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Cos’è la perestroika, la riforma che cambiò l’URSS


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La perestroika è stata fondamentalmente una grande scommessa di riforma, un tentativo di trasformare un sistema senza distruggerlo. Una scommessa persa. Scopriamo qualcosa di più sulla riforma che cambiò per sempre l’URSS.

Redazione De Agostini

Tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, l’Unione Sovietica visse un periodo di profonda trasformazione. Il motore principale di questo cambiamento fu una parola divenuta celebre in tutto il mondo: “perestroika”. Ma cos’è la perestroika esattamente? Il termine deriva dal russo e significa letteralmente “ricostruzione” o “ristrutturazione”. Il suo uso politico si affermò nel contesto delle riforme avviate da Michail Gorbaciov, segretario generale del Partito Comunista Sovietico a partire dal 1985 e rappresentò un tentativo ambizioso di riformare un sistema ormai in crisi, sia economicamente che politicamente. Ma cos’è davvero la perestroika, e perché ha segnato una svolta epocale nella storia del XX secolo?

Il contesto prima della perestroika: un impero in crisi

Facciamo un passo indietro: l’URSS – Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche – fu fondata nel 1922 sotto la guida di Vladimir Lenin, sostanzialmente ponendo una pietra tombale sul secolare impero zarista. Era uno stato federale, con la Russia che occupava il 76% del territorio totale, un Paese multietnico – enormemente esteso dall’Europa Orientale all’Asia centrale – nel quale le singole nazionalità avevano costituito repubbliche semiautonome, benchè nella realtà l’autonomia era fortemente limitata. In tutte le Repubbliche era previsto un sistema economico socialista, nel quale la maggioranza delle aziende di produzione erano di proprietà dello Stato. Il potere era nelle mani del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), il cui segretario, che risiedeva nel Cremlino a Mosca, era di fatto il capo dello Stato.

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All’inizio degli anni Ottanta, l’URSS era un gigante dai piedi d’argilla. Il sistema economico pianificato era divenuto inefficiente, la produzione stagnava, la tecnologia era arretrata rispetto all’Occidente, e la qualità della vita della popolazione era in costante declino. Le lunghe code per l’acquisto di beni di prima necessità e la diffusione del mercato nero erano sintomi di un sistema incapace di soddisfare i bisogni primari della sua popolazione. Ad aggravare la situazione, la Guerra Fredda, con la sua incessante corsa agli armamenti, sottraeva risorse agli altri settori.

In tutto questo, la rigida burocrazia, onnipresente e spesso inefficiente, paralizzava l’iniziativa e rendeva farraginoso qualsiasi processo decisionale; il dissenso veniva sistematicamente represso, la libertà di espressione era inesistente e la società civile era annullata sotto il peso e il controllo totalitario del PCUS. La corruzione, sebbene non apertamente ammessa, era un fenomeno diffuso a vari livelli dell’apparato statale e del partito. L’ideologia marxista-leninista, un tempo forza trainante, si era incancrenita in una serie di dogmi vuoti, recitati più per convenienza che per convinzione. In questo scenario, la classe dirigente sovietica comprese che non bastava più mantenere lo status quo: occorreva un cambiamento profondo.

L’ascesa di Gorbaciov e il significato della perestroika

Nel 1985, dopo la morte di tre leader sovietici nel giro di pochi anni (Brežnev, Andropov e Černenko), salì al potere un uomo giovane e innovatore: Michail Gorbaciov. Era una svolta potenzialmente epocale: il suo approccio pragmatico e la sua apertura al dialogo, sia interno che internazionale, suscitarono inizialmente grandi speranze di rinnovamento. Gorbaciov sembrava animato dalla volontà di modernizzare il sistema sovietico, di renderlo più efficiente e competitivo, pur mantenendo fede ai principi fondamentali del socialismo, un’ambivalenza questa che rappresentò forse uno dei principali limiti della sua politica. Con lui cominciò una stagione di riforme radicali, di cui la perestroika era il simbolo.

Ma qual è esattamente il significato della perestroika? Il termine si riferisce alla ristrutturazione dell’economia e dell’intero apparato statale sovietico: Gorbaciov intendeva modernizzare il Paese, introducendo elementi di economia di mercato, riducendo il controllo centralizzato e stimolando l’iniziativa individuale.

Le riforme economiche e sociali

Le riforme economiche lanciate con la perestroika includevano quattro punti cardine:

  • privatizzazione di molti settori economici statali;
  • libertà di informazione;
  • riduzione del controllo militare e politico sui Paesi dell’Est;
  • trattati con gli Stati Uniti per il disarmo dei missili. 

 

Il cuore della perestroika risiedeva nel tentativo di riformare l’economia sovietica, rendendola più dinamica ed efficiente: si cercò di introdurre elementi di decentralizzazione nella pianificazione, di concedere maggiore autonomia alle imprese statali e di incentivare l’iniziativa privata, seppur in forme limitate e controllate. Vennero varate leggi che consentivano la creazione di cooperative e di piccole imprese private, soprattutto nel settore dei servizi; si tentò di riformare il sistema dei prezzi, rendendoli più flessibili e legati alla domanda e all’offerta; si promosse una maggiore apertura al commercio estero e agli investimenti stranieri.

Gorbaciov comprese presto che non si poteva cambiare l’economia senza toccare anche il sistema politico. Parallelamente alla perestrojka, Gorbaciov lanciò dunque la politica della glasnost, un termine russo che significa “trasparenza” o “apertura”. Le due politiche erano concepite come complementari e interdipendenti. La glasnost mirava a creare un clima di maggiore libertà di informazione, di espressione e di dibattito pubblico. Si riteneva che una maggiore trasparenza avrebbe permesso di smascherare le inefficienze e le storture del sistema, mobilitando il sostegno popolare al programma di riforme della perestroika.

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La glasnost si tradusse in una graduale allentamento della censura, nella riabilitazione di figure storiche precedentemente ostracizzate, nella pubblicazione di opere letterarie e cinematografiche a lungo proibite e in una maggiore apertura verso i media occidentali. Per la società sovietica, abituata a decenni di rigido controllo ideologico e di informazione manipolata, la glasnost rappresentò una vera e propria ventata di aria fresca. Il dibattito pubblico si animò, vennero alla luce verità scomode sul passato sovietico e si iniziarono a discutere apertamente i problemi del presente. 

Le conseguenze inattese della perestroika

La perestroika iniziò nell’anno 1985, ma le sue conseguenze si fecero sentire soprattutto alla fine del decennio. Le riforme economiche si rivelarono nel complesso lente, timide e incoerenti, ostacolate da una persistente burocrazia, dalla mancanza di un quadro giuridico e istituzionale adeguato, e dalle forti resistenze che le misure adottate incontrarono sul loro cammino. 

Applicate in modo caotico e contraddittorio, queste misure provocarono incertezza e confusione: la produzione calò invece di aumentare, i prezzi esplosero, e la scarsità di beni divenne ancora più evidente. L’intento era quello di creare un “socialismo dal volto umano”, ma i risultati furono spesso controproducenti.

La mancanza di una visione strategica chiara e di una decisa volontà politica di superare le resistenze interne al sistema condannarono le riforme economiche a un sostanziale fallimento: non riuscirono a innescare una vera e propria ripresa economica e anzi, in molti casi, aggravarono i problemi esistenti, portando a carenze di beni, inflazione e crescente malcontento popolare. 

Inoltre produssero un effetto domino: il Partito Comunista perse progressivamente il controllo, mentre si accesero i nazionalismi repubblicani, e cominciarono a diffondersi movimenti indipendentisti in molte regioni dell’URSS. A ciò si aggiunse una crisi economica crescente, aggravata dal calo dei prezzi del petrolio e da un sistema ancora troppo rigido per sostenere le aperture volute da Gorbaciov.

Anche la glasnost ebbe anche effetti imprevisti e destabilizzanti: la libertà di espressione permise l’emergere delle identità nazionali a lungo represse e rese possibile una critica sempre più radicale al sistema sovietico, erodendo la legittimità del Partito e mettendo in discussione l’unità dello Stato multinazionale. Le repubbliche baltiche proclamarono l’indipendenza, mentre in Europa orientale i movimenti indipendentisti si facevano sempre più determinati, sostenuti da rivendicazioni storiche, culturali ed economiche.

Oscillando tra la concessione di maggiore autonomia alle repubbliche e il tentativo di mantenere l’unità dello Stato con la forza, Gorbaciov non riuscì a elaborare una strategia coerente ed efficace per gestire le crescenti tensioni nazionali. La timida apertura politica incoraggiò le aspirazioni indipendentiste, mentre la persistente centralizzazione del potere e la lentezza delle riforme non riuscirono a soddisfare le richieste di maggiore autonomia.

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Dal cambiamento al crollo

La caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, fu un evento simbolico che segnò la fine della divisione europea e un importante passo verso il crollo del blocco sovietico. La crisi del potere centrale si acuì con il fallito colpo di stato dell’agosto 1991, orchestrato da elementi conservatori del PCUS che tentarono di rovesciare Gorbaciov e di riportare l’Unione Sovietica a un passato di autoritarismo. Il fallimento del golpe segnò la fine definitiva dell’autorità del governo centrale e accelerò il processo di dissoluzione dell’URSS.

Il fallimento del golpe, grazie alla resistenza popolare e alla leadership di Boris Eltsin, presidente della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, segnò la fine definitiva dell’URSS, che si sciolse nel dicembre di quell’anno. Le intenzioni iniziali della perestroika erano riformiste, non distruttive; eppure, nel tentativo di salvare il sistema, Gorbaciov finì per contribuire alla sua dissoluzione.

Oggi, la perestroika viene ricordata in modi diversi: se in Occidente, è spesso vista come un’apertura storica, un segno di progresso e di avvicinamento tra i blocchi della Guerra Fredda. In Russia, invece, il giudizio è più ambiguo: per alcuni è simbolo di coraggio e modernità, ma per la maggioranza rappresenta l’inizio di un periodo di caos e declino.

Paola Greco

Foto di apertura: White House Photographic Office, Public domain, via Wikimedia Commons

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