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una nuova tappa della deriva neo-corporativa

DiAdessonews

Mag 29, 2025 #Act, #altera, #altronde, #ancora, #antan, #anzich, #appare, #Applausi, #applicata, #appoggio, #approvata, #approvato, #Approvazione, #apre, #armonia, #Articolo, #astensione, #attesa, #attraverso, #attuazione, #avallarne, #avanti, #azienda, #Aziendale, #aziendali, #aziende, #bastasse, #bilanciamento, #campagna, #capitale, #Cisl, #collaborare, #commento, #commissioni, #compatibile, #condizione, #confederale, #conflittuale, #Congresso, #consultive, #contrattazione, #contrattuali, #corporativismo, #cosiddetta, #Costituzionale, #COSTITUZIONE, #d, #definitiva, #definitivamente, #delegati, #della, #democratico, #democrazia, #deriva, #dinamica, #dipendono, #diritti, #diritto, #discrezionalit, #diversa, #dividere, #Dopo, #dunque, #economica, #elevazione, #eliminando, #entrare, #esigenze, #ex, #fatta, #festeggiano, #finendo, #fini, #Finsubito, #firme, #fra, #fronte, #funzionale, #funzioni, #garantisce, #Generale, #gestionale, #gestione, #Giorno, #giugno, #giustificato, #Governance, #governo, #ideologico, #illusione, #impianto, #impiego, #impresa, #imprese, #indebolimento, #indebolire, #indetto, #indipendente, #infatti, #integrato, #interessi, #invocato, #Italia, #Jobs, #lavoratori, #lavoro, #legge, #Leggi, #Limiti, #linea, #logiche, #maggioranza, #manifestazione, #mediazione, #Meloni, #migliorare, #modelli, #modello, #modi, #modo, #mondo, #movimento, #necessit, #neo-corporativa, #neocorporativa, #nome, #norma, #nuova, #occasione, #Ogni, #oltre, #opposizione, #ora, #ore, #organi, #ostina, #Paese, #paritetiche, #parlamento, #partecipazione, #parteciperemo, #partito, #penalizzando, #pensare, #piace, #piazza, #piegandole, #porta, #portata, #Portiamo, #POSIZIONE, #potranno, #Presentata, #pretesto, #prevede, #produzione, #profonda, #promossa, #promosso, #propositive, #propria, #propriet, #proprio, #prossimo, #pu, #pubblico, #qualcuno, #raccolta, #radicalmente, #rafforzare, #Rappresentanti, #reale, #referendum, #relazioni, #repubblica, #ricevuto, #ricompensa, #riconosce, #rifondare, #Riforma, #rinnovi, #rinuncia, #rischia, #RISCHIO, #ruolo, #sbarra, #sciopero, #scopo, #scorse, #secondo, #segretario, #seguente, #Senato, #settimane, #sindacale, #sindacali, #sindacalismo, #sindacato, #sociale, #Società, #societario, #soggetto, #solo, #sostegno, #sostenere, #spazio, #spirito, #stabiliti, #stata, #statuto, #stelle, #strada, #stravolgere, #strumento, #subordinata, #superando, #tanto, #Tappa, #testo, #tossica, #tradendo, #trasformazione, #tutela, #tuttavia, #tutte, #un, #una, #usb, #utili, #via, #viene, #vigilanza, #Visione, #visto, #Vittorio, #viva, #volont, #volta
una nuova tappa della deriva neo-corporativa


Il commento di USB alla cosiddetta “Legge Sbarra”, promossa dalla Cisl fatta sua dal Governo Meloni: una nuova tappa della deriva neo-corporativa del sindacalismo compatibile nel nostro Paese. Noi di USB portiamo avanti una visione della società radicalmente diversa da quella di Governo Meloni e Cisl, anche per questo abbiamo indetto lo sciopero generale per il prossimo 20 giugno e parteciperemo alla manifestazione del giorno seguente, 21 giugno, dalle ore 14:00 a Piazza Vittorio.

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Nelle scorse settimane il Senato ha approvato in via definitiva la legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese, una riforma promossa dalla CISL – che l’ha presentata in Parlamento dopo la raccolta firme e che porta il nome del suo ex segretario, la cosiddetta “legge Sbarra” – che, se applicata, rischia di stravolgere le relazioni sindacali piegandole definitivamente alle logiche aziendali, penalizzando la contrattazione ed eliminando ogni spazio di mediazione tra capitale e lavoro.

La Cisl ed il Governo festeggiano. D’altronde il modello sindacale promosso dalla riforma – in linea col corporativismo d’antan – piace tanto alla Meloni, che al congresso del sindacato confederale, tra gli applausi dei delegati, aveva invocato la necessità di “rifondare la dinamica fra impresa e lavoro, superando una volta per tutte questa tossica visione conflittuale che anche nel mondo del sindacato qualcuno si ostina ancora a sostenere”.

L’approvazione della Legge Sbarra appare, dunque, come la ricompensa per l’appoggio ricevuto dalla CISL in occasione dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego e ora anche per la campagna per l’astensione al referendum sul Jobs Act dell’8 e 9 giugno.

La riforma è stata approvata dalla maggioranza di governo con il sostegno di Italia Viva, ha visto l’opposizione del Movimento 5 Stelle e l’astensione del Partito Democratico, che ha giustificato la propria posizione con il pretesto dell’indebolimento del testo, finendo però per avallarne l’impianto ideologico.

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PARTECIPAZIONE GESTIONALE: UN’ILLUSIONE DI DEMOCRAZIA AZIENDALE

La legge è stata presentata come la tanto attesa attuazione dell’articolo 46 della Costituzione secondo cui “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”

Tuttavia, nel testo, questa partecipazione è subordinata alla volontà dell’azienda: solo se lo statuto societario lo prevede, i rappresentanti dei lavoratori potranno entrare negli organi di gestione e vigilanza.

Anche le commissioni paritetiche, con funzioni consultive e propositive, dipendono dalla discrezionalità dell’impresa.

In questo modo, la riforma non garantisce un reale bilanciamento tra interessi dei lavoratori e quelli della proprietà, ma apre la strada a un modello in cui il sindacato viene integrato nella governance aziendale solo se rinuncia al proprio ruolo di tutela e contrattazione.

Il rischio è quello di una trasformazione profonda del sindacato: da soggetto indipendente a strumento funzionale agli interessi aziendali. Una partecipazione che, anziché rafforzare i diritti dei lavoratori, può dividere e indebolire il fronte sindacale, tradendo lo spirito della Costituzione.

Come se non bastasse, la legge Sbarra, oltre a indebolire la portata della norma costituzionale, ne altera lo scopo. Pensare, infatti, di migliorare la condizione economica e sociale dei lavoratori attraverso modelli di partecipazione aziendale è un’illusione. Di questo, i padri costituenti erano perfettamente consapevoli.

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Ed esaminando il recente passato, ne abbiamo ulteriore conferma. La redistribuzione della ricchezza dal lavoro al capitale avvenuta in questi anni non è stata determinata da un problema di governance d’impresa. Anche perché, riflettendoci bene, nella realtà i lavoratori influenzano le decisioni strategiche non per il fatto di sedere nei cda ma solamente nella misura in cui possiedono un effettivo potere contrattuale, esercitato tramite vari strumenti, che spaziano dal conflitto sindacale allo sciopero fino alla contrattazione collettiva.

La vera causa della progressiva perdita di forza dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali risiede, piuttosto, in politiche economiche che hanno deregolamentato il mercato del lavoro e dei capitali, rimuovendo quei programmi e controlli previsti dalla legge che indirizzavano l’iniziativa privata a fini sociali e ambientali come afferma l’articolo 41 della Costituzione in un’ottica di intervento dello Stato come unico garante del diritto collettivo e non certo nell’interesse dell’impresa.

Nello scenario attuale, invece, immaginare che un modello di governance partecipata—basato sull’idea che lavoratori e proprietà condividano gli stessi interessi—possa opporsi efficacemente alle forze del mercato è un’utopia. Inoltre, rischia di legittimare agli occhi dei lavoratori le stesse logiche di massimizzazione del profitto e riduzione dei costi che hanno contribuito alla loro marginalizzazione.

 

PARTECIPAZIONE ECONOMICA: UN CAMBIO DI PARADIGMA PERICOLOSO PER I LAVORATORI

La parte immediatamente efficace della riforma e parimenti ricca di implicazioni “politico-culturali” riguarda la partecipazione economica e finanziaria dei lavoratori, incentivata tramite agevolazioni fiscali.

Le imprese saranno incentivate, in esecuzione di contratti collettivi aziendali o territoriali, a distribuire ai lavoratori di una quota degli utili di impresa e – se prevista dai piani di partecipazione finanziaria – ad attribuire azioni in sostituzione di premi di risultato.

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Non si tratta di novità ma di strumenti già previsti dall’ordinamento italiano (sin dal codice civile del 1942, impregnato dell’ideologia corporativa) finora scarsamente utilizzati, salvo che per pagare i premi ai manager mediante programmi di stock options collegati all’andamento dei profitti delle società gestite.

Questa logica, apparentemente premiante, cambierà il modo di pensare dei lavoratori e, di conseguenza, quello di agire delle organizzazioni sindacali.

Già con l’introduzione dei premi di produttività, i lavoratori hanno interiorizzato l’idea che solamente lavorando di più e migliorando la performance individuale e aziendale possono guadagnare di più. La c.d. logica del salario come variabile dipendente del profitto, fatta propria dai sindacati concertativi.

Con la partecipazione agli utili e l’attribuzione di azioni come componente sempre più consistente del trattamento economico, i lavoratori rischiano di introiettare anche le logiche di mercato più speculative e dannose, come quelle che portano, ad esempio, gli amministratori delegati a licenziare il personale per aumentare i dividendi.

Cosa accadrà quando un’azienda deciderà di “tagliare i rami secchi” per aumentare gli utili? Il sindacato nei consigli di amministrazione tutelerà la minoranza dei lavoratori che perderà il lavoro o la maggioranza che vedrà aumentare il valore delle proprie azioni? E i lavoratori più tutelati solidarizzeranno con chi rischia il licenziamento o considereranno questi ultimi un costo da tagliare per aumentare la propria partecipazione agli utili?

Cosa accadrà in caso di crisi aziendale? Il sindacato chiederà ai lavoratori di salvare l’azienda finanziandola con parte della loro retribuzione? Magari destinando il proprio tfr in azioni per garantire al datore di lavoro un finanziamento che le banche non vogliono concedere? La CISL, da parte sua, ha dato tutte le rassicurazioni possibili, politiche e normative, per vincere le resistenze delle imprese all’idea di rinunciare al controllo esclusivo della gestione aziendale.

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DAL SINDACATO CONCERTATIVO A QUELLO FILOAZIENDALE: UN MODELLO SUPERATO E DANNOSO

Negli ultimi quarant’anni, i sindacati confederali concertativi hanno abbracciato una narrazione improntata alla responsabilità e alla collaborazione con le imprese, chiedendo ai lavoratori sacrifici in nome della competitività. L’idea era che, rinunciando al conflitto, si sarebbero favoriti investimenti, occupazione e salari. Ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti: l’Italia è l’unico paese OCSE dove i salari reali sono calati dal 1980, i consumi sono crollati, le disuguaglianze sono aumentate e i profitti sono cresciuti tantissimo a scapito del lavoro.

Le imprese, invece di reinvestire in Italia, hanno delocalizzato o investito in asset finanziari all’estero, mentre contemporaneamente i governi, in ossequio ai vincoli di bilancio dettati da Bruxelles, hanno condotto le politiche di austerità che hanno tagliato il welfare e il salario indiretto.

Oggi persino l’establishment riconosce che il modello di sviluppo italiano, fondato sulla compressione dei salari per competere sui mercati esteri, è ormai insostenibile. Nell’attuale contesto di barriere commerciali e crisi della globalizzazione, la debolezza della domanda interna impedisce alle imprese di trovare sbocchi nel mercato nazionale.

Lo stesso Mario Draghi ha più volte riconosciuto pubblicamente che la compressione dei salari ha rallentato la domanda interna e ostacolato la crescita economica, sia in Italia che in Europa.

Solo la CISL sembra ignorare i profondi cambiamenti in atto, continuando a sostenere le politiche di austerità del governo Meloni e un’idea di sindacato che, contrariamente a quanto affermato dal suo segretario, non rappresenta “un’innovazione che guarda al futuro e non al passato, lontana da ogni sterile ideologismo e demagogia”, ma ripropone una visione neocorporativa ormai superata, legata a un modello di sviluppo giunto al capolinea come lo è il sistema di relazioni sindacali che lo ha sorretto, quello della concertazione.

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È il momento di voltare pagina. Occorre superare il sindacalismo concertativo, filogovernativo e filoaziendale, e costruire un sindacato indipendente, conflittuale, capace di mobilitare le lavoratici e i lavoratori per rivendicare salari svincolati da produttività e profitti. Solo rilanciando il salario diretto, indiretto e differito si potrà rafforzare il mercato interno e costruire un’economia più equa e sostenibile.

Riaffermare l’autonomia culturale e politica dei lavoratori è essenziale anche per contrastare una competizione economica tra potenze sempre più aggressiva, che alimenta la guerra, le tensioni internazionali e la corsa al riarmo. Un sindacato forte e indipendente è oggi più che mai una necessità storica.





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