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Fmi: anche senza dazi va tagliata la spesa sociale


Che ci siano, o meno, i dazi di Trump l’Italia dovrà continuare a tagliare la spesa sociale e aggredire anche quella delle pensioni. Ciò vale anche per l’altro dossier aperto, uno dei tanti lasciati in sospeso dal governo Meloni per mancanza di iniziativa e spazio politico di azione: l’aumento della spesa militare prevista ora al 2% del Pil. Qualsiasi nuova misura di spesa imposta dagli «choc» economici provocati dal trumpismo, o dalle decisioni politiche europee legate all’economia di guerra, «dovrebbe essere pienamente compensata da ulteriori risparmi in altri settori».

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Nelle conclusioni di una missione del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), realizzata in Italia dal 14 al 28 maggio e avvenute nell’ambito del processo di consultazione sullo stato dell’economia, è stata enunciata la situazione drammatica in cui si trova l’esecutivo. L’illusione, spacciata per verità incontrovertibile, è che il taglio della spesa serva a fare diminuire il debito e dunque sia la condizione per rilanciare la crescita economica. è una delle regole dell’Fmi che è tornato a fare il guardiano dell’austerità, inflessibile stavolta, e a mascherarla per quella che non è: cioè una politica economica di tipo «anti-ciclico». Nel rapporto della missione dell’Fmi si legge infatti la seguente frase: «Gli sforzi di risanamento fiscale [cioè i tagli, oggi 12 miliardi di euro a ministeri e enti locali, ndr.], combinati con riforme volte a stimolare la crescita, dovrebbero proseguire anche in caso di shock macroeconomici avversi, tranne quelli più gravi, rendendo gli stabilizzatori automatici la principale risposta anticiclica».

La storia recente della prima ondata delle politiche di austerità (2008-2015) ha, in realtà, dimostrato che queste politiche sono la premessa di una nuova crisi. Non si contano le analisi che, in questi anni, hanno dimostrato che l’Italia (e non solo) non si è ancora ripresa dalla crisi economica e sociale di 15 anni fa prodotta anche da questi rimedi. Firmando il patto di stabilità europeo il governo Meloni sta proseguendo su questa strada. Visto che non ha soldi, deve trovarli dal blocco della spesa sociale per di più in mancanza di una crescita strutturale. Il problema è semmai ammorbidire la ferocia della logica «austeritaria», cercando i modi per rinviare e annacquare (si pensi al piano Ue di riarmo basato su deficit e debito), o puntando sul delirio di Trump (tanto più insiste nelle sue politiche illegali sui dazi, tanto più i tribunali Usa lo bloccheranno). È la strategia dell’opossum: fare finta di essere morti, in attesa che la minaccia passi e qualcosa cambi. Ma, in fondo, altro non si fa che applicare il paradigma dominante, camuffandolo.

L’Fmi è tornato su un altro classico del teppismo neoliberale. L’idea per cui l’aumento del l’età pensionabile (da noi tra le più alte per le «riforme» Dini-Fornero) serva a «stimolare l’offerta di lavoro». Gli effetti della tesi sono stati dimostrati dall’ultimo rapporto della Fondazione di Vittorio « Precarietà e salari bassi a 10 anni dal Jobs Act» (Il Manifesto, 1 maggio). I record dell’occupazione presentati da Meloni come un successo sono in parte attribuibili al fatto che gli over 50 e 60 dovranno restare al lavoro più a lungo. E ciò avverrà sempre di più, tra carriere intermittenti, precariato sistematico e vite dissestate.



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