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Con Meloni e le imprese. Contro dazi, burocrazia e follie green


C’è un’Europa che produce e una che regola. Una che lavora e una che scrive norme. Tra queste due anime del Vecchio Continente, la frattura è oggi più visibile che mai. E, come spesso accade nella storia economica, è l’industria reale a invocare il primato sul dogma tecnocratico.

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Dall’assemblea nazionale di Confindustria tenutasi a Bologna arriva un messaggio netto: senza una svolta radicale nella politica industriale europea, il tessuto produttivo italiano – e con esso quello continentale – rischia la crisi sistemica.

Giorgia Meloni ha colto questo segnale. E ha fatto ciò che in Europa pochi leader sono disposti a fare: mettere in discussione l’architettura normativa dell’Unione. Non da posizioni di comodo, ma dal cuore del sistema. Non per uscire dall’Europa, ma per cambiarla davvero.

I tre assi della svolta: dazi interni, energia, burocrazia

Il punto di rottura è chiaro: l’industria italiana chiede l’abolizione dei dazi interni, intesi come vincoli, costi normativi, tempi di autorizzazione e disomogeneità applicativa delle direttive comunitarie. Non si tratta solo di concorrenza sleale, ma di un ambiente normativo che frena investimenti e produttività.

Il secondo nodo è l’energia. Il costo dell’energia elettrica per le imprese italiane resta fino al 35% superiore rispetto alla media europea. Non è più un problema congiunturale, ma un limite strutturale allo sviluppo industriale. Meloni parla chiaro: serve un piano nazionale sull’energia e una revisione del Green Deal per evitare che l’ambientalismo ideologico diventi un freno economico.

Il terzo asse è quello della semplificazione burocratica. La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, pur da posizioni diverse, ha ammesso l’esistenza di “troppa burocrazia”, facendo sponda alla linea italiana. È la conferma che anche al centro delle istituzioni europee cresce la consapevolezza del problema.

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Meloni, Orsini e Metsola: un asse inedito ma strategico

La convergenza tra Giorgia Meloni, il presidente di Confindustria Emanuele Orsini e la leader del Parlamento europeo Roberta Metsola delinea un’alleanza politica ed economica che va oltre gli schieramenti: è il fronte produttivo contro la stagnazione normativa.

Non è più tempo di austerità e burocrazia: servono investimenti mirati, contratti energetici di lungo termine, incentivi fiscali intelligenti. Orsini propone 8 miliardi l’anno per tre anni, liberati dal PNRR. Un piano che, se condiviso a livello europeo, potrebbe rappresentare il primo vero New Deal industriale post-pandemia.

Dall’Italia un modello alternativo

Il vero nodo non è se l’Europa debba cambiare, ma se ne sarà capace da sola. In assenza di una strategia condivisa, sarà l’Italia a spingere la trasformazione dal basso, dal concreto, dalle sue imprese.

Non è solo una battaglia tattica per l’interesse nazionale. È la costruzione di una nuova idea di Europa: sovrana, produttiva, democratica, in cui la competitività non sia un lusso, ma un diritto.

In questa fase storica, chi propone soluzioni pragmatiche ha più forza di chi recita il mantra dell’ortodossia normativa. Ed è per questo che, oggi, la leadership italiana si presenta come forza di guida e non più solo come voce critica.

Una sfida politica prima che economica

Il vero scontro non è tra destra e sinistra, né tra Stati e istituzioni europee. È tra chi crede nella produzione reale e chi continua a immaginare che la crescita possa essere generata da regolamenti e vincoli.

Meloni ha scelto. Orsini ha scelto. Metsola, in parte, apre. La partita è appena iniziata, ma le premesse per una nuova stagione politica ed economica ci sono tutte.

Sta ora ai Paesi produttivi d’Europa dimostrare di essere anche politicamente sovrani.

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