatto presente quanto sia importante il ruolo del Mes nell’assicurare stabilità finanziaria: senza la ratifica italiana della riforma non sarebbe possibile mobilitare risorse nel caso di una crisi bancaria, ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe. Di più, la versione riformata del Fondo salva Stati serve a completare l’unione bancaria e a disporre finanziamenti adeguati ad affrontare situazioni di crisi che, in questi tempi incerti di passaggi epocali, sono sempre dietro l’angolo.
Al di là dei tecnicismi, dell’opportunità e della necessità oggettiva di attivare il Mes, c’è una questione tutta politica e ideologica. In sostanza il centrodestra a trazione Fratelli d’Italia e Lega frena sempre quando si tratta di compiere passi in avanti nell’integrazione comunitaria e nell’affinare strumenti europei. C’è sempre un riflesso pavloviano contro il super Stato di Bruxelles, la limitazione delle libertà nazionali, con riferimento storico all’intervento della troika in Grecia nel 2009. Un riflesso che sulla carta Forza Italia non dovrebbe avere, essendo un partito membro del Partito Popolare europeo guidato, anche allora, dalla Cdu tedesca che impose le politiche di austerità. Ma evidentemente a rendere remissivo Antonio Tajani in questa vicenda del Mes è il fatto che quelle politiche di austerità portarono nel 2011 alla caduta del governo Berlusconi.
Per Salvini invece è proprio una questione ideologica che l’altro ieri, intervenendo alla scuola di formazione della Lega a Palazzo Rospigliosi, la sua amica patriota Marine Le Pen esprimeva con queste parole: «La missione della nostra generazione è a portata di mano: riportare la sovranità nazionale in Europa. È la fine della mondializzazione e il ritorno alle politiche nazionali, alla sovranità, il ritorno alla potenza». Un ritorno da far venire i brividi. Sono le radici anche di Giorgia Meloni, la quale però ha dovuto fare un tratto di strada mediano per il ruolo istituzionale che oggi ricopre.
Nella conferenza di inizio anno, la premier aveva definito il Mes «obsoleto». E, in Commissione Bilancio della Camera, la maggioranza aveva successivamente chiarito che è carente di meccanismi idonei a coinvolgere il Parlamento nel procedimento per la sua attivazione.
Il richiamo delle radici non consente alla premier di fare i passi decisivi per collocare l’Italia nel gruppo di testa in Europa. Ha sempre il freno a mano tirato di Salvini e di un Parlamento, come dicevamo, in maggioranza anti-europeista. Meloni teme gli alleati/nemici alla sua destra, e questo è evidente in tutti i dossier in cui è in difficoltà, da quello dei volenterosi all’atteggiamento nei confronti di Donald Trump. Quello del Mes è una spia rossa sempre accesa.
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