Lo spazio sta diventando un laboratorio privilegiato per l’innovazione farmaceutica, dove la microgravità accelera la ricerca e apre nuove frontiere nella medicina. Davide Marotta, programme director, in-space biomanufactoring, presso l’International space station national laboratory, spiega come trasformare il potenziale in realtà con regole, investimenti e una nuova generazione di scienziati
01/06/2025
Mentre l’umanità si spinge sempre più lontano nel deep-space, nell’orbita terrestre bassa (Leo) sta avvenendo una trasformazione inattesa. Non solo nelle tecnologie di propulsione o nelle comunicazioni, ma anche nel campo biomedico, per lo studio e lo sviluppo di nuovi farmaci contro le patologie che affliggono la nostra società moderna. Infatti lo spazio sta rapidamente emergendo come un potente acceleratore per la ricerca biomedica, offrendo una piattaforma unica in cui le leggi fondamentali della biologia si comportano in modo diverso. Queste differenze non sono semplici curiosità scientifiche ma stanno alimentando una rivoluzione nella ricerca e sviluppo farmaceutica, con implicazioni significative per la salute globale e la medicina personalizzata. La nuova economia spaziale sta ampliando i confini dell’innovazione biomedica. Questa convergenza tra infrastrutture spaziali, automazione, intelligenza artificiale e bio-produzione avanzata sta plasmando una nuova e audace era in medicina.
Agli albori dell’esplorazione spaziale, la ricerca biomedica nello spazio presentava delle ambizioni relativamente modeste. Infatti, le prime missioni a bordo di Skylab, dello Space shuttle e successivamente della Stazione spaziale internazionale (Iss) erano concentrate soprattutto sulla comprensione degli effetti fisiologici della microgravità sul corpo umano. La perdita ossea, l’atrofia muscolare, il decondizionamento cardiovascolare e la disfunzione immunitaria negli astronauti hanno sottolineato per l’appunto il ruolo della gravità come forza fondamentale nella biologia umana. Eppure, queste sfide hanno suscitato interesse sul come sfruttare la microgravità per lo studio e la scoperta di nuovi bersagli terapeutici. I ricercatori hanno osservato cambiamenti biologici accelerati che possono modellare malattie legate all’età come l’osteoporosi e la sarcopenia in poche settimane, anziché in anni. Queste tempistiche accelerate hanno offerto una proposta di valore unica per la R&S farmaceutica: lo spazio come “macchina del tempo” per comprendere più rapidamente i fenomeni patologici e individuare nuovi target molecolari.
Negli anni 90 e nei primi anni 2000, le aziende farmaceutiche iniziarono a collaborare con la Nasa e altre agenzie spaziali per esplorare la cristallizzazione dei farmaci in microgravità. Le proteine formano cristalli di qualità superiore nello spazio, consentendo così una migliore risoluzione strutturale tramite cristallografia a raggi X. Questa tecnica aprì nuove strade per comprendere meglio i bersagli farmacologici per malattie come il cancro e la neurodegenerazione. Tuttavia, gli elevati costi e la complessità logistica dell’accesso allo spazio, nei primi anni della ricerca nell’orbita terrestre bassa, hanno limitato l’adozione su larga scala di questi esperimenti. Nonostante i risultati promettenti, la R&S spaziale è rimasta per lo più confinata alla scienza finanziata dal settore pubblico e a iniziative aziendali esplorative.
Oggi questo scenario sta cambiando rapidamente. L’emergere del settore spaziale commerciale sta democratizzando l’accesso all’orbita terrestre bassa. I costi di lancio stanno crollando, l’infrastruttura si sta diversificando e le aziende stanno iniziando a trattare lo spazio non solo come destinazione, ma come piattaforma per produrre e innovare. A bordo della Iss, e in futuro a bordo delle piattaforme commerciali emergenti, start up biotech e aziende farmaceutiche stanno esplorandoprocessi per lo sviluppo di nuovi farmaci, l’espansione di cellule staminali e l’ingegneria tissutale. Le proprietà uniche della microgravità la rendono un acceleratore di condizione dove la riduzione dello stress tangenziale, l’assenza di sedimentazione e l’espressione genica alterata stanno consentendo di produrre organoidi e modelli tissutali 3D più fisiologicamente rilevanti. Questi modelli imitano meglio le malattie umane, offrendo piattaforme predittive per test di screening e tossicità.
Lo spazio offre vantaggi unici nella bioproduzione. Ad esempio lo sviluppo di nuove terapie, anticorpi monoclonali, terapie cellulari e tissutali, così come la biostampa di vasi sanguigni, fegato, tessuto cardiaco, cartilagine, eccetera è notevolmente migliorata in microgravità, grazie all’assenza dei moti convettivi indotti dalla gravità. Per malattie dai meccanismi complessi, come l’Alzheimer o il Parkinson, la ricerca biomedica in Leo sta aprendo nuove prospettive sui percorsi molecolari e cellulari, altrimenti mascherati dalla gravità terrestre.
L’Iss national laboratory, in collaborazione con la Nasa e altre compagnie private, ha già avviato studi traslazionali mirati a cancro, malattie cardiovascolari e medicina rigenerativa. Queste iniziative non sono isolate: fanno parte di una rete crescente di partenariati pubblico-privati che vedono la Leo come una nuova frontiera per la R&S. Guardando al futuro, il ruolo dello spazio nella ricerca farmaceutica è destinato ad ampliarsi notevolmente. L’innovazione tecnologica, grazie ai progressi in intelligenza artificiale, biotecnologia e nanomateriali avanzati per la drug delivery, richiede infatti terreni fertili come lo spazio per realizzare pienamente il suo potenziale. Stiamo già assistendo alla nascita di pipeline farmaceutiche spaziali in cui scoperta precoce, modellazione e test preclinici saranno condotti in microgravità prima di passare a studi terrestri, e abbiamo già degli esempi di nuove terapie per il cancro e per le patologie neurodegenerative. La progettazione sperimentale guidata dall’IA ottimizzerà questi studi in tempo reale, riducendo i rischi e migliorando l’efficienza.
Nel prossimo decennio la bioproduzione in orbita diventerà un componente critico dei sistemi di produzione. Infatti, sono in fase di sviluppo bioreattori in microgravità a bordo della Iss allo scopo di ottenere prodotti biologici con maggiore purezza e resa, per terapie rigenerative cellulari e tissutali che andranno a sopperire alla carenza di donatori per trapianti. Dal punto di vista commerciale, la R&S spaziale sta attirando capitali di rischio e investimenti strategici. La visione di un’economia oltre la Terra dove scienza, industria ed esplorazione convergono, sta guadagnando slancio. La R&S farmaceutica, spesso ostacolata da lunghi tempi e alti tassi di insuccesso, trarrà enormi vantaggi dalle capacità uniche dello spazio. Tuttavia, per realizzare questo potenziale è necessario un supporto sistemico: quadri normativi per i dati clinici spaziali, linee-guida etiche per la sperimentazione oltre la Terra e infrastrutture robuste per garantire una scienza replicabile e scalabile. Formare la prossima generazione di scienziati, ingegneri e astronauti-scienziati sarà altrettanto fondamentale.
Lo spazio non è più solo per gli astronauti e i satelliti. È un laboratorio emergente, una fabbrica e un incubatore biotecnologico per le scoperte biomediche di domani. La microgravità è il vero acceleratore dell’industria biotech. Gli scorsi decenni ci hanno mostrato la promessa, oggi stiamo costruendo la realtà e il futuro punta verso un ecosistema di R&S biomedica pienamente integrato tra Terra e orbita. Lo spazio è un elemento-chiave della quarta rivoluzione industriale; accelera la scoperta e l’innovazione, riducendo i rischi dello sviluppo e aprendo nuovi paradigmi nella medicina personalizzata e di precisione. Non è più questione se lo spazio influenzerà il futuro della biomedicina, ma di quanto rapidamente sapremo sfruttare a pieno il suo potenziale.
(Pubblicato su Healthcare Policy 15)
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