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Iscrizione al VIES dei non residenti: garanzia per Paesi non collaborativi


Un obiettivo per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto viene chiamato SVRSingle Vat Registration: i soggetti di imposta di uno Stato UE dovranno poter operare utilizzando solo la partita IVA dello Stato della loro sede. La recente direttiva VIDA (VAT In Digital Age) – Dir. UE 2025/516 prevede dal 1° luglio 2029 un regime unificato tra deposito all’estero e call-off stock, gestito con uno speciale OSS – One Stop System, per non dover aprire partite IVA nello stato in cui viene gestito un deposito per la vendita di beni ad una pluralità indistinta di soggetti.

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Il documento con cui l’Ufficio Studi del Parlamento europeo ha illustrato, nello scorso mese di febbraio, gli obiettivi e gli strumenti del nuovo atto – tra l’altro elogiando il sistema di interscambio della fatturazione elettronica italiana – riguarda le frodi della CP42 (dal numero della procedura doganale), con cui il bene proveniente da Paesi terzi viene “immesso in libera pratica”, con il pagamento dei dazi, ma non dell’IVA, dichiarando una prosecuzione verso altri Paesi europei, dove l’IVA dovrebbe essere assolta dal soggetto d’imposta destinatario

La norma è nell’art. 67 del DPR 633/72 (“legge IVA”): al c. 1 lett. a): costituiscono importazioni anche le immissioni in libera pratica. In passato questa operazione era inclusa nel successivo art. 68, sulle importazioni non soggette ad imposta, in quanto l’IVA è dovuta, ma solo il pagamento è sospeso sino all’uscita dei beni verso un soggetto di imposta di altro Stato UE (art. 67 c. 2-bis e 2-ter DPR 633/72), eventualmente dopo l’esecuzione delle “manipolazioni” autorizzate dall’autorità doganale. Queste operazioni non modificano la natura del bene, ma sono intese a garantirne la conservazione, a migliorarne la presentazione o la qualità commerciale o a prepararlo per la distribuzione o la rivendita, come la cernita o il confezionamento.

Un’altra importante sospensione di imposta nell’immissione in libera pratica, con possibile destinazione finale anche in Italia, consegue all’introduzione in un deposito fiscale (art. 50-bis DL 331/93). In questo caso i controlli sono cambiati nel tempo e sono ora più intensi.

Tornando alla prosecuzione verso un altro Stato dell’Unione, il documento di controllo è il  modello INTRASTAT cessioni, presentato alla dogana. Come è possibile che siano state attuate frodi, che sono alla base delle nuove misure di garanzia che stanno entrando in vigore?

I listing, che noi chiamiamo INTRASTAT perché abbiamo abbinato le informazioni statistiche, non sono efficaci allo scopo di un controllo effettivo ed efficace. In primo luogo solo pochissimi Paesi, tra cui il nostro, hanno imposto il listing degli acquisti e pertanto non è mai stato messo in opera un sistema automatico di controllo incrociato. Bisognerà aspettare il 1° luglio 2030 per l’obbligo di fattura elettronica europea: nel momento in cui viene emesso questo documento da chi ha spedito la merce sarà contestualmente caricato nel sistema informativo del destinatario, e quindi sarà possibile verificare se questo soggetto adempie gli obblighi del tributo.

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Il documento del Parlamento europeo parla di una sola frode da mancato assolvimento dell’IVA a destino, che ha causato un’evasione per 310 milioni di euro, indicando anche l’evidenza nei rapporti dei revisori europei di quattro diversi anni.

Fatta questa premessa, dobbiamo rammentare che il soggetto passivo non stabilito nel territorio nazionale può acquisire direttamente la partita IVA italiana con l’identificazione diretta al Centro Operativo di Pescara (art. 35-ter DPR 633/72), ma solo se è stabilito in altro Stato dell’Unione o in uno Stato aderente allo Spazio Economico Europeo (Norvegia, Islanda, Liechtenstein). La norma parla anche di localizzazione in Paesi terzi che garantiscono la reciproca assistenza fiscale, ma al momento l’unico riconoscimento va riferito ai soggetti stabiliti in Gran Bretagna (Ris. AE 1° febbraio 2021 n. 7/E).

Anche il soggetto identificato direttamente avrà bisogno di un professionista che provveda agli adempimenti, ma lo status è completamente diverso da quello del rappresentante fiscale.

Facciamo un esempio: se il soggetto estero deve versare 10.000 euro di IVA, ha ricevuto questa informazione e non lo fa:

  • il consulente non è responsabile. Lo sarebbe solo avesse detto di non versare;
  • il rappresentante fiscale è solidalmente responsabile. Quindi il fisco chiede a lui i 10.000 euro, anche se lui ha sollecitato il soggetto estero ad adempiere.

La figura del rappresentante fiscale è innanzitutto rischiosa per chi accetta questo incarico, e negli ultimi tempi l’amministrazione finanziaria italiana ha posto importanti condizioni di garanzia indiretta o diretta, per evitare che questa funzione venga esercitata da un prestanome:

  • il rappresentante fiscale deve avere i requisiti soggettivi di onorabilità richiesti per i soggetti autorizzati alla prestazione di assistenza fiscale (art. 17 c. 3 DPR 633/72, per rinvio all’art. 8 c. 1 lett. a, b, c, d DM 31 maggio 1999);
  • deve prestare una garanzia soggettiva, graduata anche in relazione al numero di soggetti rappresentati. Così il Provv. AE 17 aprile 2025 n. 186368. Ha suscitato perplessità il riferimento al solo numero di soggetti rappresentati: chi lo fa per uno solo non deve prestare garanzia anche se si tratta di un soggetto di grande rilievo.

La nuova disposizione, che entrerà in vigore il 13 giugno 2025, a 60 giorni dal 14 aprile 2025, data del Provv. AE 178713/2025, trova fondamento nel nuovo c. 7-ter dell’art. 36 dpr 633/72 e nel DM 4 dicembre 2024, si applica per ciascun soggetto, non stabilito in Italia e nemmeno nell’Unione europea o Stati assimilati, che chiede l’iscrizione al VIES. Questa è possibile solo previa prestazione di garanzia.

Trascuriamo le modalità alternative, che replicano quelle di cinquant’anni fa quando i titoli di Stato erano materializzati e si portavano direttamente all’amministrazione finanziaria in una busta: oggi le garanzie sono bancarie o assicurative e chi le rilascia – se del caso – prenderà lui a garanzia dei titoli dematerializzati.

Gli elementi che interessano sono due:

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  • il massimale della garanzia, che deve essere di almeno 50.000 euro. Mancano peraltro i criteri per la fissazione di un eventuale diverso maggior importo;
  • la durata della garanzia, che deve essere a prima richiesta per 36 mesi.



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