Il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato il regolamento del nuovo fondo SAFE (Security Action for Europe) da 150 miliardi di euro per potenziare la produzione europea di sistemi di difesa, nell’ambito del programma “ReArm Europe – Readiness 2030” voluto dalla Commissione per far fronte alla grave crisi in atto ai confini orientali del Vecchio Continente, con la guerra tra Russia ed Ucraina in corso dal 2022.
La ragion d’essere del SAFE consiste nella necessità di finanziare progetti ad ampio respiro dell’industria europea della difesa, aumentando la capacità produttiva e provvedendo a colmare le lacune critiche esistenti per garantire che le forniture militari siano disponibili in tempi brevi.
Il regolamento
Gli Stati membri che fossero interessati potranno accedere a prestiti a lunga scadenza con tassi d’interesse competitivi previsti dal fondo SAFE, sulla base di piani nazionali che dovranno essere sottoposti al vaglio dell’esecutivo UE entro sei mesi.
Il meccanismo messo a punto dalla Commissione prevede una partecipazione delle imprese della UE per almeno il 65% in ogni programma di difesa; i programmi per essere approvati dovranno essere almeno binazionali; peraltro, in via transitoria saranno ammessi programmi meritevoli anche di iniziativa da parte di un singolo Stato membro.
Allo stato attuale la priorità di finanziamento riguarda i programmi relativi la produzione ed acquisizione di munizioni, missili, artiglieria, capacità di combattimento terrestre, attrezzature, cyber-sicurezza e mobilità militare.
La posizione della Ucraina e degli Stati EFTA
Il regolamento approvato prevede che l’Ucraina e gli Stati EFTA (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) potranno partecipare agli appalti alle stesse condizioni dei membri UE, sia come co-acquirenti che come fornitori.
I Paesi terzi
Paesi terzi come la Turchia e il Regno Unito o quelli candidati ad entrare nella Unione Europea saranno ammessi a partecipare fino al 35% ma non avranno accesso diretto ai fondi comunitari, a meno di concludere accordi commerciali relativi l’industria della sicurezza e della difesa. Peraltro, la Turchia trova difficile partecipare alla iniziativa “ReArm Europe – Readiness 2030” a causa delle differenze con l’UE riguardo alle questioni di politica estera comune e su altre tematiche.
Come regola generale, almeno il 65% del finanziamento di progetti deve provenire da aziende difesa dell’UE, a meno di accordi con Paesi terzi come il Regno Unito o come la Norvegia.
Il regolamento approvato sottolinea che la partecipazione di un Paese terzo non deve minacciare gli interessi dell’UE e dei suoi Stati membri.
Per quanto riguarda la Turchia, il caso più spinoso visti i rapporti non idilliaci con la Grecia, Cipro ed alcuni Paesi dell’Unione Europea, si è trovato un punto di convergenza, non escludendo la partecipazione di Ankara a future collaborazioni bilaterali o multilaterali con Paesi della UE, usando lo strumento delle joint venture tra aziende europee delle difesa e le omologhe turche, nonché con la stipula degli accordi nel settore.
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