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«Le rinnovabili? Bolla speculativa che arricchisce pochi e devasta l’ambiente»


«È un tipico fenomeno che si osserva nelle relazioni tra economia e politica: si chiama “cattura regolatoria”, branca della political economy, che studia il sistema usato dal privato – in certe condizioni – per influire sulla sfera pubblica orientando la legislazione a favore del proprio settore. Nel caso delle energie rinnovabili, gli effetti sono i contributi massicci erogati dallo Stato per i progetti di pale eoliche e pannelli fotovoltaici con i quali si vorrebbero foderare campagne, colline, le pendici del Limbara, perfino spicchi di mare davanti alle coste di Gallura, Riviera del corallo, Sulcis e Cagliaritano. Iniziative che sacrificano l’ambiente, redistribuiscono il reddito arricchendo solo chi le porta avanti, limitano le occasioni di sviluppo per chi vive in quel territorio. Una certa narrazione ha coniato lo slogan “rivoluzione green”, ma la realtà è che si scaricano i costi sulle spalle di cittadini e imprese attraverso le bollette. Ecco perché il prezzo dell’energia può solo aumentare, come già avviene».

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Tempiese cresciuta a Olbia, Maria Giovanna Bosco vive a Milano e fa ricerca all’università di Ancona, dopo aver insegnato Macroeconomia, Economia internazionale ed Europea ed Economia del lavoro alla Bocconi, nell’ateneo Milano-Bicocca, al Politecnico di Milano, alle università di Modena e Reggio-Emilia, alla Marshall school of finance (University of Southern California, Los Angeles). Su L’Industria, la rivista edita da Il Mulino, ha pubblicato una dettagliata analisi sul “Caso Sardegna” che sarà illustrata a fine giugno a Oslo: «L’idea di impegnarmi nello studio sulla transizione energetica nasce da diverse ragioni. Primo: mi occupo di transizione ecologica all’università Politecnica delle Marche. Motivo numero due: ho un’attenzione personale per quanto sta accadendo in Sardegna, dove si vorrebbe produrre un settimo dei gigawatt previsti dai progetti presentati in tutta Italia: 52,88 contro 354.35. È chiaro che qualcosa non torna». A Olbia per il fine settimana, accetta di parlare a una condizione: «Ciò che ho scritto riguarda me e non può essere attribuito in alcun modo all’ateneo nel quale lavoro attualmente».

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Cos’ha scoperto?

«Sono partita dagli elementi narrativi – proteste dei comitati di cittadini, articoli sui giornali – per cercare i fatti che indicano l’infiltrazione del mondo dell’industria nella politica, al punto che il processo decisionale e politico è stato asservito agli interessi di soggetti privati ben definiti. A far da cornice le norme che agevolano gli espropri, il tentativo di silenziare i movimenti di opposizione per conquistare il pubblico con una narrativa ad hoc. C’è una dinamica industriale che include aiuti di Stato nonostante il generale divieto europeo: investire in sanità no, perché c’è il vincolo di bilancio, che invece cade per le rinnovabili. Il risultato è che il soggetto pubblico ha finito per portare avanti le esigenze dei privati spacciandole per interesse generale. Non solo: c’è l’evidenza scientifica che l’obiettivo di ridurre l’emissione della CO2 è una chimera, perché a livello globale tutti tranne l’Europa continuano a investire in fonti fossili. Il nostro sforzo per quanto lecito, degno, moralmente accettabile, sarà inutile. Il mio compito si conclude con la raccolta dei dati di fatto. Ovviamente può essere solo un magistrato a individuare i potenziali reati, a capire se e quando è stato commesso un danno ambientale, se c’è stato un interesse privato in atto pubblico, corruzione e così via. So che è stato presentato anche un esposto a tutte le Procure della Sardegna dal Comitato per l’Insularità».

Il libero mercato non vale per gli impianti di rinnovabili?

«Già nel 2014 il professore di economia politica Ross McKitrick denunciava il problema per l’Ontario, nel civilissimo Canada. Diceva: “Purtroppo l’idea di dover decarbonizzare a tutti i costi ha indirizzato il sistema degli incentivi economici quasi esclusivamente verso le rinnovabili che però dal punto di vista economico sono fallimentari”. Perché ciò che richiedono per l’installazione e quel che provocano in termini di danno ambientale è un’enormità rispetto a ciò che producono. Non difendo le fonti fossili o il nucleare, ma nel confronto sulla produttività non c’è paragone. Per questo motivo l’unico modo per rendere sostenibili l’eolico e il fotovoltaico è che lo Stato intervenga foraggiando i progetti, annullando la concorrenza e diventando il primo cliente per vent’anni di attività, offrendo la garanzia di acquistare l’energia a un determinato prezzo. Un’attività senza rischi per chi possiede le società che, di riflesso, ha cancellato il libero mercato».

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Corruzione?

«Comportamenti criminali ci sono già stati e sono stati sanzionati, ne cito alcuni nell’indagine, così come sono accertate le infiltrazioni mafiose».

L’energia costerà meno?

«Le promesse di agevolazioni in bolletta sono falsità. Un rapporto di Morgan Stanley di marzo 2025 evidenzia che i prezzi in Europa sono cresciuti da due a quattro volte più degli Stati Uniti, cinque-sette volte più di Cina e India».

Chi ha deciso di indirizzare i progetti verso la Sardegna?

«Sicuramente la scelta non è stata fatta dalle comunità locali. Nel 2021 l’Enel l’ha individuata in alcuni comunicati come futuro hub energetico del Mediterraneo. La digitalizzazione estrema verso la quale stiamo andando ha bisogno di una quantità enorme di energia, mi chiedo: c’entra qualcosa il disegno sul futuro della Sardegna? Di sicuro la mercificazione del sole e del vento rischia di perpetuare un atteggiamento neocolonialista da parte delle istituzioni nei confronti dell’Isola».

I rischi?

«Da un punto di vista identitario, culturale e psicologico veder deturpato il paesaggio è una forma di violenza che equivale a perdere una parte di se stessi: come se mi guardassi allo specchio e non mi riconoscessi più. Da una prospettiva economica, stravolgere l’ambiente farebbe diventare la Sardegna meno appetibile e incepperebbe il turismo: chi mai vorrebbe andare in vacanza in un paradiso industriale fatto di pale e pannelli fotovoltaici? Penso a Tempio, il gioiello del nord est che rischia di essere snaturato sulla spinta dell’affitto dei terreni per impianti che arricchiscono pochi e danneggiano tutti. Alcuni proprietari che ho intervistato si stanno pentendo perché non è certa neppure la redditività: quando finirà il ciclo di vita l’impianto sarà abbandonato e i costi di smaltimento sono enormi. Come è accaduto a Nasca, sull’isola di San Pietro: le pale sono lì da decenni anche se non funzionano».

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Ha analizzato la legge regionale sulle Aree idonee?

«La Regione l’ha varata rifiutando di valutare la Pratobello, nata su iniziativa popolare e sostenuta da centinaia di migliaia di firme. Si basava sulla prerogativa assoluta in materia urbanistica. Ho intervistato un esponente della Giunta regionale, mi ha detto: “Sarebbe stata impugnata dallo Stato per incostituzionalità”. Di sicuro questa sorte è toccata alla Moratoria e alla legge 45 sulle Aree idonee. Dunque, c’è stata incompetenza o malafede?».

Cos’è l’ambientalismo industriale di cui scrive?

«Propone una transizione che di verde ha solo l’aggettivo. È ancorato a norme che consentono l’utilizzo di parchi, foreste e aree agricole per impianti di energia fotovoltaica, eolica, termovalorizzazione dei rifiuti e, in generale, di qualsiasi altra fonte energetica non fossile. Un tempo la legge era più restrittiva, la realizzazione era limitata alle aree incolte o degradate del territorio. Oggi se un agricoltore o un piccolo proprietario terriero non desidera vendere o affittare i propri terreni sui quali deve nascere un parco eolico, le norme prevedono l’esproprio. Ed è in questo passaggio che, per l’ambientalismo industriale, risiede il significato della transizione ecologica: passare da un modello economico territoriale ad alto contenuto occupazionale basato su agricoltura di qualità, turismo e cultura, a un modello industriale specializzato nella produzione di energie alternative, a basso contenuto occupazionale e con rendimenti molto elevati. Va da sé che alla base ci sia un ambientalismo fasullo che danneggia l’economia, non crea posti di lavoro, impoverisce il territorio e cancella i paesaggi per cui siamo famosi nel mondo. Si cita sempre la Danimarca, patria dell’eolico: vi risulta che qualcuno vada fin lì per ammirare le pale?».

L’atteggiamento delle associazioni ambientaliste?

«Tranne Italia Nostra e alcuni piccoli movimenti, fingono di non vedere gli interessi di chi fino al giorno prima produceva CO2 a tutto spiano e oggi si è raffrescato l’immagine – tipo l’Erg a Saccargia – buttandosi nel business delle energie rinnovabili».

Perché non è stato individuato un tetto alla produzione?

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«Può essere stata una svista del legislatore, oppure un riflesso del dolo sottostante, cioè l’aver creato volutamente una bolla speculativa simile a quella dei mutui subprime che nel 2008 terremotò l’economia mondiale».

Cita aziende che hanno costi operativi annuali di 28 mila euro e incassano incentivi per tre milioni?

«Mi sono limitata a raccogliere i dati di numerose aziende del settore: tutte hanno in comune una sproporzione tra costi e soldi ricevuti dallo Stato».

La via d’uscita?

«Basterebbe coprire i capannoni industriali con i pannelli fotovoltaici: gli obiettivi sarebbero raggiunti senza cementificare le vigne. Se poi si aggiungessero tutti i tetti delle case sarebbe risolto il problema italiano, tenendo presente che per “stabilizzare” il sistema energetico sarebbero comunque necessari anche i combustibili fossili».

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«Il potenziale sardo è molto elevato quanto inutilizzato, secondo solo a quello della Toscana. Per la produzione di energia elettrica si potrebbe prelevare acqua bollente in profondità per poi reimmetterla nel sottosuolo. In questo modo si creerebbe un ciclo produttivo interamente rinnovabile. Non mi sembra che qualcuno sia intenzionato a farlo».

Paolo Paolini

© Riproduzione riservata



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