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Stipendi non pagati e fabbriche chiuse Il modello cinese ha qualche problema | crisi cinese


Un’ondata di proteste sta attraversando la Cina da aprile, alimentata da stipendi non pagati e chiusure improvvise di aziende. Migliaia di lavoratori si sono mobilitati in almeno 21 tra province e città, e persino in cantieri cinesi in Indonesia, per rivendicare salari arretrati rimborsi spese e benefit. Il monitoraggio effettuato dal blog Yesterday, che documenta le protese in Cina, ha registrato oltre 60 tra scioperi e manifestazioni in settori strategici come automobilistico, edilizia, sanità, elettronica, estrazione mineraria e pubblico impiego.

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AZIENDE CINESI CHIUDONO

Emblematica la situazione di Neta Auto, ex astro nascente del mercato dei veicoli elettrici e ora protagonista di un collasso finanziario. Dal settembre 2024, l’azienda ha dimezzato i salari dei dipendenti, in alcuni casi su stipendi già ridotti al minimo previsto a Shanghai e la direzione avrebbe  sollecitato le dimissioni del personale, mentre una lettera aperta firmata da 6 mila lavoratori, pubblicata su WeChat il 30 aprile, accusa l’azienda di avere un debito individuale di oltre 100 mila yuan (circa 12.200 euro) e di falsa dichiarazione di pagamenti regolari alle autorità, per ottenere finanziamenti pubblici. Neta Auto, controllata da Hozon Auto, ha registrato perdite per 18,3 miliardi di yuan tra il 2021 e il 2023, complici strategie commerciali basate su prezzi stracciati. Le vendite, crollate nel 2024, hanno portato all’apertura di una procedura di fallimento, richiesta dall’agenzia Shanghai Yuxing a metà maggio.

A Shenzhen, 400 lavoratori della Weilixing Toys sono scesi in piazza dopo l’annuncio della chiusura della produzione data senza preavviso né indennizzi. L’azienda, che esporta in Giappone e Stati Uniti, ha imputato la decisione al calo del commercio estero. Le autorità locali hanno avviato una mediazione secondo le normative fallimentari. Una lavoratrice ha riferito che, mentre (almeno) i salari base risultano pagati, «i bonus non sono mai stati versati, neppure a chi lavora da 20 anni». I tentativi dell’azienda di trasferire la produzione a Heyuan hanno scatenato ulteriori proteste documentate da Yesterday l’11 e il 13 maggio.

Anche la Yuangao, azienda taiwanese con sede nel Guangdong, è al centro di tensioni. Il 5 maggio, centinaia di dipendenti sono stati chiusi fuori dallo stabilimento. A marzo, l’azienda aveva chiesto due mesi di congedo, provocando allarme tra i lavoratori. Un ex dipendente ha denunciato il mancato versamento dei contributi assicurativi e previdenziali, mentre la produzione veniva trasferita in Vietnam, la mensa veniva «chiusa» e le timbratrici «rimosse»; dei 6 mila dipendenti iniziali ne restano solo 2 mila, tutti in congedo forzato. Un’ecatombe.

Proteste per stipendi non pagatu si sono verificate anche alla Sengled Optoelectronics, azienda di illuminazione nello Zhejiang, in una fabbrica di protesi a Chengdu, in calzaturifici tra Guangdong e Chongqing e in imprese farmaceutiche nello Shandong.

Nel settore delle costruzioni, la crisi si estende anche ai progetti all’estero: in Indonesia, lavoratori interinali attivi nella zona del Kalimantan settentrionale non hanno ricevuto i salari di gennaio e aprile; il 6 maggio hanno indetto uno sciopero contro la China Nonferrous Metals Industry’s 12th Metallurgical Construction, azienda attiva in un progetto della Nuova Via della Seta. Altri scioperi sono stati segnalati in Mongolia Interna, Sichuan, Guangdong, Hunan e Hong Kong. A Laizhou, nello Shandong, gli operai coinvolti in un impianto fotovoltaico denunciano il mancato pagamento degli stipendi da inizio 2025. Sempre in Indonesia, proteste simili hanno coinvolto lavoratori della China 19th Metallurgical Group e della China National Chemical Engineering Sixth Construction.

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E, a dimostrazione che questa crisi è diffusa in ogni parte della Cina, a Pechino, i dipendenti del parco tematico Visionland Liuzhou attendono il pagamento dello stipendio da cinque mesi. E non si salvano nemmeno “gli statali” (ammesso che in Cina vi sia una reale differenza tra settore pubblico e settore privato): a Jinan i professori a contratto sono anche loro senza stipendio perché l’ente pubblico da cui dipendono è rimasto senza soldi. E tutto questo sta avvenendo anche mentre i dazi americani sono sospesi. Forse, è giunto il momento che alcuni analisti occidentali rivedano il  loro concetto di “potenza economica” cinese.



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