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Multinazionali italiane e competitività Nella foto: Agnese Pini, Fabrizio Onida, Francesco Maria Chelli [
Tobia Zenatti – Archivio Ufficio Stampa PAT]

In un videomessaggio Diana Bracco, Presidente e CEO del Gruppo Bracco, leader mondiale nella diagnostica per immagini, ha aperto il panel con la storia di successo della sua azienda. Il Gruppo Bracco è, infatti, una delle multinazionali più sane del Paese, che dalla sede di Milano riunisce aziende altamente specializzate nel settore delle scienze della vita dislocate in cento paesi esteri, rimanendo però a guida familiare dopo quasi cent’anni di storia.

“Investire, investire, investire, è la strada maestra per rimanere competitivi” ha raccomandato Diana Bracco sottolineando così anche il segreto della sua azienda: “Abbiamo investito con costanza e coraggio in ricerca, sviluppo e tecnologia, con la costruzione di centri di ricerca anche nelle sedi estere, acquisizioni strategiche e incentivi a startup e PMI innovative promettenti”.

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Francesco Maria Chelli, presidente di Istat da un anno, ha quindi presentato lo stato di salute complessivo delle multinazionali italiane. Secondo le rilevazioni del 2022, le imprese a controllo estero in Italia sono 18.434 (controllate da circa 100 Paesi, in particolare USA, Francia, Germania e Paesi Bassi) che occupano 1,8 milioni di addetti e fatturano 908 miliardi di euro. 

Le controllate estere di multinazionali italiane sono 25.491 (presenti in 175 Paesi, in particolare Brasile, USA, Germania, Cina). Anche queste nel complesso occupano circa 1,8 milioni di addetti con un fatturato di oltre 552 miliardi. 

La forza propulsiva delle multinazionali è soprattutto negli scambi: più dell’80% del commercio estero è condotto dalle multinazionali. Per quanto riguarda esportazioni e importazioni, le multinazionali hanno progressivamente accresciuto il loro peso sul commercio estero. Le imprese appartenenti a multinazionali a controllo italiano detengono il peso più rilevante dell’export manifatturiero (45,5%) mentre quelle a controllo estero ne generano circa un terzo (31,1%). Dal lato delle importazioni, la quota delle imprese controllate dall’estero (40,7%) è molto simile a quella delle multinazionali a controllo italiano (40,1%).

Per quanto riguarda la produttività del lavoro, le analisi confermano un più elevato livello registrato dalle imprese appartenenti a gruppi multinazionali esteri e italiani rispetto ad altre tipologie di imprese. “In generale – sostiene Chelli – si osserva una maggiore propensione all’innovazione delle multinazionali. L’impatto dirompente che le multinazionali a controllo estero hanno sull’economia italiana è proprio quello dell’innovazione: la loro spesa in ricerca e sviluppo è di oltre 6 miliardi di euro”.

Fabrizio Onida, professore emerito di economia internazionale dell’Università Bocconi, ha sostenuto la bontà di questo tipo di governance aziendale, riprendendo il tema dei dazi citato in apertura da Agnese Pini: “Le multinazionali sono oltre i dazi perché hanno già superato la fase delle esportazioni e sono diventate loro stesse delle insider nei mercati esteri. La delocalizzazione – prosegue Onida – non deve essere vista come una fuga verso l’estero bensì come una ricerca di opportunità e innovazione”. 

Secondo Onida sono molti i vantaggi competitivi delle multinazionali che dovrebbero spingere un’azienda a raggiungere quello status. C’è, per esempio, un più stretto rapporto con i buyers e un maggiore controllo della concorrenza. Si sfruttano, poi, le risorse naturali, si attinge al mercato del lavoro qualificato, c’è una maggiore collaborazione con Università e centri specializzati locali, c’è l’opportunità di coinvolgere i fornitori o di allargare e diversificare i mercati di sbocco delle esportazioni.

Lo hanno fatto per esempio multinazionali importanti con radici profonde in Italia. Oltre al Gruppo Bracco, Onida ha citato anche Leonardo, Fincantieri, Ferrero, Brembo, Mapei che si sono inserite tra le grandi multinazionali mondiali con successo.

“L’Italia – chiude Onida – è un paese spesso richiamato per le cosiddette “multinazionali tascabili” che hanno fatturati relativamente contenuti, sui 10-15 miliardi, rispetto alle grandi multinazionali ma con la caratteristica di flessibilità e adattamento che oggi è fondamentale per rimanere competitivi”.

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