All’Assemblea di Confindustria il presidente Emanuele Orsini si è presentato con una lista di richieste all’Italia e all’Europa. Al governo italiano gli industriali chiedono 8 miliardi di euro all’anno per sostenere gli investimenti, oltre a soluzioni concrete al caro energia. Per l’Unione europea, invece, la richiesta è di alleviare gli oneri burocratici, ma anche di permettere alle politiche industriali la stessa flessibilità di bilancio che è stata concessa in materia di difesa. Ad ascoltare le istanze degli industriali, in prima fila, sono la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, che prendono nota prima di salire a loro volta sul palco. “Sento la responsabilità di promuovere un cambio di mentalità”, dichiara Metsola, rinnegando alcune delle iniziative promosse dall’Unione europea negli ultimi anni. “Sono d’accordo, presidente, sono d’accordo”, ripete a più riprese Meloni, che promette di essere già al lavoro per rispondere alle esigenze delle imprese. Pur senza prendere impegni certi su nuovi investimenti.
“Dobbiamo darci un obiettivo di crescita ambizioso: raggiungere almeno il 2% di crescita del Pil nel prossimo triennio, da consolidare e aumentare nel tempo”, è il desiderio espresso dal presidente di Confindustria. Per raggiungere il target, Orsini ha chiesto al governo più investimenti in spesa pubblica produttiva, ma anche incentivi affinché le imprese possano generare ricchezza. In questo senso, il primo passo dovrebbe essere un piano di sostegno agli investimenti di 8 miliardi di euro all’anno per i prossimi tre anni, meglio se cinque, da avviare immediatamente. Orsini ha poi denunciato il forte sovraccosto energetico che penalizza le imprese italiane rispetto alle concorrenti europee, chiedendo di “entrare subito nella logica del disaccoppiamento” tra il prezzo dell’energia da fonti rinnovabili e quello del gas. Il presidente ha quindi puntato il dito contro la burocrazia che ostacola l’apertura di nuovi impianti di rinnovabili in Italia e ha chiesto un’accelerazione sul ritorno al nucleare, necessario per assicurare all’industria la continuità dei rifornimenti.
Nel suo intervento di replica, Meloni ha sottolineato che il governo ha già stanziato circa 60 miliardi per fronteggiare il caro energia, “l’equivalente di due leggi finanziarie”, pur riconoscendo che “continuare a tamponare spendendo soldi pubblici non può essere la soluzione”. La presidente ha ricordato gli strumenti già a disposizione delle imprese, come i contratti pluriennali a prezzo fisso per l’energia da rinnovabili, ma anche la trattativa in corso con la Commissione europea sull’energy release e il gas release. Inoltre, ha annunciato un’analisi sul funzionamento del mercato elettrico italiano per individuare possibili anomalie nella formazione del prezzo unico nazionale, “perché sarebbe inaccettabile se ci fossero speculazioni sulla pelle di chi produce e crea occupazione”. Meloni ha poi confermato l’intenzione di “riprendere il cammino del nucleare, puntando alle tecnologie più innovative per realizzare mini-reattori sicuri e puliti”. Sull’energia, insomma, la porta è aperta.
Del piano straordinario da 8 miliardi all’anno, però, la presidente non ha fatto cenno. “Abbiamo già individuato nell’ambito della prossima revisione del Pnrr circa 15 miliardi di euro, che vorrei fossero rimodulati per sostenere l’occupazione e la produttività”, si è limitata a ricordare, “così come intendiamo cogliere le opportunità che possono arrivare dalla revisione della politica di coesione”. A questo, Meloni ha aggiunto la sua disponibilità a correggere in base delle esigenze delle imprese gli incentivi Transizione 4.0 e Transizione 5.0, strumenti che vorrebbe includere nella revisione del Pnrr. ma si tratta di una razionalizzazione di risorse già stanziate, niente soldi freschi.
Pieno sostegno, invece, alla battaglia per sburocratizzare l’Unione europea, a partire dalla rimozione dei “dazi interni” che secondo il Fondo Monetario Internazionale equivalgono a tariffe del 44 per cento sui beni e del 110 per cento sui servizi. “È ora di dire basta a quella iper-regolamentazione che ha soffocato il nostro sviluppo”. Proprio su questo fronte si è concentrata la prima delle richieste di Orsini all’Unione europea. “Bisogna avviare una drastica semplificazione del sovraccarico di regolamenti e direttive europei che si è abbattuto su ogni settore industriale”, ha detto il presidente degli industriali, sostenendo che, se l’Ue riuscisse a diminuire le barriere interne al mercato unico, “la sua produzione aumenterebbe del 6,7%, ovvero oltre mille miliardi di euro”. La seconda richiesta, invece, riguarda ancora una volta gli investimenti, da attivare con un piano straordinario per l’industria sul modello del Next Generation EU. Inoltre, Orsini ha chiesto a Bruxelles la piena realizzazione del mercato unico dei capitali, nonché la conclusione dell’accordo commerciale con il Mercosur, a cui affiancare trattative con Australia, India, Paesi Asean e Unione Africana.
A rispondere all’appello di Confindustria è stata in questo caso la presidente del Parlamento europeo. Nel suo intervento, Metsola ha disconosciuto molte delle iniziative europee finite nel mirino degli industriali, soprattutto nell’ambito del Green Deal. “Abbiamo visto provvedimenti di grande effetto mediatico, ma di breve respiro, che hanno intaccato la nostra competitività”, ha ammesso la presidente, che ha accolto con favore le richieste di sbloccare gli investimenti privati e costruire un mercato dei capitali. Facendo propria una battaglia di Matteo Salvini, Metsola si è quindi lanciata in una critica contro l’eccesso di regolamentazione: “Le storie di successo e non i tappi attaccati alle bottiglie di plastica devono essere il simbolo delle priorità europee”. L’Europa, secondo la presidente, deve quindi essere capace di “correggere la rotta”, mantenendo la leadership ambientale senza per questo penalizzare imprese e agricoltori. Anche a condizione di tornare indietro sui propri passi.
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