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La sostenibilità è ormai una mera illusione e sta rendendo il mondo più ingiusto?


Il termine “sostenibilità” è in assoluto fra i più abusati negli ultimi anni, spesso solo per nascondere mere azioni di greenwashing. Paradossalmente, la ricerca continua della sostenibilità sta rendendo più iniquo e ingiusto il mondo? È la domanda piuttosto spiazzante che si pone Antonio Galdo, giornalista, direttore del sito Non sprecare e autore del provocatorio libro “Il mito infranto. Come la falsa sostenibilità ha reso il mondo più ingiusto” (2025, Codice Edizioni).

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Nel suo saggio Galdo smonta infatti con rigore giornalistico e passione civile il mito contemporaneo della “sostenibilità”, rivelandone le contraddizioni più profonde. Dietro l’apparenza green di molte scelte economiche e politiche, si cela – sostiene l’autore – un modello di sviluppo che ha smarrito il senso originario del termine: quello di garantire equilibrio tra ambiente, equità sociale e benessere collettivo.

Attraverso l’analisi di ambiti cruciali come l’alimentazione, la mobilità elettrica, l’intelligenza artificiale e il cambiamento climatico, Antonio Galdo denuncia una sostenibilità di facciata, che spesso serve solo a legittimare nuovi privilegi. Il risultato è un mondo sempre più diviso e con differenze socio-economiche sempre più marcate: da un lato un’élite in grado di permettersi scelte “verdi” come status symbol, dall’altro una maggioranza costretta a rincorrere uno stile di vita insostenibile, nel senso più concreto del termine.

Wise Society l’ha incontrato per riflettere e interrogarsi insieme sul vero significato delle scelte quotidiane e sull’urgenza di un cambiamento culturale che rimetta la politica – e non il marketing – al centro di una vera e ineludibile transizione ecologica.

Antonio Galdo, giornalista e autore del libro “Il mito infranto” (2025, Codice Edizioni)

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Antonio, lei afferma che “una delle parole più in voga in questi anni è sostenibilità, ma a forza di appiccicarla ovunque ne abbiamo smarrito il significato essenziale”. Perché e in che modo?

È stata la parola più pronunciata nel 2024: ma con quale senso? La vera sostenibilità è scolpita nell’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo sostenibile con i suoi 17 obiettivi. Non è certo un caso dei primi 6 obiettivi, nessuno è legato in senso stretto alle questioni ambientali e climatiche. Ma si parla di sconfiggere la fame e la povertà, assicurare la salute e l’istruzione di qualità a tutti, garantire la parità di genere. Questo significa che la sostenibilità è innanzitutto un tema di giustizia sociale, e detto più banalmente: un percorso, con tanti traguardi intermedi, per raggiungere il traguardo di un mondo meno ingiusto, disuguale, frammentato. Separato da un muro, come diceva Madre Teresa di Calcutta, della quale ricordo una frase fondamentale: “Non mi indigna la povertà, che tocco con mano ogni giorno. Ma il fatto che viviamo in un mondo dove in una stanza si crepa e nell’altra si spreca”. Un mondo, aggiungo, decisamente insostenibile, come vediamo tutti i giorni.

Sta dicendo che il modello di sviluppo green ha creato nuove fratture, nuovi muri e nuovi privilegi a vantaggio di ristretti gruppi di fortunati?

Certo. Abbiamo visto la nascita di quella che nel libro chiamo la casta dei consumatori verdi. Persone di reddito medio-alto che si possono permettere gli acquisti green (talvolta truccati con l’imbroglio del greenwashing), tutti orientati verso una fascia di mercato molto limitrofa al lusso. E gli altri? Arrancano, in un mondo anche l’acquisto di un’automobile ormai separa i cittadini di serie A da quelli di serie B.

La ricerca ossessiva della sostenibilità a tutti i costi ha reso il mondo più ingiusto insomma, creando più disuguaglianze…

Questo lo dicono lo statistiche, e il libro è un lungo racconto attraverso fatti, personaggi e situazioni reali, ma sempre accompagnato da una documentazione che mi è costata tre anni di ricerche e di verifiche, con la collaborazione dei massimi esperti per ciascun settore che abbiamo in Italia e in Europa.

copertina libro di Galdo

Il libro di Galdo smaschera le contraddizioni del progresso green.

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E i numeri oggi dicono due cose fondamentali: nessuno dei 17 obiettivi dell’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo sostenibile sarà raggiunto. E per i famosi sei punti iniziali, quelli collegati direttamente alla giustizia sociale, la situazione è in netto peggioramento anche per effetto di quella che Papa Francesco ha definito “un terza guerra mondiale a pezzi”.

Negli ultimissimi anni sono aumentate la povertà e la forbice tra una ristretta minoranza di ricchi sempre più ricchi e le persone, sempre di più, che scivolano verso la povertà; la fame, nelle regioni del Sud del mondo, paesi dell’Africa e dell’Asia; e l’istruzione è sempre più un fattore di classe a vantaggio delle persone che possono permettersi studi costosissimi e improponibili anche per un normale Signor Rossi.

Quanto alla parità di genere, se andiamo avanti di questo passo, con stipendi e pensioni delle donne che in Italia valgono un terzo in meno rispetto a quelli degli uomini, la vedremo tra un paio di secoli!

Ci fa un elenco di apparenti sostenibilità, di quelle che crediamo azioni e situazioni che pensiamo virtuose ma che in realtà non lo sono?

I simboli della falsa sostenibilità sono tanti, e riguardano tutti i gironi dei consumi e in generale della vita sociale. Le faccio un esempio: con la scusa del green, del verde, della domotica sostenibile, delle abitazioni smart, a Milano hanno fatto il Bosco verticale e le case green. Peccato che questo ha ulteriormente separato la città, contribuendo a gonfiare una bolla speculativa sotto il segno della sostenibilità immobiliare. Risultato: a Milano un garage si paga oltre 100mial euro, e una stanza in affitto in centro costa 1.000 euro al mese. Chi può permetterselo? Eppure la città sostenibile, un obiettivo-chiave, scolpito nell’Agenda Onu, è definita “inclusiva”, non esclusiva, come la Milano di oggi diventata una città per ricchi, più o meno sulle orme di Londra.

Altri esempi?Nel libro fa molti esempi. Decida lei quali scegliere: Dal monopattino simbolo della mobilità che non inquina, agli elettrodomestici green, che però durano meno, ai trucchi della fake meat, la carne artificiale, fino alle mail e all’intelligenza artificiale per esempio…

L’elenco è lungo. Uno fra tutti, il monopattino, simbolo di una mobilità che non inquina. In realtà, e lo spiego dettagliatamente nel libro, non è un mezzo sostenibile. Pensi che in grandi città come Tokyo (difatto una metropoli car free) e Parigi è vietato. Altro esempio? Gli elettrodomestici che parlano: fanno tanto cose e ti dicono persino quante calorie stai mangiando con un pezzo di formaggio sfilato dal frigo, ma durano la metà di quelli dei nostri genitori e dei nostri nonni. Poi, la carne artificiale è una gigantesca bufala, alimentata e pompata dalla più cinica e spericolata speculazione finanziaria. La lista è veramente lunga…

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Bambini poveri

Le differenze sociali e la povertà nel mondo sono in costante aumento (foto: Dulana Kodithuwakku / Unsplash)

Un capitolo a sé lo ricoprono le aziende, che sempre più parlano di sostenibilità, neutralità carbonica e quant’altro… Invece?

Le aziende possono e devono fare tantissimo. A condizione che non cedano alla manipolazione del greenwashing e che rispettino innanzitutto la dignità e la sicurezza dei lavoratori, dei fornitori e dei consumatori. In un capitolo del libro svelo nei dettagli perché quando si parla di “moda sostenibile”, in tanti barano. E ci sono anche nomi famosi della moda italiana. Le aziende devono convincersi che la sostenibilità, quella vera, conviene, e non per appiccicare un etichetta su qualche prodotto, ma per alzare la produttività, aprire nuovi mercati, assecondare una nuova domanda di beni e servizi. Non a caso, uno dei punti dell’Agenda Onu 2030 riguarda l’economia circolare, un nuovo modo di produrre, riducendo gli sprechi e aumentando il valore di ogni prodotto.

Come si esce da quella che potrebbe trasformarsi in una vera e propria deriva sostenibile?

Serve l’ottimismo , abbinato alla speranza, che sembriamo aver smarrito in tempi così complessi e turbolenti. E serve la consapevolezza, specie da parte delle nuove generazioni, che la partita della sostenibilità, quella vera, si gioca su due tavoli. Uno riguarda la politica e le sue decisioni, a qualsiasi livello, da un consiglio di quartiere all’Onu. Un altro tavolo si riferisce ai nostri stili di vita, che sommati, possono mettere carburante nel motore di un nuovo modello di sviluppo. Nel quale la giustizia sociale sia un faro sempre acceso.

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Vincenzo Petraglia


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