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“Maxi-escavi e nuovi accosti: solo così le banchine di Venezia potranno tornare a respirare” | Intervista


Venezia – «Il tema principale per il nuovo presidente sarà il miliardo di euro da spendere, che riguarda in particolare quattro progetti», afferma Andrea Scarpa, presidente di Assosped, l’associazione delle imprese di spedizione di Venezia (a giugno concluderà l’anno di proroga dopo due mandati, per la successione c’è la disponibilità di Andrea Ormesani), mentre la comunità delle banchine attende di conoscere il nome di chi guiderà l’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico settentrionale, dopo il mandato di Fulvio Lino Di Blasio.

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Andrea Scarpa

 

A che punto sono questi progetti?
«Sono già tutti alla Via, ma potrebbero comportare una Vas, verifica strategica che contempera tutti i progetti. I primi due riguardano gli escavi, perché la Laguna si interra con facilità. Sono interventi notevoli, che riguardano il canale Malamocco-Marghera, destinato a tutti i tipi di traffico, e il canale Vittorio Emanuele Marghera-Venezia, per le crociere. Oggi la stazione marittima è del tutto inutilizzata, dopo il decreto Franceschini che ha vietato l’ingresso delle navi oltre le 25.000 tonnellate nel canale della Giudecca. Sono stati spesi 50 milioni di euro, 15 anni fa, per rendere la stazione marittima una delle migliori del Mediterraneo, ma finché non sarà scavato il canale Vittorio Emanuele rimarrà completamente vuota».

Che cosa altro aspetta il nuovo presidente?
«Una criticità degli escavi riguarda i fanghi scavati, che andranno messi da qualche parte e non possono uscire dalla Laguna, dove andranno messi a dimora, e che sono in buona parte inquinati. Per la messa a dimora è già stata realizzata un’isola, che è piena, e quindi ne andrà costituita una ulteriore. Il quarto punto è il nuovo terminal nel canale sul lato Nord per due navi da 400 metri di lunghezza. Il progetto era stato acquisito da una società privata che faceva rinfuse e poi venduto all’Autorità di sistema portuale. Se questi quattro progetti vanno avanti, sperando che il ministero dell’Ambiente non si metta di traverso, sarebbe una boccata d’ossigeno per lo scalo».

In che tempi potrebbero cominciare?
«Almeno una parte sono sotto commissario il che permette tempi più veloci, si potrebbe partire in sei mesi, contiamo di vedere qualcosa a settembre o ottobre. Il prossimo presidente dovrà portare avanti questi quattro progetti. Al primo posto c’è l’isola di conferimento dei fanghi, perché per i canali andrà scavato parecchio. Ma il vero futuro del porto di Venezia sarebbe il porto offshore».

Un’idea che ritorna ciclicamente. Ma che fine farebbe il terminal container dell’area ex Montesyndial?
«Il Montesyndial sconta le problematiche del Mose. Quando le paratie sono abbassate l’accesso è limitato a navi con un pescaggio massimo di 11,50 metri. Qualche anno fa abbiamo avuto una linea diretta con il Far East di navi da 7.500 teu, poi le compagnie hanno aumentato le dimensioni fino a 8.500 e Venezia è stata bypassata. Adesso viviamo di feederaggio. L’ultima novità è far confluire al Montesyndial i terminal Tiv e Vecon, le cui concessioni sono state rinnovate per 25 anni, lasciando libere le aree attuali. Inoltre sui 25 ettari di aree si potrebbe creare una piattaforma di logistica intermodale».

A che punto è l’iter per il porto offshore?
«Due anni fa è uscito il bando di Mit e Adspper raccogliere le idee, ma un ricorso di Duferco ha allungato i tempi. Poi è stato riaperto e a fine 2024 sono arrivati undici progetti (in uno dei quali partecipa lo stesso Scarpa, ndr). In principio riguardava soltanto i container, poi sono state aggiunte le crociere su richiesta del ministero. Prevede un collegamento a terra ferroviario e stradale, con un tunnel o con un ponte. Entro giugno verranno scelti i tre progetti finalisti e entro la fine dell’anno ci sarà il vincitore».

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Pensa che questa sia la volta buona?
«Se il ministero ha deciso di fare il bando vuol dire che ha preso in mano il progetto. Certo, per realizzarlo ci vorranno almeno 8-9 anni. Nel frattempo non credo che i container potranno aumentare molto: dopo un picco negli anni passati di 550mila teu, nel 2024 ne abbiamo movimentati 300mila. Se davvero si vuole fare ripartire Venezia ci vuole il porto offshore che genererebbe servizi diretti con il Far East e forse anche con gli Stati Uniti. C’è molto traffico che origina da Venezia e che oggi passa via feeder da Pireo, Gioia Tauro o Haifa. La merce che ha fretta passa dal Tirreno».

Per il porto offshore lei partecipa a uno dei progetti.
«Si chiama Vgate, lo abbiamo depositato 6 anni fa, in origine soltanto per i container, poi si sono aggiunte le crociere. Sarebbe ubicato alla foce del Brenta, a Sud di Chioggia, con collegamento a terra. Un investimento da circa 1,2 miliardi di euro».

Esattamente un anno fa è stata istituita la Zls Porto di Venezia-Rodigino. Può fare da volano ai traffici del porto?
«La Zona logistica semplificata è uno strumento interessantissimo, ma nel 2024 su 80 milioni di euro a disposizione per il credito d’imposta ne sono stati utilizzati meno di 800mila, perché il tempo a disposizione delle imprese era soltanto di due mesi. Per quest’anno i tempi sono più lunghi, gli 80 milioni però vanno distribuiti su 6-7 Zls, quando per la Zes Unica del Sud Italia i fondi disponibili sono 2,2 miliardi. Inoltre fino a poco tempo fa non si sapeva se sarebbe stata rifinanziata anche per quest’anno. È difficile che un’azienda si metta in moto per trasferire la sua attività non sapendo se l’anno successivo il credito ci sarà ancora, non è serio. I finanziamenti dovrebbero essere previsti almeno su tre anni, è anche la posizione di Confindustria. Non è pensabile restare appesi al finanziamento ogni anno quando si decide di trasferire un’azienda. Gli imprenditori hanno bisogno di certezze».



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