I dati dello studio Cribis: il 45% delle aziende del nostro Paese salda alla scadenza, in crescita dal 41% dell’anno scorso. Il record della Danimarca
Per monitorare lo «stato di salute» e la solidità di un Paese un indicatore importante è il numero di aziende che paga con puntualità i propri fornitori. Un dato rispetto al quale l’Italia registra una crescita: il 45% delle imprese della Penisola effettua i pagamenti alla scadenza, contro il 41% dell’anno scorso. È quanto emerge dalla ricerca annuale realizzata da Cribis, la società del gruppo Crif che raccoglie dati sui pagamenti commerciali sia in Italia che al livello globale, tramite Dun & Bradstreet Worldwide Network di cui è partner. A presentare il report l’amministratore delegato di Cribis, Marco Preti, durante l’evento «Studio Pagamenti» tenutosi il 21 maggio a Milano, che ha sottolineato come questo dato «Confermi uno stato di miglioramento che già sapevamo da altri indicatori come il Pil, e collochi l’Italia in una posizione più competitiva rispetto agli altri Paesi europei, riducendo la distanza con la Germania, che perde invece due punti percentuali, attestandosi attorno al 61%. Interessante anche il fatto che le piccole imprese sono più virtuose delle grandi, secondo i dati adempiono infatti più velocemente ai pagamenti». Altri valori però non sono altrettanto positivi. Secondo Preti, il dato «più rilevante nella gestione del credito delle imprese» è la percentuale di aziende italiane che effettua pagamenti con ritardi di oltre 90 giorni. E questo numero è in crescita: si avvicina al 5%, dopo aver registrato un calo alla fine dell’anno.
Il confronto
Un quadro di luci e ombre dunque, nel quale rimane pressoché invariato il divario tra Nord e Sud del Paese: sono le regioni del Nord-est e quelle del Nord-ovest le più virtuose in termini di puntualità dei pagamenti, specialmente se confrontate con le regioni del Sud e le isole. Nel resto del mondo invece è la Danimarca il Paese più puntuale, con il 94% delle aziende che paga alla scadenza, seguono la Polonia (87%) e i Paesi Bassi (80%). Sono molti i fattori esogeni che influenzano le decisioni e i comportamenti delle aziende: secondo l’analista geopolitico e direttore della rivista Domino, Dario Fabbri, lo scopo dei dazi imposti da Trump non è tanto riportare la manifattura in patria, quanto più «Ridurre il surplus commerciale della Cina, che il Paese usa per la spesa militare, tecnologica, e per trasferire la ricchezza della costa all’entroterra, che è più povero non beneficiando dei floridi commerci della costa». Roberto Nicastro, chairman e co-founder di Banca Aidexa, ha fornito una panoramica dei complessi rapporti tra banche e micro imprese, che pur essendo nel nostro Paese circa 4,3 milioni, possono beneficiare di un credito complessivo che dal 2010 è sceso al 25%. Una sfida cui il sistema bancario è chiamato a rispondere, così come quella dei costi e delle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale, che sta trasformando in modo radicale i business model delle banche.Si sono infine confrontate grandi e piccole imprese, in una tavola rotonda che ha coinvolto Carmen Colangelo, credit manager Italy Bolton Food, Paolo Ferraresi, finance director Mondoffice, Andrea Frascheri, amministratore delegato Frascheri, Maria Silvestri, credit Manager Fhp di R. Freudenberg e Luigi Vignolo, direttore generale Tassani.
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