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La nuova giungla delle partite Iva: giovani, digitali e (quasi) poveri


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Giovani liberi e sottopagati: il boom delle partite Iva sotto i 35.

Altro che startupper milionari o freelance in coworking di lusso. Il volto delle nuove partite Iva in Italia ha meno a che fare con la Silicon Valley e più con la precarietà camuffata da libertà. Sono giovani sotto i 35 anni, lavorano in remoto, spesso da casa e si barcamenano con fatturati sotto i 30 mila euro annui. Ma la sorpresa è che quasi tutti lo rifarebbero: 84% convinti della loro scelta, nonostante tutto.

È questo il profilo che emerge dai dati raccolti dall’Osservatorio di Fidocommercialista, piattaforma nata per supportare lavoratori autonomi e freelance. Il quadro è chiaro: la nuova ondata di professionisti indipendenti è giovane, digitale e poco garantita.

Il grande ritorno dell’autonomia, ma sotto i 30 mila euro l’anno

Nel 2024 sono state aperte quasi 500 mila nuove partite Iva, in lieve aumento (+1,3%) rispetto al 2023. Ma il numero, pur in crescita, resta bloccato sotto la soglia psicologica delle 500 mila: una barriera che si superava agevolmente prima del 2020. Segno che l’entusiasmo per l’autonomia si è fatto più cauto.

La maggior parte delle nuove aperture è intestata a persone fisiche (67,8%), seguite da società di capitali (24,5%) e una minoranza di soggetti esteri o forme giuridiche ibride. Nel complesso, le partite Iva attive in Italia superano i 4 milioni, con il commercio che ancora domina (22%), seguito da costruzioni e professioni tecnico-scientifiche (entrambi al 12%).

Il lavoro ibrido e con entrate ballerine

Un Paese che forma donne brillanti e giovani capaci, ma che poi li relega in un mondo del lavoro autonomo ancora profondamente maschile e sbilanciato. Perché il vero problema non è l’apertura della partita Iva, è sopravviverci.

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Il lavoro autonomo è ormai più digitale che fisico. Secondo l’indagine di Fidocommercialista su quasi 4.000 professionisti, l’81% lavora anche online, e più di uno su tre lavora solo sul web. È il nuovo nomadismo professionale: flessibilità sì, ma spesso instabilità permanente.

Il reddito medio non è proprio da sogno: tra 1.800 e 2.800 euro al mese, con un picco natalizio e un tracollo estivo. Insomma, una montagna russa economica, dove il 56,1% degli intervistati ammette di non riuscire a garantirsi stabilità con il solo lavoro autonomo.

Freelance per scelta o per mancanza di alternative

La narrazione ufficiale parla di “scelta consapevole“, “indipendenza“, “realizzazione personale“. Ma a guardare i numeri, viene da chiedersi se non siamo davanti a una gigantesca zona grigia tra entusiasmo e necessità. La verità probabilmente sta nel mezzo. Ma finché il sistema fiscale resta opprimente, il welfare resta inesistente per i freelance e il valore del lavoro resta ancorato a logiche novecentesche, la partita Iva sarà più un atto di coraggio che di strategia.

In conclusione: il mito del freelance è bello, finché non arriva il commercialista

L’Italia ama raccontarsi come un Paese di creativi, di innovatori, di pionieri. Ma la realtà delle partite Iva ci restituisce un Paese pieno di giovani capaci costretti a diventare imprenditori di sé stessi per mancanza di alternative.

Il modello resterà sostenibile solo se si inizierà a trattare i freelance non come evasori in potenza o lavoratori di serie B, ma come il cuore pulsante di una nuova economia. Flessibile, certo, ma non fragile.



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