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L&G spiega quale sia il reale pericolo dei dazi per l’inflazione


Durante l’ultima crisi energetica, le imprese del settore hanno stabilito nuovi prezzi come moltiplicatori dei costi sostenuti. Una dinamica pericolosa che potrebbe ripresentarsi in questo nuovo contesto, amplificando l’effetto dazi e innescando una crescita dell’inflazione di gran lunga superiore alle aspettative. È l’allarme lanciato dagli esperti di L&G che segnalano come di fatto, negli Stati Uniti, sia già in atto questo meccanismo, osservando la differenza dei prezzi di determinati beni di consumo, tra quelli venduti da brand famosi e quelli con il marchio del supermercato.

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IL VALORE DEL MARKUP PER L&G

“Per rispondere ai dazi, i grandi marchi hanno aumentato i prezzi dei loro prodotti in modo tale da mantenere non il valore monetario del markup applicato, ma il valore percentuale. Mantenere invariata la percentuale (e non il valore assoluto) del markup permette alle imprese di scongiurare i rischi di accumulare scorte di materie prime più costose che se dovessero deperire prima di essere vendute determinerebbero maggiori perdite di bilancio” spiegano i manager di L&G.

I DATI DI UN RECENTE STUDIO DEL FONDATORE DI PRICESTATS

Una conferma che le aziende tendano a mantenere invariato il markup in termini percentuali e non monetari giunge da un recente paper del fondatore di Pricestats, il professor Alberto Cavallo. Condotto su dati relativi a costi, prezzi all’ingrosso e al dettaglio di 1.900 prodotti, 13 marchi, sette categorie e quattro Paesi tra il 2018 e il 2023, lo studio ha rilevato percentuali stabili di ricarichi totali (prezzi al dettaglio su costi di produzione).

UNA CATENA DI OPERATORI DI MERCATO

Ma c’è di più. Tra la produzione e la vendita del prodotto finito c’è una catena di operatori di mercato, ognuno dei quali applicherà il suo markup in termini di percentuale. “Secondo il paper di Cavallo si stima che i rivenditori applichino una maggiorazione del 35%, per cui a 100 dollari di dazi corrispondono 135 dollari di aumento effettivo del prezzo. Inoltre, prima del rivenditore retail, c’è il fornitore di materie prime, che applica un rincaro medio del 220% (a fronte di 100 dollari di dazi, il prezzo cresce di 220). Sommando tutti gli aumenti, si ottiene che una tariffa traducibile in costi aggiuntivi di 100 dollari, genera un aumento del prezzo complessivo di 300 dollari” riferiscono i professionisti di L&G. In generale, si stima un moltiplicatore pari a 1,5 volte il costo tariffario, tenendo conto della suddivisione tra beni finiti, intermedi e strumentali.

LE SPECIFICITÀ DEL SETTORE DEI BENI DI CONSUMO

È anche vero che il settore dei beni di consumo include imprese caratterizzate da una forte capacità di determinare il prezzo di vendita dei prodotti, a differenza di altri settori. Inoltre, il periodo preso in esame nello studio si riferisce ad una fase contraddistinta da una politica monetaria e fiscale molto accomodante, a seguito non solo della crisi energetica, ma anche della pandemia di Covid-19. Infine, le aziende estere potrebbero ridurre i prezzi a seguito dello shock sulla domanda dovuto ai dazi e smorzarne l’effetto, mentre le multinazionali potrebbero distribuire il peso di questi aumenti tra le varie nazioni in cui operano.

ATTENZIONE ALLE MOSSE DELLA FED

Alla luce di queste considerazioni, i rincari potrebbero non essere alti ma ci saranno comunque. Come peraltro si osserva con le imprese statunitensi attive nei settori interessati dai dazi che stanno già aumentando i prezzi dei loro beni, parallelamente a quelli importati. “È cruciale tenere sotto osservazione in primis le decisioni delle aziende, ma anche e, soprattutto, le mosse della Federal Reserve. Se l’istituto centrale USA decidesse di attuare politiche monetarie e fiscali meno restrittive, a fronte di un quadro economico particolarmente preoccupante, le imprese avrebbero ancora più potere nel determinare il prezzo di vendita dei loro prodotti” concludono gli esperti di L&G.



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