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Frosinone, Sin, ecco i dati dell’Arpa


La presenza dei metalli nei terreni del Sin è la stessa di quella al di fuori della perimetrazione. Una presenza considerata naturale e non dovuta alla mano dell’uomo. Un risultato – presentato dall’Arpa – che porta Unindustria a chiedere di accelerare sulle bonifiche degli otto siti contaminati, a snellire la burocrazia per le imprese presenti nel Sin bacino del fiume Sacco ed evitare che nascano capannoni industriali al di fuori del Sin dove, invece, abbondano quelli ormai in disuso.
Sono gli elementi evidenziati nel convegno, ospitato da Unindustria Frosinone, dal titolo “Sin Valle del Sacco, valutazioni e prospettive per le imprese”. Presentata una sintesi delle analisi compiute dall’Arpa Lazio nell’area esterna alla perimetrazione del Sin. Un passo importante per mappare il suolo a ridosso del Sin in attesa di completare l’opera con il monitoraggio sulle acque.
A introdurre i lavori il presidente di Unindustria Frosinone Corrado Savoriti. Che auspica una soluzione «chiara, condivisa e soprattutto efficace, che ci permetta di superare finalmente molti degli aspetti che hanno frenato lo sviluppo. Un freno allo sviluppo che si inserisce, aggravandolo, nel più ampio e preoccupante fenomeno della deindustrializzazione. Qui, nella Valle del Sacco, le irrisolte questioni del Sin rischiano di acuire drammaticamente questa deriva, rendendo ancora più vitale il nostro impegno per individuare soluzioni concrete e rapide». Sotto accusa «procedure incerte, talvolta cavillose che, nella maggior parte dei casi, non hanno prodotto alcun beneficio tangibile per l’ambiente, anzi, talvolta rischiando di aggravare le complessità e di scoraggiare gli investimenti».

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Nel vivo della questione è entrata Simonetta Ceraudo, presidente dell’ordine degli geologi del Lazio, che evidenzia: «L’obiettivo finale è la salvaguardia delle persone e mettere in sicurezza il territorio evitando lo stallo nelle procedure. Serve una procedura certa per i professionisti, in modo particolare per i valori di fondo. Mi auguro si arrivi a una norma organica».
Wanda D’Ercole, responsabile della direzione ciclo dei rifiuti e ambiente della Regione Lazio, ripercorre l’accordo di programma che ha messo sul tavolo 53 milioni per i 19 comuni del Sin, di cui 16 milioni per interventi puntuali sui terreni. Illustra le attività previste, dalla caraterizzazione al campionamento passando per l’indagine epidemiologica svolta dal Dep Lazio, ma anche gli intoppi: «Degli otto siti inseriti nell’accordo di programma, un solo intervento non è partito, quello dell’ex Industrie Olivieri» per i ricorsi ai tribunali amministrativi. La D’Ercole chiarisce che i ritardi nell’attuazione dell’accordo di programma «sono legati o alla mancata individuazione del soggetto responsabile o, se individuato, ai ricorsi». Un’altra problematica è legata alla «difficoltà di accesso alle aree che sono tutte private».

Mauro D’Angelantonio, responsabile dell’area suoli e bonifiche dell’Arpa Lazio rileva: «Dal perimetro del Sin non si può uscire ma se un sito non è contaminato si può fare tutto». Quindi illustra i risultati del monitoraggio: «Per dimostrare che le eccedenze rispondono a normali eccedenze del territorio abbiamo deciso di andare a cercare fuori dal Sin entro tre chilometri. Abbiamo individuato 150 punti di campionamento. Ci siamo fermati a due metri dalla superficie per un risultato valido, utile e attendibile. Abbiamo i dati di tutti e 150 i campioni. La situazione esterna al Sin è identica a quella interna: i dati sono sovrapponibili e coincidenti tranne in alcune zone dove presenza di metalli è più alta».

Giovanni Turriziani, vice presidente di Unindustria con delega alla green economy sul Sin premette: «Tutti quanti abbiamo lavorato per capire cosa dovevamo fare e come uscirne. Oggi sappiamo che l’origine è antropica e non industriale. Questa negatività va gestita e affrontata. Adesso c’è il risultato sul suolo, ma ci aspettiamo anche un risultato sulle acque. Questa cosa ha creato incertezze: pensate a una multinazionale che vuole investire qui, ci pensa 77 volte e 70 volte su 77 non lo fa. E in un’area in crisi bisogna avere un’altra velocità. Il gravame burocratico ha fatto sì che gli imprenditori scelgano un sito fuori dal Sin per evitare le pratiche del Sin. Eppure ci sono tanti siti industriali dismessi. Con tutte le aree che ci sono, andiamo a prendere un altro terreno dove non ci sono le pratiche del Sin. Ora questo ci aiuta a dire alle nostre imprese “potete stare dentro il Sin”».
E di rimando Savoriti conclude: «È poco sostenibile abbandonare capannoni industriali nel Sin per costruirne fuori. Quante opportunità abbiamo perso?».



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