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GREEN DEAL IN CRISI: RETROMARCIA FRANCIA E GERMANIA


Il Green Deal europeo è in crisi. Ora anche Germania e Francia fanno retromarcia sul piano per la sostenibilità. Lo stesso Macron ha dichiarato che la legge andrebbe cancellata allineandosi al cancelliere tedesco che di recente aveva auspicato la completa abrogazione del Green Deal. Una netta presa di posizione dunque da parte dell’asso franco-tedesco sul piano che fa tanto discutere e ha da sempre trovato la radicale opposizione delle destre europee.

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La svolta del presidente francese arriva dalle preoccupazioni relative ai costi di conformità al Green Deal da parte delle aziende. Secondo la legge europea, infatti, le aziende dovrebbero monitorare l’impatto ambientale e umano nelle loro attività. Un fattore che suscita perplessità anche sui limiti che verrebbero posti alla competitività industriale. Ursula von der Leyen ha risposto a questi timori proponendo semplificazioni normative e un ammorbidimento della legge, ma potrebbero non bastare a far cambiare idea ai due paesi.

La ritrovata intesa tra Parigi e Berlino sul piano energetico, dunque, riparte con uno smacco a Bruxelles e smaschera l’ipocrisia del Green Deal che in nome della sostenibilità rischia di porre troppi paletti alle industrie autoctone. Una retromarcia inaspettata dato che fu la stessa Francia a sostenere una legge che imponesse il monitoraggio delle filiere. Oggi però le cose sono cambiate e gli Stati europei non possono permettersi di perdere terreno con la situazione economica e geopolitica in cui si trovano. Rispetto alle industrie cinesi e statunitensi, forti delle deregolamentazione voluta da Trump, quelle europee navigano in acque turbolenti.

Con il Corporate Sustainability Due Diligence Bruxelles rischia di danneggiare le sue stesse imprese sul piano internazionale imponendo loro requisiti impossibili, anche in paesi dove il diritto europeo non vale nulla. Sul piano pratico, garantire il rispetto ambientale significa dover bloccare l’attività industriale con annessi costi di contenziosi legali. Un modo non per incentivare le imprese europee ma per spingerle a delocalizzare, fuori dalle normative europee.

Normative troppo severe danneggiano le imprese europee

Non solo la destra si oppone al Green Deal ritenendolo un attacco alle industrie europee, ma i dubbi sui costi e sulla fattibilità di questa legge sorgono anche ad altre parti politiche. Anche il Ppe accusa le politiche ambientali dell’Unione di aver danneggiato gli agricoltori e di essere responsabile dei prezzi proibitivi dell’energia. Che la transizione energetica sarebbe stata onerosa, non era un mistero. I paesi membri erano consci dei sacrifici e degli investimenti cospicui richiesti.

Ora però non sono pronti a sacrificare la stabilità sociale ed economica ed immolare la competitività delle proprie aziende in nome di una potenziale svolta sostenibile. Con le tensioni commerciali che arrivano oltreoceano l’Europa fa sempre più fatica, per questo dovrebbe evitare di mettere il bastone fra le ruote alle sue stesse aziende portando avanti battaglie ideologiche e poco attuabili sul piano concreto, come dimostrano le numerose battute d’arresto che il piano ha subito finora. L’Unione europea per rendere le proprie aziende sostenibili ha bisogno di una legislazione praticabile ed efficace senza ideologismi.

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Le due principali economie europee sfidano Bruxelles schierandosi al fianco di paesi come l’Italia che da sempre ha espresso le sue preoccupazioni per il Green deal. Se prima erano fermi sostenitori della necessità di controllare e ridurre l’impatto ambientale delle proprie aziende, Francia e Germania ora ritengono che l’Ue abbia esagerato. Le pressioni dei due paesi, unite a quelle internazionali, impongono a Ursula von der Leyen un ridimensionamento delle sue politiche.





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