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Prevenzione antisismica, 48 milioni di italiani vivono in aree a rischio


L’Italia è il paese più a rischio sismico di tutta l’area mediterranea, con il 44% del territorio nazionale considerato a rischio alto o medio-alto. Un problema strutturale che coinvolge 48 milioni di italiani e che, solo a partire dal 1968, ha provocato danni economici stimati in 135 miliardi di euro. Eppure fondi e tecnologie per proteggersi restano largamente inadeguati. È quanto emerge dall’indagine realizzata da Isaac, azienda specializzata in protezione sismica non invasiva, in collaborazione con Big – Business Intelligence Group, e fondata su oltre 500 interviste tra strutture sanitarie, enti religiosi e imprese.

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Lo studio evidenzia cinque punti da tenere in considerazione per poter meglio affrontare il problema nel prossimo futuro. Innanzitutto l’uso deficitario dei finanziamenti pubblici per l’adeguamento antisismico, come Pnrr, Sismabonus o bandi regionali, attivati da una minima percentuale delle strutture. Il secondo punto è conseguente: la prevenzione sismica non è ancora considerata una priorità, tanto che, ad esempio, solo il 14% delle Asl e il 7% delle aziende dichiara di voler investire in sicurezza strutturale nei prossimi due anni. Questo anche a causa di una percezione distorta del rischio, che porta molti gestori a ritenere la propria area “sicura” anche quando non lo è. Poi c’è la carenza di cultura preventiva, e quindi la mancanza di monitoraggi strutturali regolari. Infine, a frenare gli interventi è la burocrazia e la mancanza di supporto tecnico, con l’iter per accedere ai fondi percepito come “complesso”.

Andando ad analizzare i focus settoriali dell’indagine, vediamo come le strutture sanitarie soffrano la difficoltà di gestione dei cantieri “a ospedale aperto”. Da ciò deriva che solo il 14% delle Asl e delle Rsa ha eseguito interventi antisismici specifici nell’ultimo decennio, e che la sicurezza sismica non è una priorità per il 60% di queste. Per quanto riguarda gli immobili religiosi, bisogna tener conto del fatto che le parrocchie gestiscono mediamente da 3 a 6 edifici ciascuna, spesso vincolati e privi di diagnosi strutturale, e che gli interventi vengono finanziati soprattutto dopo eventi sismici, tramite 8×1000 o fondi straordinari Cei. Anche le imprese risultano deficitarie in questo senso, dato che meno del 10% di quelle presenti sulle zone sismiche ha adeguato i propri fabbricati, percentuale che scende ulteriormente tra le Pmi. Questo a causa non solo dei costi e della scarsa consulenza tecnica, ma anche della convinzione, spesso infondata, che l’immobile sia già conforme.

Con questo studio, Isaac cerca quindi di rafforzare il proprio ruolo di riferimento nella prevenzione antisismica, creando un osservatorio autorevole che possa servire alla futura pianificazione. “La collaborazione con Big nasce proprio dall’esigenza di avere una visione ancora più chiara e aggiornata del mercato della sismica, delle sue esigenze e delle sue evoluzioni”, commenta Alberto Bussini, ad di Isaac. “Questa attività ci ha dato accesso a dati strategici e insight preziosi, che ci permetteranno di migliorare l’efficacia delle nostre soluzioni e portare valore concreto alle comunità e agli edifici che vogliamo proteggere. È un passo importante per orientare con maggiore consapevolezza le nostre scelte strategiche e continuare a sviluppare soluzioni capaci di rispondere in modo concreto alle sfide della protezione sismica.”

Per il futuro occorre innanzitutto comunicare il rischio in modo chiaro e localizzato, con mappe interattive, stime costi/benefici e simulazioni. Poi è necessario semplificare l’accesso ai fondi, cercando contemporaneamente di fornire maggiore consulenza tecnica per superare gli ostacoli della burocrazia. Serve quindi premiare chi agisce prima, trasformando la prevenzione in vantaggio competitivo: strumenti utili in questo senso possono essere detrazioni potenziate, bonus aggiuntivi e certificazioni Esg.

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