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Affrancamento e assegnazione a rischio di sovrapposizione con cortocircuito


Le riserve in sospensione d’imposta presenti nei bilanci della società relativi all’esercizio in corso al 31 dicembre 2023, che residuano al termine dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2024, possono essere affrancate mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP del 10%, grazie alla previsione dell’art. 14 del DLgs. 192/2024.
Le stesse riserve possono essere liberate dal vincolo, con il pagamento di un’imposta sostitutiva del 13%, in occasione della distribuzione ai soci nell’ambito di un’assegnazione o trasformazione agevolata in società semplice ex art. 1 commi 31-36 della L. 207/2024.

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Si deve ritenere, in assenza di indicazioni contrarie, che i contribuenti possano scegliere liberamente quale delle due norme utilizzare per affrancare le riserve in sospensione che hanno in bilancio, trattandosi peraltro di due discipline che hanno un oggetto diverso.

L’affrancamento con sostitutiva al 10% non comporta benefici in relazione alle imposte dovute dai soci, il che lo rende meno conveniente dell’imposta del 13%, che invece ha effetto “definitivo e liberatorio di qualsiasi ulteriore tassazione”, come sottolineato dall’Agenzia delle Entrate nella circ. 16 settembre 2016 n. 37, § 3.1. Questo vale, però, solo per le società di capitali, perché per le società di persone l’affrancamento al 10% comporta l’imputazione della riserva ai soci e il proporzionale incremento del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni (circ. Agenzia delle Entrate 15 luglio 2005 n. 33, § 3), esaurendo il carico fiscale della riserva, cosicché impatta sulla valutazione di convenienza solo la differenza nell’aliquota.

Nonostante la chiarezza delle premesse, nell’esecuzione dell’assegnazione agevolata la coesistenza delle due discipline può non essere semplice da gestire.

Si pensi al caso – semplificato all’estremo – di una società di capitali in liquidazione che abbia all’attivo solo un immobile non strumentale per destinazione da assegnare ai soci (contabilizzato per un milione di euro) e della liquidità (per 500.000 euro), al passivo solo una riserva in sospensione d’imposta (dell’importo di 1.500.000 euro).
Per minimizzare il carico fiscale, si potrebbe procedere con l’annullamento della riserva in sospensione d’imposta fino a concorrenza del valore contabile del bene assegnato (a nulla rilevando, nel caso specifico, che il valore di assegnazione potrebbe essere più basso, come affermato dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 37/2016, § 1.4), con pagamento dell’imposta del 13%, e con il successivo affrancamento della restante parte della riserva mediante l’imposta del 10%.

Questa impostazione, però, potrebbe essere contestata, perché l’affrancamento, come peraltro sembra suggerire anche la lettera della norma, dovrebbe essere retroattivo, e quindi rendere libera la riserva a partire dall’inizio del periodo d’imposta (circ. n. 33/2005, § 4.2, relativa alla analoga disciplina dell’affrancamento ex art. 1 commi 473-478 della L. 311/2004).
Ne conseguirebbe che, al momento dell’assegnazione, esisterebbero riserve non in sospensione d’imposta, nell’esempio proposto, per l’importo di 500.000 euro. Entrerebbe allora in gioco l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, molto discussa per la verità, secondo cui “Il contribuente può utilizzare le riserve in sospensione d’imposta solo nella misura necessaria a consentire l’assegnazione dopo aver utilizzato le altre (riserve di utili e di capitale) già disponibili” (circ. 16 settembre 2016 n. 37, § 1.4).

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Si verrebbe così a creare un cortocircuito, perché in sede di assegnazione si è contato di poter annullare un milione di euro di riserve in sospensione d’imposta con il pagamento dell’imposta del 13%, salvo poi scoprire di dover annullare prioritariamente le riserve libere, create retroattivamente dall’affrancamento.
Per uscirne si dovrebbe rinunciare, totalmente o parzialmente, all’affrancamento della riserva residua oppure all’applicazione dell’imposta del 13%.

Si tratterebbe di una situazione piuttosto penalizzante per il contribuente, impossibilitato a trarre il massimo beneficio dalle due discipline vigenti. In considerazione del carattere agevolativo di queste, e del fatto che seguendo prudenzialmente le interpretazioni a oggi disponibili si finirebbe con il non riuscire a godere dei benefici cui esse sono finalizzate, si può auspicare che per risolvere la questione intervenga una diversa interpretazione ufficiale che ne valorizzi il carattere agevolativo (ad esempio affermando la prevalenza dell’imposta del 13% sulla retroattività dell’affrancamento).

In questo senso viene in mente il precedente della circ. n. 37/2016 (§ 7), nel quale l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che si potesse procedere con l’assegnazione agevolata dei beni rivalutati, anche prima della fine del periodo di “sorveglianza”, senza che la fuoriuscita del bene dal patrimonio dell’impresa causasse, come sarebbe avvenuto in condizioni normali, la decadenza dalla rivalutazione. Tale interpretazione, in sostanza, ha affermato la prevalenza della disciplina agevolativa dell’assegnazione su quella della rivalutazione, sterilizzando l’interferenze della seconda nell’applicazione della prima.



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