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Caiazza, De Berti Jacchia: «La Svezia modello di risparmio e innovazione»


Per l’Europa, si prospetta una nuova stagione di importanti investimenti in competitività e innovazione. Per finanziarli, il legislatore punta ad attingere dai risparmi dei cittadini europei, stimati dalla BCE in 8.000 miliardi di euro. Un obiettivo che non pare di semplice realizzazione. A fornire una potenziale soluzione è la Svezia, artefice di un modello incentrato su un conto speciale detto ISK (Investeringssparkonto). I vantaggi? «Si incentivano risparmio e investimento, mentre lo Stato ha la certezza di un gettito continuo» dice l’avvocato Massimo Caiazza, Partner dello studio legale De Berti Jacchia Franchini Forlani.

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Al tempo stesso, la prospettiva di un rilancio industriale basato su innovazione e sostenibilità richiama l’attenzione su nuovi modi di pensare all’interno delle imprese e nuovi meccanismi per agevolarle. Un altro campo su cui il Nord Europa potrebbe essere d’esempio. Dinamismo, concentrazione sull’innovazione d’impresa, ma anche e soprattutto una proverbiale attenzione al benessere del dipendente e la tendenza a riflettere sulle decisioni importanti sono proprio i punti forti delle aziende svedesi. «Nel 2024 la Svezia ha presentato 4.936 domande di brevetto europeo e l’Italia 4.853, anche se sono sei volte meno, a livello di popolazione. Poco più di 10 milioni contro poco meno di 60».

Una vocazione innovativa che si dispiega nei campi più disparati – la Svezia si posiziona in cima alla classifica europea per numero di startup innovative, superando Germania e Francia, oltre che l’Italia. Ma alla base di questi dati numerici non c’è solo un’innata propensione a inventare nuove soluzioni. Ad aiutare le giovani imprese svedesi è anche una burocrazia molto più snella, con regole chiare per tutti.

C’è qualche lezione che possiamo portarci a casa, in termini di semplificazione?

«Se gli avvocati in Italia sono 240mila, mentre quelli svedesi sono appena 6.400, in Svezia si litiga meno. I tribunali svedesi considerano la certezza del diritto un valore primario ed emettono sentenze prevedibili, evitando sentenze a sorpresa che destabilizzano il sistema giuridico e scoraggiano gli investimenti in attività di impresa. A questo si aggiunge il fatto che, quando si va in causa, i tempi necessari per arrivare a una sentenza sono molto inferiori.”

Voi servite una clientela diversificata, ma focalizzata sulle imprese. Quali sono i principali settori di interesse?

«Soprattutto automotive, utensili, acciaio, farmaceutico, medicale, digitale. In generale, anche tante Startup, perché gli svedesi hanno anche un notevole ecosistema innovativo. E quando le portano sul nostro Mercato, hanno bisogno di supporto».

Quali sono i campi dell’innovazione in cui la Svezia è all’avanguardia?

«La Svezia è riconosciuta a livello globale per la sua eccellenza nell’innovazione, grazie a un ecosistema che favorisce la ricerca, lo sviluppo sostenibile e la tecnologia avanzata. C’è un po’ di tutto. Si va da kit per le diagnosi genetiche sviluppati da una società innovativa che di recente si è quotata in Borsa, ai piantoni per le sponde dei trailer. Bisogna tenere a mente che la Svezia ha un mercato interno molto piccolo e per questo le imprese sono naturalmente vocate all’export, multinazionali per definizione. Per poter avere successo nei Mercati globali, la loro filosofia è basata sul concentrarsi su un solo prodotto di eccellenza, che rappresenti un punto di riferimento su scala globale. Per fare un esempio i compressori svedesi di Atlas Copco possono anche costare qualcosa in più ma la loro qualità ed efficienza sono tali da produrre comunque un risparmio per il cliente nel medio termine. Lo stesso si può dire per altri prodotti di eccellenza sviluppati da Alfa Laval, Tetrapak, Assa Abloy, SKF, Husqvarna, Ericsson, o Spotify. Poi ci sono i modelli di business che offrono il design a costo contenuto come Ikea e H&M che investono in tecnologie sostenibili e iniziative di economia circolare.».

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Occupandovi di contratti e acquisizioni, avete costantemente a che fare con la regolamentazione di entrambi i Paesi. Quali differenze notate?

«Come avvocato iscritto sia all’albo di Milano che a quello svedese posso purtroppo testimoniare che in Italia è tutto più complicato, soprattutto nelle pratiche amministrative successive alla conclusione del contratto. Ho da poco sperimentato come lo sportello unico a volte non funziona come dovrebbe, ma diventa una complicazione ulteriore. Anche la Svezia è molto regolamentata, ma l’impostazione è quella delle autocertificazioni e fiducia nell’operatore fino a prova contraria. La corsa a ostacoli invece scoraggia gli investitori».

Quali sono gli elementi positivi che emergono dalle partnership italo-svedesi?

«A livello di gestione dei rapporti di business, l’integrazione risulta spesso relativamente semplice. Esistono molte storie di successo, anche quando gli imprenditori italiani e svedesi si trovano a dover convivere nella stessa casa. D’altronde, per i dipendenti il datore di lavoro svedese è considerato tra i più apprezzati nei ranking: i manager non hanno pregiudizi ed è possibile fare carriera basata sul merito e sui talenti senza remore di titoli o CV. La cultura svedese nel business è quella di parlare di ogni cosa, soprattutto ascoltare e valorizzare i punti di vista degli addetti ai lavori e nei limiti del possibile cercare un consenso interno. A volte, quando servono decisioni rapide, questo metodo può apparire meno efficiente, ma in generale è un grande vantaggio ed è coerente con la cultura della sostenibilità».

Venendo invece al modello di risparmio, si parla soprattutto dell’ISK. Cos’è e come funziona?

«La tassazione sui redditi in Svezia è una delle più alte del Mondo, quindi per loro diventa molto interessante poter fruire di strumenti alternativi. Questa forma di risparmio e di investimento è stata introdotta dal primo gennaio 2012 ed è molto ben vista e utilizzata dai risparmiatori svedesi. È uno strumento riservato alle persone fisiche, dunque non utilizzabile per le società. Chi vuole aderire, versa i propri risparmi su un conto ISK e paga da quel momento una tassa forfettaria annuale, pari al 30% del rendimento dei titoli di Stato maggiorato dell’1%. E questa cifra è basata sui rendimenti dell’anno precedente al calcolo, per cui si sa già in anticipo quanto si pagherà».

Che tipo di asset si possono tenere su questi conti?

«Non si parla solo di liquidità: si possono avere anche azioni, obbligazioni, fondi. In generale, titoli».

Ci sono dei limiti?

«No. Il bello è che si può guadagnare tantissimo e pagare comunque un’aliquota molto bassa. Il fatto è che va pagata comunque, anche in caso di perdite. In pratica, diventa una sorta di piccola patrimoniale sul risparmio».

Quali sono i vantaggi per l’erario?

«Innanzitutto, se uno perde, paga un po’ meno, ma paga lo stesso qualcosa. In più, si incoraggia il risparmio. In tal senso vanno anche ulteriori incentivi: da quest’anno, è stata introdotta una soglia non tassata di 150mila corone – circa 15mila euro – che dal prossimo anno sarà raddoppiata».

C’è un tetto massimo per questo regime fiscale?

«No, però sono escluse le quote di controllo. Se tu hai il 10% o più del capitale azionario di un’azienda, non puoi mettere quei titoli nell’ISK. Devi essere un investitore privato, che subisce gli eventi e non li determina dall’interno».

Quali sono le ragioni dietro al successo di questo strumento?

«Alla base c’è la sua stessa struttura: ovunque lo si porti, un modello così funziona. Aiuta anche il fatto che il sistema sia molto trasparente e intuitivo da usare. C’è perfino un motore di ricerca nell’agenzia delle entrate svedesi che consente di simulare in anticipo aliquote e importi da pagare».

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L’ISK è riservato ai residenti in Svezia?

«No, però i vantaggi fiscali correlati sono fruibili da soggetti che pagano le imposte in Svezia».

Sarebbe auspicabile l’introduzione di un modello simile nel nostro Paese?

«Posso solo augurarmelo, perché incentiva l’investimento anche in fondi più dinamici. In generale, consente di valutare tutta la gamma degli investimenti senza l’influenza di considerazioni fiscali. A differenza di quello che succede oggi, con la ricerca di polizze deducibili e soluzioni analoghe. In più, si prospetta l’opportunità di un prelievo anche da certi paperoni…».

Quali potrebbero essere gli eventuali ostacoli?

«Potrebbe costituire un problema per certi modelli di business, come le assicurazioni, in quanto ci sarebbe un minore interesse a stipulare alcune polizze. In compenso, le compagnie assicurative hanno spesso partecipazioni molto rilevanti nelle banche, che sarebbero le prime a gestire questi strumenti e a raccoglierne i vantaggi. E non è da escludere uno scenario in cui un’assicurazione possa gestire direttamente un conto del genere. In fondo, si parla di deposito titoli, per cui un ambito già oggi non monopolizzato dagli istituti di credito, ma aperto a qualsiasi soggetto autorizzato a fare ritenute e rendiconti».                           

Esiste la possibilità che una soluzione del genere sia implementata anche a livello europeo?

«Purtroppo, la fiscalità resta a oggi nazionale, eccezion fatta per l’IVA. Il mio sogno sarebbe quello di un fisco comunitario, con una federal tax uguale per tutti e un debito sovrano a sua volta comune. Restano degli ostacoli, in primis gli squilibri interni tra i livelli di indebitamento dei vari Paesi. Ma io credo che, con un giusto compromesso e differenziazioni temporanee, anche questo problema possa essere superato dato che il debito complessivo si assesterebbe subito intorno all’85% del PIL UE. È un’opportunità che sarebbe dietro l’angolo, se solo ci fosse la volontà politica».

Potrebbe essere un mezzo per superare gli squilibri fiscali tra gli Stati membri?

«La cosa peggiore che sta succedendo sono gli scompensi interni che creano una specie di competizione fiscale. Chi tassa di meno, attira di più le imprese, attraverso esenzioni scorrette che inspiegabilmente avvengono da decenni senza reazione. Con questa soluzione, queste pratiche scomparirebbero, riportando il confronto su un piano di concorrenza leale».

©️

Articolo tratto dal numero del 1 giugno 2025 de Il BollettinoAbbonati!

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📸 Credits: canva.com





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