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Partecipazione dei lavoratori nelle imprese: tanto rumore per nulla?


La legge sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese partiva da una proposta della Cisl, con al centro la contrattazione. Lasciava presagire un’apertura a nuove politiche di diffusione della democrazia economica. Il testo approvato è però deludente.

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La speranza di un risultato concreto

Nel 2023 avevamo commentato la proposta di legge della Cisl sulla partecipazione dei lavoratori come un serio e organico tentativo di dare finalmente attuazione all’art. 46 della Costituzione. Consigliavamo allora anche la lettura della utile e organica relazione di accompagnamento per comprendere e intercettare tutte le dinamiche della partecipazione già diffuse nel nostro territorio. In quell’articolo sottolineavamo come il suo filo conduttore – e autentico valore aggiunto – fosse la contrattazione, nel senso che qualunque iniziativa intrapresa in attuazione delle norme previste doveva essere il frutto dei contratti collettivi. 

Insomma, c’erano molte speranze che dopo tanti e inutili tentativi, passati attraverso praticamente tutte le legislature, si arrivasse finalmente a qualche risultato concreto evitando la solita, italica, abitudine dei vuoti proclami.

Purtroppo, il passaggio parlamentare con alcune piccole ma insidiose modifiche e alcune soppressioni sul testo della proposta testimonia tutta la difficoltà a liberarsi di questa abitudine. 

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La governance delle imprese

Sulla governance delle imprese, la proposta della Cisl prevedeva (articolo 3) che nelle società per azioni amministrate con il sistema dualistico, almeno un quinto dei componenti del consiglio di sorveglianza dovesse essere costituito da rappresentanti dei lavoratori; e nel consiglio di amministrazione di quelle governate dal sistema tradizionale ci doveva essere almeno un rappresentante degli “interessi dei lavoratori dipendenti”.

La nuova versione è rimasta sostanzialmente inalterata, ma con due “zeppe” di non poco conto. Sparisce la quota minima e soprattutto si fa riferimento non a un obbligo discendente dalla contrattazione collettiva, ma al fatto che “gli statuti possono prevedere” la presenza dei rappresentanti dei lavoratori in quegli organi. Cosa che, in realtà, possono fare anche adesso, nell’ambito dei grandi spazi che il nostro ordinamento riconosce all’autonomia statutaria: quindinon si capisce bene, dove sia l’apporto innovativo della nuova disciplina. Senza tener conto che, anche seguendo il percorso del legislatore, è difficile immaginare piattaforme contrattuali in base alle quali determinate società avviino una defatigante stagione di modifiche statutarie che porti in tempi ragionevoli a quel risultato.

Sono, poi, del tutto scomparse alcune delle più innovative proposte elaborate dal sindacato, come quella di creare un affidamento fiduciario per la gestione dei diritti legati alla partecipazione finanziaria dei lavoratori. La finalità, evidente, era quella di organizzare e rafforzare la loro voice negli assetti proprietari delle imprese, secondo gli schemi di quel “socialismo partecipativo” evocato da Thomas Piketty, che si colloca nel solco di altre esperienze come quella del Piano Meidner.

La partecipazione finanziaria

Il forte indebolimento della contrattazione collettiva è testimoniato anche dal venir meno della possibilità di negoziare la definizione dello stesso piano di partecipazione finanziaria dei lavoratori. La proposta della Cisl stabiliva che i contratti collettivi avrebbero potuto destinare al finanziamento del piano fino al 15 per cento della retribuzione aggiuntiva a quella ordinaria; consentiva ai lavoratori delle imprese che avessero adottato un piano di partecipazione finanziaria di dedurre dal loro reddito fino a 10mila annui; dello stesso beneficio fiscale avrebbero potuto fruire i lavoratori che avessero sottoscritto strumenti finanziari emessi dalle società che li occupavano.

Le agevolazioni fiscali che legge approvata riconosce ai lavoratori rimangono, invece, le stesse di cui possono già beneficiare, con qualche variazione di importo. Il lavoratore che riceve una quota degli utili d’impresa può scegliere se assoggettare quel reddito alla tassazione ordinaria oppure all’aliquota del 5 per cento sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali. Quest’opzione può essere esercitata fin dall’entrata in vigore della legge 208/2015 (legge di bilancio per il 2016) che dava facoltà al lavoratore di applicare l’imposta sostitutiva del 10 per cento all’importo massimo di 3mila euro erogato come partecipazione agli utili d’impresa (art. 1, c. 182). Per il 2023 l’aliquota fu ridotta al 5 per cento (art. 1 c. 63 L 197/2022), confermata per il 2024 (art. 1, c. 18, L 213/2023). La legge di bilancio per il 2025 (art 1. c. 385, L 207/2024) ha mantenuto l’aliquota al 5 per cento per il triennio 2025-2027. Per questo tipo di agevolazione la sola novità introdotta dalla legge sulla partecipazione è l’innalzamento a 5mila euro dell’importo su cui si applica, ma solo per l’anno fiscale 2025. Il prossimo anno si torna, evidentemente, alle condizioni stabilite dalla legge 207/2024, come conferma il fatto che nella relazione tecnica al Ddl trasformato in legge, dopo il 2025 non si registra una perdita di gettito conseguente all’aumento dell’importo massimo a 5mila euro. È limitata al 2025 anche l’altra agevolazione accordata ai lavoratori: l’esenzione del 50 per cento su massimo 1.500 euro, come provento di dividendi delle azioni loro attribuite in sostituzione dei premi di risultato.

Tanto rumore per nulla

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Sicuramente il testo legislativo meriterà in futuro ulteriori approfondimenti per la valutazione di altri importanti aspetti, come ad esempio la nuova disciplina della partecipazione organizzativa e consultiva, ma è innegabile che l’assunzione della proposta della Cisl come base di partenza del confronto parlamentare, lasciava presagire una apertura a reali e incisive forme di partecipazione collettiva dei lavoratori ai risultati e alla gestione delle imprese, con la possibilità di promuovere nuove politiche di diffusione della democrazia economica. L’esito è, invece, un arretramento rispetto a quella proposta ed è difficile scrollarsi di dosso l’amara sensazione del “tanto rumore per nulla”, o quasi.

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Raffaele Lungarella

Raffaele Lungarella, laureato in scienze statistiche ed economiche, è stato docente a contratto di economia applicata nell’università di Modena e Reggio Emilia, dove è stato anche cultore della materia di economia politica. Ha diretto il nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici della regione Emilia-Romagna; dello stesso ente è stato responsabile dei servizi politiche abitative e lavori pubblici. È stato anche responsabile del servizio finanziamenti per l’innovazione tecnologica di una società finanziaria. Ora è in pensione.

Francesco Vella

vella Francesco Vella insegna Diritto Commerciale e Diritto Bancario all’Università di Bologna. Nella sua attività di ricerca ha prodotto quattro manuali (tutti editi dal Mulino), quattro monografie e numerose pubblicazioni in volumi collettanei e riviste in materia bancaria, finanziaria e societaria. Ha ricoperto e ricopre incarichi in organismi di controllo e di amministrazione, come amministratore indipendente, in società quotate. E’ tra i soci fondatori dell’Associazione Disiano Preite. È membro della redazione della voce.info.



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