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Golden power, ecco perché Bruxelles potrebbe bocciare l’intervento del governo italiano sulle banche




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Ultim’ora news 27 maggio ore 20


La presentazione la scorsa settimana delle proposte di Assonime e dell’Osservatorio Golden Power per una revisione della normativa sui poteri speciali golden power e delle relative procedure ha rappresentato un’utile occasione di discussione: che ha avuto però come sfondo il tema dei limiti di applicazione della normativa, sia in termini di campo di applicazione che dei soggetti interessati.

Ha ragione il ministro Giorgetti quando sostiene che «sulla sicurezza nazionale decide lo Stato, non l’Europa»: ma cosa si intende col termine sicurezza? E cosa si intende in particolare in relazione all’esame di operazioni di concentrazione? In generale, il diritto europeo prevede che le Quattro Libertà su cui è fondato il Mercato Unico – delle merci, delle persone, di stabilimento e di prestazione dei servizi, dei capitali – non possano essere limitate dagli Stati nazionali in maniera discrezionale: tranne che in relazione a questioni relative alla difesa e all’ordine pubblico, che sono prerogative dei singoli Stati.

I limiti degli interventi nazionali

Per quel che riguarda il controllo delle concentrazioni l’articolo 21 del Regolamento Europeo sul controllo delle concentrazioni (139/2004) prevede la possibilità di interventi nazionali quando le operazioni riguardino la sicurezza (di nuovo, la difesa e l’ordine pubblico), il pluralismo dei mezzi di informazione, le regole prudenziali. Limiti quindi abbastanza ristretti, al di fuori dei quali occorre il consenso della Commissione per imporre eventuali misure.

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Limiti che però non sembrano valere per la normativa golden power a cui si riferiva il ministro. La quale a partire dalla fine dello scorso decennio ha sostanzialmente ampliato le possibilità di intervento degli Stati nazionali, seguendo le indicazioni proprio della Ue, che con il Regolamento sugli investimenti esteri (452/2019) ha sollecitato gli Stati membri a introdurre procedimenti di controllo degli investimenti di imprese extra europee, al fine di evitare l’acquisizione di attività a carattere strategico da parte di soggetti esterni alla Ue potenzialmente a rischio, come quelli cinesi, di essere soggetti al controllo governativo.

Il disallineamento tra le intenzioni del legislatore e le applicazioni

Come conseguenza, il campo di applicazione della normativa italiana si è progressivamente esteso a svariati settori: dalle comunicazioni all’energia, al digitale e all’alimentare e anche al finanziario (secondo gli autori del Rapporto, comunque anche troppi). E questo ampliamento giustificherebbe allora anche le misure relative ad aggregazioni tra banche a cui si riferiva il ministro.

Senonché il campo di applicazione della normativa italiana è molto più esteso di quanto previsto dal Regolamento Europeo sugli investimenti esteri, dal momento che non si applica solo a operazioni e investimenti da parte di imprese extra-europee o da queste controllate, ma anche a operazioni tra imprese europee o addirittura tra imprese italiane.

Si è così creata una discrasia tra le originarie intenzioni del legislatore europeo e la applicazione nazionale (e per la verità questo vale anche per altri importanti Paesi europei), con conseguenze rilevanti: infatti, alle operazioni che esulano dall’ambito di applicazione del Regolamento Europeo non saranno applicabili le relative eccezioni alla libertà di stabilimento.

Esse dovranno invece essere valutate alla luce dei criteri previsti da normative volte a tutelare il funzionamento del Mercato Unico o altri interessi previsti nei Trattati, come le norme per la tutela della concorrenza o le normative di settore. Come noto, questo principio è stato stabilito dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia Europea in alcune importanti decisioni relative ad operazioni in Ungheria.

I casi ungheresi

In particolare, in un caso (Vig/Aegon) il governo ungherese ha ritenuto di utilizzare i poteri speciali nei confronti dell’acquisizione di una compagnia di assicurazione ungherese da parte di un gruppo austriaco, autorizzata dalla Commissione sulla base del Regolamento Concentrazioni, vietando l’acquisizione delle filiali ungheresi che riteneva contraria agli interessi nazionali. La Commissione ha ordinato al governo di ritirare il suo veto all’operazione.

Nel caso Xella, riguardante un’operazione di concentrazione soggetta al solo controllo delle concentrazioni nazionale, la Corte di Giustizia Europea ha ritenuto che l’uso dei poteri speciali sulla base dell’argomento dell’interesse nazionale al controllo dell’estrazione dei materiali di costruzione, fosse comunque incompatibile con il diritto di stabilimento stabilito dai Trattati. E ciò anche se l’operazione riguardava solo l’Ungheria: infatti il fatto che una delle imprese operasse in diversi stati dell’Unione faceva sì che l’operazione potesse comunque rivestire rilevanza ai fini del diritto europeo e della libertà di stabilimento, che non può quindi essere condizionata, nemmeno indirettamente.

Regolamento in fase di revisione

Il dubbio circa l’ambito di applicazione del golden power, in Italia e in altri Paesi, non è quindi ingiustificato. Se la Commissione finora non è intervenuta, tranne che nei casi ungheresi, è probabilmente dovuto al fatto che l’originario Regolamento è in fase di revisione: ed è nel contesto di introduzione di un nuovo testo, in cui si prevede di introdurre un vero e proprio obbligo per gli Stati membri di dotarsi di meccanismi di controllo degli investimenti extra-Ue, che potranno porsi le questioni di compatibilità con le esistenti normative nazionali.

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E tuttavia l’intervento non c’è stato probabilmente anche perché non ci sono stati casi altrettanto contenziosi come quelli ungheresi: è da questo punto di vista che vanno considerati i segnali provenienti dalla Commissione circa l’avvio della procedura di informazione Eu Pilot in relazione a misure (rivelate da MF-Milano Finanza sul numero di ieri) la cui inclusione nel criterio della sicurezza nazionale potrebbe sollevare dubbi e in cui la probabilità di contenzioso appare elevata. (riproduzione riservata)



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