Opportunità unica

partecipa alle aste immobiliari.

 

Crisi Aziendali e Ristrutturazione del Debito: La Guida Per Le Imprese


La tua impresa sta affrontando una crisi di liquidità, ha accumulato debiti con banche, fornitori o il Fisco e non riesce più a far fronte agli impegni?

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

La legge oggi ti offre strumenti concreti e legali per ristrutturare il debito, fermare le azioni dei creditori e salvare l’azienda, senza dover arrivare al fallimento.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, diritto societario e risanamento aziendale – ti spiega in modo chiaro come affrontare una crisi aziendale, quali soluzioni esistono e come costruire un piano di ristrutturazione efficace e sostenibile.

Scoprirai:

  • Quali sono i segnali da non ignorare: insolvenze ripetute, blocco dei fidi bancari, decreti ingiuntivi, calo del fatturato e tensione con i fornitori;
  • Cosa prevede il Codice della Crisi d’Impresa e quando è obbligatorio agire per evitare responsabilità personali dell’amministratore;
  • Gli strumenti principali per la ristrutturazione:
    Composizione negoziata della crisi (con esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio)
    Concordato preventivo o semplificato in continuità
    Accordi di ristrutturazione dei debiti con banche, fornitori e Fisco
    Transazioni fiscali e previdenziali con Agenzia delle Entrate e INPS
  • Cosa succede dopo l’avvio della procedura:
    Misure protettive automatiche: sospensione di pignoramenti, azioni esecutive e interessi
    – Possibilità di ristrutturare i debiti in modo sostenibile, evitando la chiusura
    – Conservazione dei posti di lavoro e continuità operativa
  • Perché agire subito è fondamentale: ogni giorno perso può aggravare la crisi, ridurre le alternative legali e mettere a rischio il patrimonio aziendale e personale.

Con il supporto di un legale esperto, puoi analizzare la crisi con lucidità, negoziare con i creditori, proteggere l’attività e rilanciare l’impresa su basi più solide.

Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, per esaminare la situazione economico-finanziaria della tua impresa, valutare gli strumenti più adatti e costruire un piano concreto per uscire dalla crisi e salvare l’azienda.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Introduzione

Le imprese possono attraversare fasi di difficoltà economico-finanziaria che, se non gestite tempestivamente, rischiano di degenerare in crisi o insolvenza conclamata. Negli ultimi anni l’ordinamento italiano ha profondamente riformato la disciplina della crisi d’impresa, adottando un approccio moderno improntato alla prevenzione precoce delle crisi, alla continuità aziendale e al risanamento quando possibile. Il fulcro di questa riforma è il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, di seguito CCII), entrato definitivamente in vigore il 15 luglio 2022 dopo vari rinvii e successivamente modificato da diversi provvedimenti. Tra gli aggiornamenti normativi più rilevanti vi sono il D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (cosiddetto Secondo Correttivo), emanato in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 e finalizzato a introdurre i quadri di ristrutturazione preventiva, nonché il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (cosiddetto Terzo Correttivo), entrato in vigore il 28 settembre 2024. Questi interventi, insieme ad altri decreti urgenti (come il D.L. 118/2021 convertito nella L. 147/2021), hanno completato e perfezionato il Codice della crisi, rendendo operative nuove procedure e affinando quelle esistenti.

Il presente documento – destinato ad avvocati, consulenti e imprenditori con conoscenze avanzate in materia – offre una guida organica e aggiornata (a maggio 2025) sugli strumenti giuridici per affrontare le crisi aziendali e attuare la ristrutturazione del debito. Adopereremo un linguaggio tecnico-giuridico ma dal taglio divulgativo, evidenziando le principali novità normative (inclusi i correttivi del 2022 e 2024) e fornendo un quadro completo delle procedure e degli istituti previsti dal nuovo ordinamento concorsuale italiano. In particolare, esamineremo:

  • I meccanismi di allerta interna e le soluzioni di composizione assistita della crisi (come la Composizione Negoziata);
  • Le procedure di concordato preventivo (distinguendo tra concordato in continuità e concordato liquidatorio, oltre al nuovo concordato semplificato);
  • I piani di ristrutturazione aziendale (piani attestati di risanamento) e gli strumenti negoziali affini;
  • Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (nelle varie forme: ordinari, agevolati e ad efficacia estesa) e la convenzione di moratoria;
  • La liquidazione giudiziale (già “fallimento”) e il ruolo residuale che essa riveste nel sistema riformato;
  • Gli strumenti di continuità aziendale, ovvero tutte le soluzioni volte a preservare l’attività d’impresa (dai piani e accordi stragiudiziali ai concordati in continuità e altre misure di supporto);
  • I profili fiscali (come la transazione fiscale e la gestione del debito tributario/contributivo) e quelli bancari/finanziari (rapporti con istituti di credito, nuova finanza, accordi con banche) rilevanti nelle ristrutturazioni;
  • Le implicazioni pratiche nei principali settori economici (PMI, edilizia, industria manifatturiera, commercio, startup innovative);
  • Tabelle riepilogative che mettono a confronto condizioni, vantaggi e svantaggi dei diversi strumenti;
  • Una sezione di FAQ (domande frequenti) sui dubbi più comuni degli operatori;
  • Alcune simulazioni pratiche di casi di crisi aziendale e possibili soluzioni applicative;
  • Un elenco finale di fonti normative, pronunce giurisprudenziali e riferimenti dottrinali utilizzati, per agevolare eventuali approfondimenti.

Questa guida si propone quindi come un vademecum completo sulla gestione della crisi d’impresa e sul restructuring del debito, fornendo ai professionisti gli strumenti concettuali e operativi per orientarsi nel nuovo sistema concorsuale italiano e individuare le soluzioni più adatte alle specifiche situazioni aziendali.

Strumenti di Allerta e Composizione Assistita della Crisi

Uno dei pilastri della recente riforma è il passaggio da un sistema “repressivo” (in cui l’insolvenza veniva affrontata solo a conclamazione avvenuta) a un sistema preventivo fondato sull’allerta tempestiva e sulla composizione negoziata della crisi. L’idea di fondo è incentivare l’imprenditore a attivarsi volontariamente appena emergono segnali di difficoltà, così da salvaguardare la continuità aziendale ed evitare l’aggravarsi del dissesto. In quest’ottica, il CCII ha introdotto obblighi organizzativi interni e procedimenti volontari esterni per rilevare e gestire precocemente la crisi.

Adeguati assetti organizzativi e segnali di allarme

Fin dal 2019 è in vigore per gli amministratori l’obbligo di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, idonei a rilevare tempestivamente i sintomi di crisi. Il D.Lgs. 83/2022 ha dettagliato tali obblighi, elencando specifici segnali d’allarme indicativi di uno stato di difficoltà. In particolare, l’art. 3 CCII (come modificato) richiede di monitorare:

  • Squilibri patrimoniali o finanziari significativi, anche attraverso indici di bilancio e flussi di cassa prospettici;
  • Insolvenza prospettica: l’incapacità di far fronte regolarmente alle obbligazioni nei successivi 12 mesi (verifica della continuità aziendale a un anno);
  • Indicatori di crisi specifici, tra cui: ritardi nei pagamenti di debiti fiscali e contributivi, arretrati verso fornitori e banche oltre determinate soglie (es. debiti verso fornitori scaduti da oltre 90 giorni superiori ai debiti non scaduti, esposizioni bancarie scadute da oltre 60 giorni >5% del totale, retribuzioni ai dipendenti scadute da oltre 30 giorni >50% del monte stipendi mensile);
  • Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati: l’Agenzia delle Entrate, l’INPS, l’Agente della Riscossione e altri enti previdenziali sono tenuti a segnalare all’imprenditore il superamento di specifici limiti di esposizione (fiscale/previdenziale) e a invitarlo ad accedere a una soluzione negoziata. Tali soglie sono fissate dall’art. 25-novies CCII e, in base alla normativa vigente, la segnalazione deve avvenire entro 60 giorni dalla conoscenza dello stato di crisi.

L’imprenditore deve quindi dotarsi di strumenti di monitoraggio costante (contabilità aggiornata, controllo di gestione, analisi dei flussi di cassa, verifica periodica della Centrale Rischi bancaria, ecc.) tali da intercettare ogni anomalia e far “emergere” lo stato di crisi con tempestività. In caso di segnali di allarme, inoltre, scattano doveri sia in capo agli organi di controllo societari (es. sindaci e revisori devono segnalare immediatamente agli amministratori la sussistenza di fondati indizi di crisi, sollecitandoli ad attivarsi) sia in capo ad alcuni creditori pubblici qualificati, come detto. È importante sottolineare che tali segnalazioni esterne (del Fisco, enti previdenziali, ecc.) non impongono automaticamente l’avvio di una procedura concorsuale, ma mirano a spronare l’imprenditore a prendere provvedimenti (in primis valutare la composizione negoziata). Si tratta dunque di un sistema di allerta “morbido” (soft alert) in cui la scelta di attivare percorsi di risanamento rimane volontaria, pur essendo fortemente raccomandata dalle indicazioni di legge e gravata da potenziali responsabilità in caso di inerzia colposa.

Va rilevato che il disegno originario del Codice prevedeva anche una procedura formale di allerta esterna e composizione assistita innanzi a un apposito Organismo (l’OCRI presso le Camere di Commercio). Tale procedura (disciplinata dagli artt. 12-25 del CCII originario) non è mai entrata in vigore: inizialmente rinviata al 2023, è stata definitivamente soppressa dal D.Lgs. 83/2022, che l’ha sostituita con gli strumenti volontari di composizione negoziata. Pertanto, oggi l’allerta si concretizza principalmente nei suddetti obblighi organizzativi e di segnalazione, mentre l’unico percorso “assistito” di emersione anticipata della crisi è la Composizione Negoziata della Crisi.

La Composizione Negoziata per la Soluzione della Crisi d’Impresa

La Composizione Negoziata della crisi (CNC) è un istituto introdotto con D.L. 118/2021 e ora disciplinato nel Titolo II del CCII (artt. 12-25 quinquies CCII). Si tratta di una procedura volontaria, confidenziale e di natura stragiudiziale, attivabile da qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da far presagire la crisi o l’insolvenza, ma per cui sussistono ancora ragionevoli prospettive di risanamento. L’accesso è riservato al debitore (non può essere richiesto dai creditori) e avviene mediante una piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio: l’imprenditore presenta un’istanza di nomina di un esperto indipendente, corredata da informazioni sulla situazione patrimoniale e finanziaria, dall’elenco dei creditori, da una relazione sulle cause della crisi e – novità introdotta nel 2024 – da un primo progetto di piano di risanamento dell’impresa.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Nomina ed intervento dell’esperto: Una Commissione istituita presso la Camera di Commercio regionale nomina entro 5 giorni un esperto indipendente con specifiche competenze in ristrutturazioni aziendali (commercialisti, avvocati o consulenti del lavoro esperti di crisi). L’esperto, dopo aver accettato l’incarico attestando la propria indipendenza, analizza la situazione aziendale insieme all’imprenditore e valuta la praticabilità del risanamento. Quindi convoca i creditori e facilita le trattative tra le parti, proponendo soluzioni e cercando un accordo che permetta di superare la crisi. Egli può anche invitare le parti a rinegoziare in buona fede i contratti in corso divenuti eccessivamente onerosi a causa di circostanze sopravvenute (funzione di mediazione contrattuale). L’esperto non ha poteri sostitutivi, ma svolge un ruolo di facilitatore e garante della correttezza delle trattative, nel rispetto di un dovere generale di leale cooperazione e riservatezza imposto a tutti i soggetti coinvolti. La durata iniziale della procedura è di 3 mesi, prorogabile su richiesta fino a un massimo di 6 mesi (nei casi complessi, il Terzo Correttivo ha chiarito che si può arrivare fino a 12 mesi complessivi in presenza di misure protettive autorizzate).

Misure protettive e incentivi: Durante la Composizione Negoziata, l’imprenditore rimane in carica e continua a gestire l’azienda (non vi è spossessamento), tuttavia è tenuto ad operare nell’ottica di non pregiudicare la sostenibilità economica e nell’“interesse prioritario dei creditori” qualora emerga uno stato di insolvenza. A tutela della società, può richiedere al Tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee: con decreto il giudice può inibire o sospendere le azioni esecutive e cautelari dei creditori, impedire l’acquisizione di nuove cause di prelazione (ipoteche, pegni su beni del debitore) e salvaguardare i contratti pendenti impedendo risoluzioni unilaterali. Queste misure, se concesse, vengono iscritte nel Registro delle Imprese (quindi rendendo in parte pubblica la procedura altrimenti riservata) e hanno durata limitata, generalmente fino a 6 mesi prorogabili a 12. Durante tale periodo “protetto” non può essere dichiarato lo stato di insolvenza né aperta altra procedura concorsuale a carico dell’imprenditore. Ulteriori incentivi all’adesione della CNC includono la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione in caso di erosione del capitale sociale (non operano le cause di scioglimento per perdite durante le trattative), la possibilità di ottenere finanza interinale o nuova finanza prededucibile autorizzata dal Tribunale (per sostenere la continuità aziendale), nonché specifiche agevolazioni fiscali (ad esempio, esenzione da tassazione per le sopravvenienze attive da riduzione dei debiti concordata con i creditori, v. infra profili fiscali).

Un’importante novità introdotta dal Correttivo 2024 è il divieto per le banche di revocare o ridurre gli affidamenti di credito in essere per il solo fatto dell’accesso alla Composizione Negoziata, così come il divieto di classificare a sofferenza le esposizioni solo in ragione di tale accesso. In altre parole, l’ammissione alla CNC non deve costituire di per sé un default bancario: gli istituti finanziari sono tenuti a mantenere le linee di credito (salvo giustificati motivi legati alla vigilanza prudenziale, che devono essere comunicati agli organi di controllo societari). Questa misura “promozionale” mira a evitare che l’imprenditore sia disincentivato dall’attivare la procedura per il timore di reazioni negative delle banche. Analoga attenzione è rivolta ai rapporti con il Fisco: il Terzo Correttivo ha espressamente previsto la possibilità di concludere accordi transattivi sui debiti tributari anche nell’ambito della Composizione Negoziata (si veda più avanti sulla transazione fiscale), rafforzando così gli strumenti a disposizione durante le trattative. Inoltre, per le imprese con oltre 15 dipendenti, è ora obbligatorio informare preventivamente le rappresentanze sindacali aziendali dell’avvio della procedura di CNC, al fine di coinvolgere i lavoratori nelle soluzioni di risanamento quando sono in gioco i livelli occupazionali.

Esito delle trattative: La Composizione Negoziata può portare a diverse soluzioni consensuali, a seconda della gravità della situazione e del consenso ottenuto dai creditori. Non essendo una procedura “tipica” con esito predefinito, essa è estremamente flessibile: le parti, con l’assistenza dell’esperto, possono concludere accordi stragiudiziali di vario genere (dilazioni di pagamento, accordi transattivi, aumenti di capitale con nuovi investitori, cessioni di rami d’azienda, ecc.), oppure accedere a uno degli strumenti di regolazione della crisi previsti dal Codice. In particolare, se durante le trattative si delinea un accordo formale con una parte significativa di creditori, l’imprenditore potrà imboccare la strada di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal Tribunale, oppure – qualora sia necessario coinvolgere anche i creditori dissenzienti – predisporre un piano per un concordato preventivo (v. sezioni successive). La legge favorisce esplicitamente questo raccordo tra fase negoziale e procedure concorsuali: ad esempio, è consentito al debitore di trasformare l’istanza di composizione negoziata in una domanda di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione, godendo in tal caso di una corsia preferenziale e della conservazione degli effetti protettivi nel frattempo ottenuti.

Se invece le trattative falliscono e non è stato possibile individuare una soluzione di risanamento, l’esperto ne dà atto in una relazione finale depositata sulla piattaforma telematica. A questo punto l’imprenditore, se si trova in stato di insolvenza senza prospettive di recupero, dovrebbe avviare una procedura liquidatoria (liquidazione giudiziale) per evitare ulteriori aggravamenti. Tuttavia, il legislatore ha introdotto un particolare strumento di chiusura: il Concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio. Introdotto originariamente dal D.L. 118/2021 e ora regolato dagli artt. 25-sexies e 25-septies CCII, esso consente all’imprenditore – solo in caso di esito negativo della Composizione Negoziata – di richiedere al Tribunale l’omologazione di un piano di liquidazione dei propri beni senza necessità di approvazione dei creditori. In sostanza è un concordato “senza voto”: il debitore propone di liquidare l’intero patrimonio sotto il controllo del Tribunale, eventualmente con l’apporto di un terzo assuntore, garantendo ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione giudiziale. Il Tribunale, sentiti i creditori (che possono sollevare osservazioni) e verificati i requisiti di legge, può omologare il concordato semplificato se ritiene il piano idoneo a assicurare il miglior soddisfacimento dei creditori. Questo strumento rappresenta un’alternativa rapida al fallimento, pensata per evitare dispersione di valore quando la soluzione alla crisi, pur non permettendo la prosecuzione dell’attività, può essere attuata più speditamente e con minor costi di una procedura liquidatoria ordinaria.

Vantaggi e limiti della Composizione Negoziata: In sintesi, la CNC offre il grande vantaggio della riservatezza (almeno finché non si attivano misure protettive, la procedura rimane confidenziale) e della flessibilità nelle soluzioni, il tutto senza gli stigma e i costi di una procedura giudiziale. Consente di guadagnare tempo prezioso e di negoziare in un quadro protetto (sospendendo azioni esecutive) e professionale (grazie all’esperto). Sul piano dei limiti, va evidenziato che si tratta di uno strumento volontario e basato sul consenso: i creditori non sono obbligati a rinunciare alle proprie pretese se non trovano un accordo, né esiste un provvedimento coattivo di ristrutturazione all’esito (se non tramite conversione in procedure concorsuali). Pertanto, la riuscita dipende dalla disponibilità delle parti a compromessi. Inoltre, l’assenza di pubblicità iniziale può ridurre i casi di allarmismo, ma d’altro canto può complicare il coinvolgimento di creditori non noti o non immediatamente raggiungibili. Infine, la Composizione Negoziata richiede uno sforzo organizzativo da parte dell’imprenditore (documentazione dettagliata da produrre, analisi delle cause della crisi, ecc.) e professionale nell’assistenza, il che può comportare costi consulenziali non trascurabili. Ciononostante, questo istituto rappresenta una delle novità più significative del Codice della crisi, in linea con le migliori pratiche internazionali di early restructuring, e il legislatore ne ha recentemente rafforzato l’attrattività con le modifiche del 2024. L’auspicio, come dichiarato nella Relazione ministeriale, è che la CNC – finora usata in modo ancora limitato – possa finalmente “dispiegare le vele” e solcare i mari della crisi d’impresa quale strumento efficace di regolazione anticipata.

Il Concordato Preventivo

Il concordato preventivo è la tradizionale procedura concorsuale giudiziale attraverso cui un imprenditore in stato di crisi o di insolvenza propone ai creditori un piano per il risanamento dell’impresa o, in difetto, per la liquidazione del patrimonio, al fine di evitare gli effetti più gravosi della liquidazione giudiziale (fallimento). Il concordato preventivo, disciplinato dagli artt. 84-120 CCII, mantiene nella sostanza la struttura già prevista dalla previgente Legge Fallimentare, ma con importanti novità introdotte dal Codice e dai successivi correttivi. Esso rimane uno strumento duttile, articolato in due varianti fondamentali:

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

  • Concordato in continuità aziendale (diretta o indiretta);
  • Concordato con liquidazione del patrimonio (c.d. concordato liquidatorio).

Vediamone le caratteristiche in dettaglio, evidenziando anche le condizioni di ammissibilità più rigorose introdotte dalla riforma.

Concordato in continuità aziendale

Il concordato in continuità è volto a realizzare il risanamento dell’impresa tramite la prosecuzione (totale o parziale) dell’attività, anziché la sua cessazione. La continuità può essere diretta, se l’impresa prosegue in capo al debitore stesso (magari ristrutturata e ridimensionata), oppure indiretta, se è prevista la cessione o il conferimento dell’azienda (o di rami di essa) a un altro soggetto che ne proseguirà l’attività. In entrambi i casi, lo scopo è preservare il valore organizzativo dell’azienda come going concern e massimizzare la soddisfazione dei creditori attraverso la generazione di reddito futuro piuttosto che la sola liquidazione degli asset.

Nel concordato in continuità il piano deve essere corredato da una relazione di un esperto indipendente (attestatore) che certifichi la fattibilità del piano e attesti che la continuità aziendale rappresenta la soluzione migliore o comunque vantaggiosa per i creditori (in termini di soddisfacimento) rispetto alle alternative liquidatorie. Una novità di grande rilievo apportata dal Codice è l’obbligo di suddividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica ed interessi economici. Mentre in passato la formazione di classi era facoltativa (salvo casi particolari), oggi la classazione è obbligatoria nel concordato in continuità: i creditori chirografari, privilegiati degradati, fornitori strategici, e altri con cause di prelazione differenti devono essere raggruppati in classi separate, in modo da consentire trattamenti differenziati e votazioni per categoria. Ciò recepisce l’orientamento della Direttiva UE 2019/1023, che mira a facilitare eventuali cram-down inter-classi e a tutelare specifiche categorie (ad es. può essere prevista una classe ad hoc per i piccoli fornitori o per i creditori strategici).

Nel concordato in continuità non vige alcun obbligo di soddisfare i creditori chirografari in misura minima predeterminata (diversamente dal concordato liquidatorio, come vedremo). Il pagamento dei creditori dipenderà dal piano e dai flussi generati dalla prosecuzione aziendale, potendo anche avvenire in parte con utilità diverse dal denaro (ad esempio, attribuzione di partecipazioni, strumenti finanziari, ecc.). I creditori privilegiati devono essere soddisfatti integralmente, salvo che rinuncino parzialmente o vengano degradata la parte eccedente il valore del pegno/ipoteca. Tuttavia, in caso di continuità indiretta (cessione d’azienda), la legge richiede che i creditori privilegiati sui beni ceduti ricevano almeno il valore di mercato dei beni stessi (per evitare aggiramenti delle prelazioni). Particolare riguardo è posto ai crediti dei lavoratori: i crediti per stipendi e TFR, se privilegiati, vanno pagati integralmente entro 30 giorni dall’omologazione se si vuole derogare alla regola dell’ordine dei privilegi (ad esempio se si intende trattare diversamente altre classi).

Un aspetto chiave introdotto dal Codice è il nuovo criterio di omologazione anche in presenza di classi dissenzienti secondo la relative priority rule (RPR). Nel concordato in continuità, se una o più classi di creditori votano contro il piano, il Tribunale può comunque omologare il concordato (cram-down interclassi) a condizione che: (i) almeno un’altra classe abbia votato a favore (escludendo eventuali classi di soci o parti correlate); (ii) il piano assicuri ai creditori dissenzienti un trattamento non inferiore a quello delle altre classi di pari grado e più favorevole di quello riservato alle classi di grado inferiore (questo è il principio di priorità relativa); (iii) sia rispettato in ogni caso il best interest test, ossia i creditori dissenzienti ricevano non meno di quanto otterrebbero nella liquidazione giudiziale. In pratica, la relative priority rule consente una maggiore flessibilità nei piani: non è necessario rispettare rigidamente la priorità assoluta (per cui i creditori superiori devono essere pagati integralmente prima che quelli inferiori prendano qualcosa), bensì è sufficiente che nessuna classe ottenga più di una classe di rango superiore e che le classi di rango inferiore non ricevano trattamenti migliori di quelle sopra. Ciò facilita, ad esempio, la partecipazione di nuovi investitori (che potrebbero essere soddisfatti anche se vecchi creditori privilegiati non vengono pagati integralmente, purché questi ultimi abbiano trattamento migliore rispetto a creditori di grado inferiore).

Concordato con liquidazione del patrimonio

Il concordato liquidatorio è una soluzione residuale in cui l’impresa non prosegue l’attività, ma liquida i propri beni in modo ordinato e distribuisce il ricavato ai creditori, evitando la procedura fallimentare. Storicamente, il concordato liquidatorio era spesso abusato con finalità dilatorie, offrendo percentuali basse ai chirografari. La riforma ha posto paletti stringenti per la sua ammissibilità: oggi è consentito solo se dalla proposta i creditori ricavano un beneficio apprezzabile rispetto alla liquidazione giudiziale. In particolare, l’art. 84 co. 4 CCII richiede che nel concordato liquidatorio vi sia un apporto di risorse esterne (denaro o beni/proventi non compresi nel patrimonio del debitore) tale da aumentare di almeno il 10% la soddisfazione dei creditori rispetto a quanto otterrebbero in caso di liquidazione fallimentare, e in ogni caso che tali risorse consentano di soddisfare i creditori chirografari in misura non inferiore al 20% del loro credito. Ad esempio, se in un fallimento ordinario i chirografari prevedono di recuperare il 10%, per proporre un concordato liquidatorio il debitore deve offrire almeno l’11% grazie all’apporto di nuovi fondi, e comunque non meno del 20% complessivo del debito chirografo. Questa soglia del 20% costituisce un minimo legale di soddisfacimento. L’apporto esterno può provenire da terzi (soci, nuovi investitori) e può essere destinato discrezionalmente a beneficio anche di creditori non privilegiati, in deroga alla priorità assoluta (la legge permette infatti di distribuire le risorse esterne senza rispettare l’ordine delle prelazioni, per incentivare iniettori di finanza fresca). Ciò significa, ad esempio, che un terzo può versare denaro per pagare parzialmente i chirografari anche se i privilegiati non sono soddisfatti integralmente, purché quel denaro sia aggiuntivo rispetto al valore di liquidazione dei beni del debitore.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Oltre a questo, il giudice valuterà con rigore la fattibilità del piano liquidatorio e la sua convenienza per i creditori: se emerge che la liquidazione concordataria non garantisce almeno quanto (o più) della liquidazione giudiziale, la proposta non verrà ammessa. In generale, il concordato liquidatorio resta ammissibile quando si prospetta una liquidazione più rapida ed efficiente dei beni rispetto al fallimento, ad esempio perché c’è già un acquirente individuato per l’azienda o per asset importanti (il classico concordato in bianco con assuntore). Una forma particolare è il concordato semplificato post-CNC di cui si è detto: anch’esso è sostanzialmente liquidatorio ma con regole proprie (no voto). Al di fuori di quel caso specifico, comunque, ogni concordato liquidatorio ordinario richiede il voto favorevole dei creditori.

Procedimento: ammissione, voto e omologazione

Il procedimento di concordato preventivo si articola in diverse fasi sotto il controllo del Tribunale:

  • Ricorso introduttivo: Il debitore deposita un ricorso contenente la proposta di concordato, il piano dettagliato e la documentazione richiesta (bilanci, elenco creditori, inventario beni, attestazione dell’esperto sulla fattibilità, etc.). In alternativa, può presentare un ricorso “in bianco” (concordato prenotativo) chiedendo un termine (da 30 a 60 giorni, prorogabile di altri 60) per presentare la proposta e il piano. Il deposito del ricorso può essere accompagnato dall’istanza di misure protettive, simili a quelle viste nella composizione negoziata: se il Tribunale le concede, da quel momento e per tutta la procedura i creditori chirografari anteriori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive, né i fornitori possono rifiutarsi di adempiere contratti pendenti a causa di pregresse inadempienze (sono sospesi gli ipso facto clauses, ossia risoluzioni contrattuali per il solo fatto del concordato). Questa protezione assicura la continuità operativa durante la fase iniziale.
  • Ammissione e istruttoria: Il Tribunale compie un esame di ammissibilità: verifica la completezza della documentazione e la presenza dei requisiti legali (ad es. per un concordato liquidatorio, verifica che la proposta offra il minimo 20% ai chirografari con apporto esterno). La valutazione sulla fattibilità del piano è di regola limitata alla fattibilità giuridica (cioè l’assenza di clausole contrarie a norme imperative) e alla non manifesta irrealizzabilità della fattibilità economica, fermo restando che una verifica più approfondita spetta alla fase di omologazione. Se ammette la procedura, il Tribunale nomina un Giudice Delegato e un Commissario Giudiziale, quest’ultimo con funzione di vigilanza e di ausilio ai creditori. L’ammissione viene iscritta al Registro delle Imprese, divenendo pubblica.
  • Gestione durante la procedura: L’imprenditore conserva l’amministrazione ordinaria e straordinaria dei beni, ma gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione devono essere autorizzati dal Tribunale (o dal GD) e soggetti a controllo del Commissario. Il Commissario raccoglie le dichiarazioni di voto dei creditori, redige una relazione sulle cause della crisi e sulla veridicità dei dati aziendali, e informa i creditori sull’attendibilità del piano. Nel concordato in continuità, l’impresa generalmente prosegue l’attività sotto la supervisione del Commissario; nel concordato liquidatorio, spesso l’attività cessa e si preserva solo il valore dei beni in vista della liquidazione concordataria.
  • Adunanza e voto dei creditori: I creditori aventi diritto al voto (quasi tutti, eccetto i privilegiati totalmente soddisfatti dal piano e i piccoli crediti di importo modesto se è previsto il pagamento integrale) vengono chiamati ad esprimersi sulla proposta. Con le ultime modifiche, il voto avviene per classi: in ogni classe la proposta è approvata se ottiene il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto in quella classe (maggioranza >50%). È prevista la possibilità – innovativa – di considerare approvata la classe anche se non si raggiunge la maggioranza assoluta, purché i sì rappresentino i 2/3 dei crediti dei votanti e abbiano partecipato al voto almeno il 50% dei crediti di quella classe. Questa regola incentiva la partecipazione al voto e consente l’approvazione della classe anche in caso di astensioni diffuse, in analogia a quanto avviene in ambito societario per le delibere assembleari. Complessivamente, perché il concordato sia approvato, occorre che abbia voto favorevole la maggioranza dei crediti complessivamente ammessi al voto (50%+1 del totale crediti votanti, se unica classe, oppure la maggioranza delle classi se ve ne sono più di una, salvo poi il possibile cram-down giudiziale se qualche classe è contraria). È importante notare che non votano i creditori privilegiati integralmente soddisfatti né quelli postergati o parti correlate (che fanno classe a sé con voto non decisivo).
  • Omologazione: Se la maggioranza richiesta di creditori approva il concordato, si passa alla fase di omologazione dinanzi al Tribunale. I creditori dissenzienti possono proporre opposizione (reclamo) contestando ad esempio la convenienza della proposta o la regolarità della procedura. Il Tribunale, sentite le parti, giudica se omologare il concordato, verificando il rispetto delle norme (per es. che i dissenzienti ricevano almeno il pari passu del valore di liquidazione) e valutando la fattibilità economica in termini di realizzabilità concreta del piano. Come anticipato, grazie alle nuove disposizioni, il Tribunale può omologare il concordato anche in presenza di classi dissenzienti qualora siano soddisfatti i presupposti del cram-down interclassi (almeno una classe votante a favore, rispetto della relative priority rule e migliore interesse dei creditori). Un caso particolare è l’Amministrazione Finanziaria o gli Enti previdenziali dissenzienti: il Codice prevede espressamente (art. 48 co.5 CCII) che nel concordato in continuità il Tribunale possa omologare anche senza il voto favorevole del Fisco/Enti se la loro adesione era decisiva per raggiungere le maggioranze e la proposta è conveniente rispetto alla liquidazione. Questa è la norma sul cram-down fiscale, introdotta nel 2020 e confermata nel nuovo ordinamento (di fatto, il mancato voto o voto negativo dell’Erario viene trattato alla stregua di un rifiuto ingiustificato che il giudice può superare). Se invece il concordato non ottiene le maggioranze di voto, il Tribunale dichiara il non luogo a procedere e, di regola, apre contestualmente la liquidazione giudiziale.
  • Esecuzione del concordato: Una volta omologato con decreto (soggetto a eventuale reclamo in Corte d’Appello), il concordato preventivo diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, compresi quelli che hanno votato contro o non hanno partecipato. Si apre la fase di esecuzione sotto la vigilanza del Commissario (che in questa fase assume il ruolo di liquidatore giudiziale nei concordati liquidatori, oppure di semplice supervisore nei concordati in continuità dove la gestione rimane all’imprenditore). Se il debitore adempie regolarmente gli obblighi del piano, il concordato si conclude positivamente e l’impresa risanata o liquidata esce dalla procedura. In caso di inadempimento grave o impossibilità sopravvenuta di eseguire il piano, il concordato può essere risolto e si aprirà la liquidazione giudiziale (i creditori riacquistano le loro pretese dedotta l’eventuale parte ricevuta). La riforma ha introdotto una disposizione particolare per il concordato in continuità: qualora un creditore reclami contro l’omologa ottenendone la revoca in appello, la Corte d’Appello può comunque confermare gli effetti dell’omologazione se ritiene che l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori alla prosecuzione del piano prevalga sul pregiudizio lamentato dal reclamante. Questa regola, figlia dell’esperienza ILVA, serve a evitare che la revoca dell’omologa ad esito già avviato del piano faccia crollare la continuità aziendale: in pratica la Corte può salvare il concordato già in esecuzione se nel frattempo è divenuto essenziale per la collettività (salvaguardia di occupazione, ecc.).

Sintesi dei punti qualificanti: Il concordato preventivo riformato accentua la vocazione al risanamento: continuità aziendale favorita, obbligo di classi per gestire meglio i diversi interessi, possibilità di cram-down interclassi con criteri di priorità relativa (più equa distribuzione dei sacrifici), e notevole rigore sui concordati liquidatori (che diventano l’eccezione, subordinati al soddisfacimento minimo del 20%). Permane la flessibilità dello strumento: il debitore conserva l’iniziativa e la gestione (sotto controllo), può presentare la domanda anche in bianco per guadagnare tempo, può modificare la proposta in caso di voto negativo di qualche classe (persino convertendo un PRO non approvato in un concordato “pieno” con relative maggioranze). Il concordato garantisce effetti erga omnes e consente di ristrutturare l’indebitamento in maniera omogenea, con la forza cogente dell’omologazione giudiziale. Di contro, è una procedura complessa, costosa e di durata significativa (spesso 1-2 anni fino all’omologa), con un alto livello di scrutinio da parte del Tribunale e di interferenza nella gestione. Viene di fatto riservata ai casi più gravi o di ristrutturazioni che richiedono necessariamente la falcidia forzosa dei creditori non consenzienti.

Piani di Ristrutturazione (Piani Attestati di Risanamento)

Tra gli strumenti di gestione negoziale della crisi figura il Piano Attestato di Risanamento, disciplinato dall’art. 56 CCII. Si tratta di un piano di risanamento aziendale elaborato dall’imprenditore e asseverato da un professionista indipendente, finalizzato a riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa ed evitare l’insolvenza, il tutto al di fuori di una procedura concorsuale formale. Il piano attestato è dunque uno strumento stragiudiziale puro: non richiede omologazione o intervento del Tribunale, e punta sulla autonomia privata e sulla fiducia dei creditori nelle prospettive di risanamento delineate.

Caratteristiche principali: Il piano deve contenere l’analisi dello stato di crisi, le strategie di ristrutturazione (ad esempio: rinegoziazione dei debiti, dismissione di asset non strategici, ricapitalizzazione, nuova finanza dai soci o terzi, taglio di costi, ecc.) e le previsioni economico-finanziarie che dimostrino la sostenibilità futura. Un professionista indipendente (requisiti analoghi all’attestatore del concordato) è chiamato a attestare sia la veridicità dei dati aziendali, sia la fattibilità del piano e la sua idoneità a risanare l’esposizione debitoria dell’impresa e ad evitarne il fallimento. Di fatto, l’attestatore deve dichiarare che, se il piano viene attuato, l’impresa potrà tornare in bonis o comunque prevenire l’insolvenza.

La legge non prescrive contenuti rigidi né percentuali minime di soddisfacimento per il piano attestato, a differenza del concordato. L’unico vincolo è che sia idoneo al risanamento. Anche i creditori non sono coinvolti in modo unitario: ciascun creditore è libero di aderire o meno al piano, che giuridicamente si sostanzia in accordi bilaterali (ad es. contratti di rinegoziazione del debito, accordi transattivi) tra l’imprenditore e coloro che decidono di supportare il risanamento. Non c’è quindi un voto collettivo né una maggioranza che vincola i dissenzienti: i creditori dissenzienti restano estranei e conservano intatti i loro diritti (potranno agire esecutivamente se non soddisfatti). Il successo del piano attestato dipende pertanto dalla consensualità: tipicamente viene utilizzato quando l’impresa ha un numero limitato di creditori principali (ad esempio le banche finanziatrici) disposti a concordare una ristrutturazione del credito (workout bancario) mentre gli altri creditori sono pagati regolarmente. È uno strumento particolarmente utilizzato nelle ristrutturazioni del debito bancario: le banche spesso preferiscono una soluzione privata riservata, piuttosto che procedure concorsuali pubbliche, se ritengono credibile il piano di rilancio.

Vantaggi del piano attestato: Innanzitutto la riservatezza: il piano non è soggetto a pubblicità legale (salvo facoltativa pubblicazione per specifici effetti, vedi oltre) e l’impresa evita il possibile danno reputazionale di una procedura concorsuale. L’attuazione del piano avviene in bonis, senza l’intervento di organi esterni, consentendo all’imprenditore di mantenere il pieno controllo. Inoltre, la normativa riconosce alcuni effetti protettivi ai piani attestati: l’art. 56 CCII (già art. 67 L.F.) prevede che gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di un piano attestato non siano soggetti a azione revocatoria fallimentare in un eventuale successivo fallimento. Ciò significa che, se pure il risanamento fallisce e l’impresa viene dichiarata insolvente, i creditori non rischiano che i pagamenti ricevuti durante l’esecuzione del piano siano revocati dal curatore, a condizione che il piano fosse adeguatamente attestato e depositato (per data certa) prima. Questo scudo anti-revocatoria è un incentivo importante per i creditori ad aderire. Un ulteriore vantaggio riguarda il trattamento fiscale: le eventuali rinunce o riduzioni di credito accordate dai creditori nell’ambito del piano non generano una sopravvenienza attiva imponibile per l’impresa debitrice (la legge prevede neutralità fiscale per gli stralci di debito concordati in piani attestati e accordi omologati). Ciò evita che un’azienda in crisi, beneficiata da sconti sui debiti, debba paradossalmente pagare imposte sul “reddito” derivante da quelle riduzioni.

Microcredito

per le aziende

 

Limiti e rischi: Il piano attestato, non essendo omologato da un giudice, non vincola i creditori non aderenti. Se l’impresa ha creditori importanti che rifiutano il piano, questi possono vanificare lo sforzo (ad esempio avviando pignoramenti nel frattempo). Pertanto è adatto a situazioni in cui c’è un accordo di massima con la gran parte dei creditori strategici. Inoltre, il piano non offre misure protettive automatiche: l’imprenditore può cercare moratorie convenzionali (vedi convenzione di moratoria più avanti) ma non ha il beneficio di uno stay legale delle azioni esecutive, se non accedendo eventualmente a una composizione negoziata contestuale o chiedendo misure protettive ex art. 18 CCII (ma ciò di fatto significherebbe entrare in CNC o in concordato). Dunque, la tenuta del piano dipende molto dalla lealtà e collaborazione dei creditori chiave. Infine, va considerato che l’attestazione del professionista, seppur conferisca serietà al piano, non implica garanzia di successo: l’attestatore risponde solo per dolo o colpa grave in caso di false attestazioni. In ogni caso, qualora poi l’impresa fallisca, il piano attestato depositato costituirà un elemento di giudizio: se era manifestamente inadeguato, gli amministratori potrebbero esser chiamati a rispondere di eventuale aggravamento del dissesto per averlo seguito senza cause ragionevoli.

Formalità: Per godere della protezione di legge (esenzione da revocatoria), il piano attestato deve essere completato e attestato da un professionista indipendente. Non è obbligatorio depositarlo presso alcun registro pubblico (ai sensi dell’art. 56 CCII è sufficiente avere data certa anteriore a eventuale procedura concorsuale successiva), ma è prassi prudenziale effettuarne il deposito o l’annotazione presso il Registro delle Imprese in busta chiusa o tramite PEC a sé stessi per conferire data certa. Alcune imprese quotate o con obbligazioni possono essere tenute a informare il mercato per trasparenza. In genere però si mantiene il massimo riserbo.

In conclusione, il piano attestato è lo strumento più snello e informale di regolazione della crisi: nessuna procedura giudiziaria, intervento limitato al mercato e alla contrattazione privata, con il supporto di un’attestazione professionale che supplisce in parte alla mancanza di un vaglio giudiziale. Si tratta di uno strumento efficace soprattutto per crisi precoce o lieve, in cui la fiducia tra impresa e principali creditori è preservata. La riforma 2022 non lo ha rivoluzionato: le regole rimangono simili alla legge previgente. Una novità segnalata è l’esplicita apertura anche ai debitori non commerciali (piccoli imprenditori non fallibili) di accedere a questo strumento, benché in pratica per essi siano più indicate le procedure di sovraindebitamento.

Accordi di Ristrutturazione dei Debiti

Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ARD) rappresentano un punto d’incontro tra le soluzioni puramente private (come i piani attestati) e le procedure concorsuali giudiziali. Previsti dall’art. 57 e seguenti CCII, consistono in accordi tra il debitore e una parte qualificata dei creditori per ristrutturare l’indebitamento, accordi che vengono poi omologati dal Tribunale acquisendo efficacia verso tutti i creditori coinvolti. Gli ARD presentano vari modelli, introdotti per favorirne la flessibilità:

  • Accordo di ristrutturazione “semplice” (ordinario, ex art. 57-58 CCII): richiede l’adesione di almeno il 60% dei crediti totali;
  • Accordo di ristrutturazione “agevolato” (art. 60 CCII): soglia di adesione ridotta al 30% dei crediti a certe condizioni;
  • Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII): possibilità di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti di una certa categoria, se aderisce la maggioranza qualificata di quella categoria;
  • Convenzione di moratoria (art. 62 CCII): accordo di standstill temporaneo, con efficacia estesa intra-categoria;
  • (Oltre a ciò, l’art. 63 CCII disciplina la transazione su crediti tributari e contributivi nell’ambito di tali accordi, di cui diremo a parte).

Vediamo dapprima la struttura di base dell’accordo di ristrutturazione ordinario, poi le varianti.

Accordo di ristrutturazione ordinario (60%)

L’accordo ordinario prevede che il debitore raggiunga un accordo scritto con creditori rappresentanti almeno il 60% del totale dei crediti. Il contenuto è libero: tipicamente include una manovra finanziaria che può consistere in pagamenti parziali (stralcio di parte dei crediti), dilazioni di pagamento, modifica di tassi d’interesse, garanzie aggiuntive, conversione di crediti in capitale ecc., il tutto finalizzato a rendere l’esposizione debitoria sostenibile. Il debitore può scegliere con quali creditori trattare e in che misura soddisfarli: non occorre coinvolgere tutti i creditori, ma è ovvio che per arrivare al 60% la maggior parte dovrà aderire (es. spesso aderiscono le banche, mentre piccoli fornitori possono restare fuori). Cruciale è la relazione di un professionista indipendente che deve accompagnare l’accordo, attestando: (a) la veridicità dei dati aziendali e (b) che l’accordo, unitamente al piano di ristrutturazione sottostante, è idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini di legge. Infatti, i creditori non aderenti all’accordo devono essere tutelati: la legge richiede che il piano preveda per essi il pagamento per intero (100%) dei loro crediti entro 120 giorni dalle scadenze originarie o dall’omologazione. In pratica, chi non firma l’accordo deve essere pagato regolarmente e comunque al massimo entro 120 giorni dall’omologa se il debito era già scaduto (o entro 120 giorni dalla naturale scadenza se a termine successivo).

Una volta sottoscritto dai creditori aderenti, l’accordo viene depositato in Tribunale insieme alla documentazione del piano, all’attestazione dell’esperto indipendente e all’elenco dei creditori con l’indicazione di chi ha aderito e chi no. Il debitore può contestualmente chiedere la sospensione delle azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori (le misure protettive similari a quelle del concordato) per proteggere l’azienda durante la fase di omologazione. Il Tribunale, verificata la regolarità formale, fissa un termine (non oltre 30 giorni) per eventuali opposizioni dei creditori estranei (che possono eccepire la convenienza o la lesione dei loro diritti) e fissa l’udienza. Se non ci sono opposizioni rilevanti (o se vengono respinte) e se tutti i requisiti sono rispettati, il Tribunale emette il decreto di omologazione dell’accordo. Da tale momento l’accordo diviene efficace erga omnes rispetto ai creditori aderenti e, per certi effetti, anche rispetto agli estranei.

Vuoi acquistare in asta

Consulenza gratuita

 

È importante chiarire infatti gli effetti sugli estranei: i creditori non aderenti non sono vincolati a riduzioni o dilazioni del loro credito (non subiscono forzatamente falcidie), tuttavia, come detto, l’accordo omologato impone al debitore di soddisfarli integralmente nei tempi previsti. Inoltre l’omologazione comporta l’applicazione di alcune norme che li riguardano indirettamente: in particolare, per i creditori estranei l’eventuale remissione di debito accordata al debitore libera anche gli eventuali fideiussori e coobbligati (art. 1239 c.c. applicato per legge). Ad esempio, se Tizio srl ristruttura un debito verso Banca riducendolo del 20%, il fideiussore personale di Tizio è liberato per quella quota. Inoltre, i creditori estranei beneficiano della “moratoria di fatto”: una volta presentata l’istanza di omologazione con eventuale richiesta di misure protettive, sono sospese le azioni individuali sino all’omologazione.

Benefici per il debitore e i creditori aderenti: L’accordo di ristrutturazione regolarmente omologato offre diversi vantaggi: (i) come il piano attestato, è esente da revocatoria fallimentare: pagamenti e atti esecutivi dell’accordo non potranno essere revocati in caso di successivo fallimento; (ii) i creditori aderenti e l’imprenditore sono esentati da responsabilità penali per eventuali reati di bancarotta preferenziale o semplice relativamente agli atti compiuti in esecuzione dell’accordo (la legge esclude questi reati se c’è omologazione, equiparandoli al concordato); (iii) come visto, sgravio fiscale sulle rinunce di credito (nessuna tassazione delle sopravvenienze attive); (iv) possibilità di accedere a finanza esterna con privilegi (prededucibilità dei finanziamenti attuati in esecuzione dell’accordo); (v) opportunità di usufruire della transazione fiscale (art. 63 CCII) per includere anche debiti tributari e previdenziali nell’accordo; (vi) protezione del patrimonio del debitore nelle more (grazie al divieto di azioni esecutive una volta chiesto il provvedimento protettivo).

Limiti: L’accordo richiede un consenso qualificato – non facile da ottenere – del 60% dei crediti. Ciò significa che spesso va concordato con le banche e pochi altri creditori maggiori. I creditori minori, sapendo di essere pagati al 100%, potrebbero non aver incentivo ad aderire (tanto saranno soddisfatti comunque integralmente entro 120 giorni). Questo meccanismo crea un certo sbilanciamento: l’accordo conviene se i creditori piccoli sono pochi e sostenibili, mentre si concentrano le concessioni sui grandi creditori che accettano una falcidia/ristrutturazione. Se invece i creditori estranei (non aderenti) rappresentano una quota rilevante e non c’è liquidità per pagare integralmente il loro 40% residuo, l’accordo diviene impraticabile. Ecco perché sono state introdotte le varianti “agevolato” e “ad efficacia estesa” per ampliare le possibilità, come vedremo. Inoltre l’accordo non vincola i dissenzienti a riduzioni: rimane quindi un accordo parziale, diversamente dal concordato che impone le perdite a tutti.

Va aggiunto che, non essendoci voto di tutti i creditori, l’omologazione è più snella rispetto al concordato: il Tribunale non convoca tutti i creditori ma decide prevalentemente inaudita altera parte, salvo opposizioni. Questo rende l’iter di omologa relativamente rapido e poco costoso (può concludersi in pochi mesi). Importante: l’accordo di ristrutturazione è uno strumento volontario del debitore: i creditori non possono proporlo autonomamente (mentre nel concordato fallimentare i creditori potevano proporre soluzioni, qui no).

Accordo di ristrutturazione agevolato (30%)

Il D.Lgs. 83/2022, recependo la Direttiva UE, ha introdotto l’accordo cosiddetto agevolato (o semplificato), regolato dall’art. 60 CCII. Esso consente di abbassare al 30% la soglia di crediti necessaria per l’accordo, a condizione che il debitore non richieda misure protettive e non proponga una moratoria per i creditori estranei. In altre parole, il debitore deve rinunciare a quei vantaggi “pubblicistici” (stay delle azioni e dilazione dei pagamenti degli estranei): l’accordo agevolato è quindi caratterizzato da una negoziazione privata senza interventi del tribunale fino all’omologa e dal contestuale impegno a pagare puntualmente i creditori non aderenti alle scadenze originarie (senza sfruttare il periodo di 120 giorni dopo l’omologa). Se tali condizioni sono rispettate, bastano i 2/5 dei crediti totali per validare l’accordo. In pratica, l’accordo agevolato è pensato per i casi in cui il debitore ha liquidità sufficiente o supporto per pagare regolarmente i creditori minori, e dunque può evitare di chiedere la protezione del tribunale durante le trattative. In cambio, la soglia di consenso richiesta è dimezzata. Questo strumento migliora la fattibilità degli accordi soprattutto per imprese con debiti molto frammentati ma di importo limitato verso tanti piccoli creditori: l’imprenditore può decidere di pagarli integralmente, concentrando la ristrutturazione sui debiti maggiori (ad es. verso banche e obbligazionisti) di cui raccoglierà il 30% di adesioni.

Va notato che l’accordo agevolato, non prevedendo misure protettive iniziali, non sospende eventuali azioni esecutive dei creditori estranei durante le trattative. In tali casi, l’imprenditore deve contare sulla tenuta dei rapporti e magari su intese informali di standstill (o ricorrere alla convenzione di moratoria). Se un creditore isolato dovesse comunque aggredire il patrimonio, potrebbe compromettere il negoziato. Dunque, anche questo strumento è efficace quando c’è una sufficiente cooperazione tra le parti.

Per il resto, l’accordo agevolato segue le medesime regole procedurali di deposito e omologa dell’accordo ordinario. Anche qui serve l’attestazione di veridicità e fattibilità, e valgono i benefici esenzioni fiscali/penali etc. La differenza è solo quantitativa sul quorum e qualitativa sulle rinunce processuali del debitore.

Aste immobiliari

 il tuo prossimo grande affare ti aspetta!

 

Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa

Il nuovo art. 61 CCII disciplina gli accordi ad efficacia estesa, già anticipati dalla normativa previgente (art. 182-septies L.F.) ma ora ampliati. Questo istituto permette, in presenza di certe categorie di creditori omogenee (tipicamente le banche o obbligazionisti finanziari), di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori di quella categoria che non hanno aderito. È una forma di cram-down settoriale. Le condizioni per accedere a tale meccanismo sono rigorose:

  1. I creditori appartenenti alla categoria omogenea devono essere stati informati tempestivamente dell’avvio delle trattative e messi in condizione di partecipare alle negoziazioni in buona fede, ricevendo tutte le informazioni aggiornate sull’impresa e sulla proposta di accordo. In sintesi: nessuno deve essere tenuto all’oscuro o discriminato nella trattativa.
  2. L’accordo di ristrutturazione deve avere carattere non liquidatorio, prevedere cioè la continuità aziendale diretta o indiretta dell’impresa. Ciò significa che l’efficacia estesa non si applica se l’accordo è solo per liquidare i beni (in tal caso si usi il concordato). La ratio è privilegiare l’estensione solo nei casi in cui c’è prospettiva di prosecuzione dell’attività, in linea col favor continuità.
  3. I crediti dei creditori aderenti di quella categoria devono rappresentare almeno il 75% dei crediti di tutti i creditori appartenenti a quella categoria. Quindi una super-maggioranza: ad esempio, se abbiamo 10 banche finanziatrici, l’efficacia estesa scatta se almeno il 75% del credito totale bancario è coinvolto nell’accordo (non importa il numero di banche, rileva l’ammontare). Questo garantisce che i non aderenti siano veramente una minoranza marginale.
  4. La proposta dell’accordo deve garantire che i creditori non aderenti della medesima categoria ricevano, in base all’accordo, una soddisfazione non inferiore a quella che avrebbero in una liquidazione giudiziale. Questo è un principio di salvaguardia: i dissenzienti forzati non possono essere danneggiati rispetto allo scenario di fallimento (best interest test per la categoria).

Se tutte queste condizioni sono rispettate, il debitore può chiedere in sede di omologazione che l’accordo sia dichiarato efficace anche verso i creditori non aderenti della categoria. In pratica, il Tribunale, con l’omologa, estende la falcidia o la dilazione prevista dall’accordo pure ai dissenzienti di quella categoria, che così vengono trattati come se avessero aderito. Questo consente di superare eventuali comportamenti di blocco da parte di uno o pochi creditori in posizioni omogenee (classicamente, una banca o fondo che rifiuta l’accordo mentre tutte le altre banche accettano). Si badi: l’efficacia estesa opera solo all’interno della medesima categoria e solo per misure che non comportino la riduzione del capitale di credito (solo dilazioni, sospensioni di azioni, rinuncia temporanea a far valere default). In particolare, la legge specifica che con la convenzione di moratoria – cfr. infra – non si possono imporre ai non aderenti obblighi aggiuntivi di erogare credito o nuove prestazioni. Dunque l’estensione serve principalmente a far sì che un creditore finanziario non aderente sia obbligato a rispettare la moratoria e la dilazione come gli aderenti.

L’accordo ad efficacia estesa ha dunque un ambito applicativo specifico: il settore finanziario. In effetti, la norma è pensata soprattutto per le banche e intermediari finanziari: se la stragrande maggioranza accetta di ristrutturare un credito (ad esempio allungando le scadenze e congelando azioni), la minoranza dissenziente non può far saltare il banco avviando escussioni o rifiutando la moratoria. In passato questo strumento è stato usato ad esempio per cramdown di obbligazionisti dissentienti in presenza del 75% di altri consenzienti.

Convenzione di moratoria

Accanto agli accordi di ristrutturazione veri e propri, il Codice introduce all’art. 62 CCII la convenzione di moratoria, detta anche accordo di standstill. È un accordo di natura temporanea con cui il debitore e i creditori (anche non tutti) congelano le posizioni durante le trattative, evitando che iniziative individuali possano compromettere un eventuale piano di ristrutturazione futuro. In pratica serve a “guadagnare tempo” stabilizzando la situazione finanziaria mentre si negozia un accordo più ampio o si prepara un concordato.

La convenzione di moratoria può essere conclusa da qualsiasi imprenditore (anche non fallibile) con i propri creditori, e ha come oggetto tipico: la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia temporanea ad atti di esecuzione o a presentare istanze di fallimento, la sospensione delle azioni esecutive o cautelari già avviate, e in generale ogni misura temporanea che non comporti rinuncia definitiva al credito. Importante: per efficacia erga omnes all’interno di una categoria, la convenzione di moratoria può essere resa vincolante anche per i creditori della stessa categoria che non l’hanno sottoscritta. In tal senso, funziona come un accordo ad efficacia estesa di natura provvisoria.

Le condizioni per la convenzione di moratoria sono infatti identiche a quelle viste per l’accordo ad efficacia estesa: occorre soddisfare tutti i requisiti di cui all’art. 61 CCII (informativa completa ai non aderenti, continuità aziendale, adesioni >=75% del credito di categoria, attestazione che i non aderenti non riceveranno meno del fallimento). Se tali condizioni sono presenti, la convenzione – una volta stipulata – va comunicata ai creditori non aderenti (con raccomandata o PEC) assieme alla relazione dell’attestatore che certifica i punti sopra. Da quel momento, la convenzione di moratoria diviene vincolante anche per loro, con il seguente effetto: i non aderenti della categoria non possono intraprendere o proseguire azioni esecutive, né iniziare procedure concorsuali, per tutta la durata della moratoria; in più, non possono pretendere dal debitore nuove prestazioni o finanziamenti, né la concessione o mantenimento di fidi bancari durante la moratoria (per evitare che un non aderente approfitti chiedendo vantaggi aggiuntivi). In sostanza, li si obbliga a stare fermi per il tempo concordato senza però imporre loro sacrifici definitivi sul credito.

La convenzione di moratoria, essendo per definizione temporanea e volta a “disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi”, ha solitamente durata breve (qualche mese, eventualmente rinnovabile). Di solito anticipa o si inserisce in una composizione negoziata o nella gestazione di un accordo di ristrutturazione più strutturato. Non richiede omologazione giudiziale: è un accordo privato, sebbene l’estensione ai non aderenti avvenga per espressa previsione di legge, una sorta di binding inter partes. Non è formalmente prevista un’udienza di omologazione (differenza rispetto all’accordo ex art. 57), ma comunque la comunicazione ai non aderenti con la relazione attestativa serve a eventuali future opposizioni qualora quell’accordo confluisca poi in un ADR o concordato.

In pratica, la convenzione di moratoria è uno strumento utile nelle trattative bancarie: spesso le banche sottoscrivono un accordo di standstill impegnandosi a non revocare affidamenti e non escutere garanzie per X mesi, congelando i covenants, mentre il debitore elabora un piano e magari cerca un investitore. L’art. 62 ora permette di includere anche la minoranza dissenziente di banche (avendo 3/4 del credito bancario a favore). Questo istituto era prima rimesso solo all’autonomia contrattuale, ora trova riconoscimento e disciplina specifica.

Transazione Fiscale e Contributiva

Un capitolo imprescindibile nel contesto di concordati e accordi è la gestione dei debiti fiscali e contributivi. La normativa italiana consente di includere tali debiti in una proposta di transazione fiscale (versante tributi) e transazione contributiva (versante INPS/INAIL), attraverso cui il Fisco e gli enti previdenziali possono accettare una falcidia (riduzione) e/o una dilazione dei crediti erariali e contributivi. Originariamente introdotta nella Legge Fallimentare, la transazione fiscale è ora regolata dal nuovo art. 63 CCII per gli accordi di ristrutturazione e dall’art. 88 CCII per il concordato preventivo.

Nell’ambito degli Accordi di Ristrutturazione: l’art. 63 prevede che, nel corso delle trattative per un accordo ex artt. 57, 60 o 61, il debitore possa proporre all’Amministrazione finanziaria e agli enti previdenziali il pagamento parziale o dilazionato dei tributi (IVA, imposte dirette, etc., inclusi eventuali interessi e sanzioni) e dei contributi previdenziali obbligatori. La proposta di transazione deve essere corredata da una attestazione del professionista indipendente circa la convenienza del trattamento offerto al Fisco rispetto alla liquidazione giudiziale. In altri termini, l’attestatore deve certificare che l’Erario riceverebbe di più (o comunque non meno) accettando la transazione fiscale rispetto a quanto recupererebbe in caso di fallimento del debitore. Questa valutazione di convenienza è oggetto di specifico scrutinio da parte del Tribunale in sede di omologa.

Se l’Agente della Riscossione e gli enti interessati aderiscono formalmente alla proposta, il debito fiscale/previdenziale viene regolato nei termini concordati (ad es. pagamento del 50% in 5 anni, stralcio totale di sanzioni, ecc.) all’interno dell’accordo. Ma cosa accade se il Fisco non aderisce? La legge (art. 63 co. 2-bis) prevede il meccanismo del cram-down fiscale: qualora la mancata adesione del Fisco o degli enti previdenziali sia determinante per raggiungere la soglia di consensi (60% o 30%) richiesta per l’accordo, il Tribunale può comunque omologare l’accordo anche senza il loro assenso, purché la proposta nei loro confronti sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. In pratica, il rifiuto del Fisco può essere superato dal giudice se: (i) con l’adesione erariale si sarebbe raggiunto il quorum (quindi il debito fiscale era “pesante” nel computo del 60%/30%), e (ii) l’attestazione indipendente prova che l’Erario sta ricevendo almeno quanto avrebbe avuto dal fallimento. Questo ha risolto un annoso problema: prima il Fisco aveva spesso un potere di veto di fatto, ora invece se la proposta è seria e vantaggiosa, non può far naufragare l’accordo per il solo diniego arbitrario. La Cassazione ha confermato che in questi casi la giurisdizione sulle contestazioni appartiene al giudice civile fallimentare, non a quello tributario.

L’attuazione pratica della transazione fiscale negli accordi è delicata: l’Agenzia delle Entrate ha facoltà di valutare discrezionalmente l’accettazione della proposta secondo linee guida interne (basate sulla convenienza economica e sull’adempimento fiscale futuro). Dopo le riforme, tutti i tipi di imposte, IVA inclusa, sono falcidiabili in concordato e ADR (dal 2020 è caduto il divieto di falcidia IVA, armonizzato con il diritto UE). Resta invece non dilazionabile l’IVA di competenza UE se la proposta non è migliorativa vs fallimento. In generale, la transazione può prevedere l’integrale stralcio di sanzioni e interessi, mentre per il capitale delle imposte e contributi normalmente si propone un pagamento parziale (la percentuale varia caso per caso, spesso vicina al realizzo fallimentare previsto, ma a volte superiore per ingraziarsi l’ente). Se il debito fiscale è molto elevato (ad es. oltre 50% del totale passivo) e l’Erario non aderisce, il cram-down è possibile ma politicamente sensibile: il Terzo Correttivo 2024 ha introdotto limitazioni, prevedendo ad esempio che se nei 5 anni precedenti il debitore aveva già beneficiato di una transazione fiscale poi risolta, oppure se il debito verso Erario e INPS supera l’80% del passivo, il tribunale non può omologare accordi con cram-down fiscale. Ciò per evitare abusi da parte di società praticamente debitrici quasi solo verso il Fisco.

Nel Concordato Preventivo: analoghi principi si applicano alla transazione fiscale in concordato (art. 88 CCII). Il debitore può inserire nella proposta concordataria il pagamento parziale/dilazionato di tributi e contributi, con relativa attestazione di convenienza. Anche qui il Tribunale può omologare il concordato nonostante il voto contrario dell’Erario o degli enti previdenziali. Il Terzo Correttivo ha chiarito che per “mancata adesione” si intende anche il voto negativo espresso (non solo il silenzio), fugando dubbi interpretativi: dunque anche se l’Agenzia vota no in adunanza creditori, il giudice può dare il via libera se il piano resta conveniente e il voto erariale era decisivo per la maggioranza. Nel concordato liquidatorio vale la regola generale del 20% minimo ai chirografari, che si applica pure al Fisco se privilegiato degradato: in pratica, se il Fisco ha un credito chirografo o privilegiato declassato, deve ricevere almeno 20%. Nel concordato in continuità non c’è percentuale minima ma serve comunque la convenienza rispetto all’alternativa.

Novità 2024: È stata introdotta la possibilità di presentare una transazione fiscale di gruppo (art. 284-bis CCII) per procedure di gruppo di imprese: le società di un gruppo in concordato o ADR congiunti possono proporre un’unica soluzione unitaria al Fisco per l’intero gruppo. Questo semplifica notevolmente la gestione fiscale nei casi di gruppi complessi, evitando proposte separate per ogni società.

Profilo operativo: negoziare con il Fisco rimane complesso, richiede tempi per l’istruttoria (l’Agenzia si esprime entro 90 giorni dalla proposta). Spesso conviene avere un confronto preliminare con l’Agenzia prima di formalizzare il piano. Una volta omologata la transazione, il debito tributario viene cristallizzato secondo i nuovi importi e scadenze: se poi l’impresa non rispetta i pagamenti della transazione fiscale, questa costituisce titolo per la riscossione coattiva e normalmente comporta la risoluzione del concordato/accordo, a meno che intervenga un nuovo accordo modificativo.

In conclusione, la transazione fiscale è uno strumento indispensabile per il successo di molte ristrutturazioni, dati gli importi spesso significativi dei debiti verso Erario e INPS. Le riforme hanno reso più flessibile il suo utilizzo (consentendo falcidie su IVA e contributi, e introducendo il cram-down), ma rimane fondamentale dimostrare che lo Stato ottiene più soldi aderendo al piano di quanti ne otterrebbe mandando l’azienda in default. Questo criterio di convenienza economica è la chiave di volta per convincere l’Erario e, in difetto di adesione, per convincere il giudice ad applicare il cram-down.

Liquidazione Giudiziale (già Fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale volta a liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente e a distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Con il Codice della crisi, essa ha sostituito il “vecchio” fallimento, non tanto nei meccanismi fondamentali quanto nella terminologia e nella filosofia di fondo: il legislatore ha voluto adottare un termine più neutro e meno stigmatizzante di fallimento, in linea con altri ordinamenti europei, e sottolineare che questa procedura deve essere l’extrema ratio, da attivare solo quando le vie di risanamento risultano impraticabili. Proprio per questo motivo, la disciplina della liquidazione giudiziale è collocata in fondo al Codice (artt. 121-283 CCII), dopo tutti gli strumenti di regolazione della crisi: l’idea è di ribadire la residualità del fallimento, cui si arriva solo se falliscono (è il caso di dirlo) le misure di composizione stragiudiziale o di concordato. L’art. 7 CCII infatti esplicita un ordine di preferenza: le soluzioni di regolazione negoziale o giudiziale della crisi vanno privilegiate rispetto alla liquidazione giudiziale, ove sussistano prospettive di risanamento.

Detto ciò, la liquidazione giudiziale resta la procedura destinata a chiudere le vicende delle imprese irrecuperabili. Quando può essere aperta? In generale, quando un imprenditore (soggetto fallibile) si trova in stato di insolvenza attuale (ovvero non è in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni). La domanda di apertura può provenire dallo stesso debitore, da uno o più creditori, o d’ufficio dal Pubblico Ministero (in presenza di specifici presupposti, es. segnalazioni della Guardia di Finanza, ecc.). Diversamente dal passato, non esistono più soglie di fallibilità: sono soggetti a liquidazione giudiziale tutti gli imprenditori commerciali, esclusi quelli “minori” (sotto le soglie di cui all’art. 2 lett. d CCII: attivo < €300mila, ricavi < €200mila, debiti < €500mila) per i quali esistono procedure di sovraindebitamento. Anche le imprese agricole sono assoggettabili a liquidazione giudiziale secondo il CCII, superando la loro storica esenzione (anche se godono di misure di favore e spesso rientrano negli “minori”).

Procedimento di apertura: Si avvia con un ricorso al Tribunale. Se è il debitore a chiedere la propria liquidazione (istanza di autofallimento), il Tribunale accerta lo stato di insolvenza e può dichiarare subito l’apertura con sentenza. Se la richiesta è di un creditore o del PM, si convoca il debitore per essere sentito; il Tribunale può anche d’ufficio attivare una procedura unitaria ex art. 40 CCII qualora vi siano pendenze di altre procedure (ad esempio una domanda di concordato in corso): il Codice prevede regole di coordinamento e trattazione unitaria per evitare conflitti tra istanze di concordato e istanze di fallimento. Se accerta l’insolvenza e non vi sono prospettive di risanamento percorribili, il Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale con sentenza.

Effetti della sentenza: La sentenza di liquidazione comporta, come in passato, lo spossessamento dell’imprenditore rispetto ai propri beni: la gestione passa agli organi concorsuali. Vengono nominati infatti: un Giudice Delegato (magistrato che sovraintende alla procedura) e soprattutto un Curatore (professionista che amministra la massa attiva e svolge la liquidazione). Gli amministratori decadono dal loro potere di gestione (nelle società, decadono gli organi sociali) e l’impresa perde la disponibilità dei beni compresi nel fallimento. Tutti i creditori restano vincolati alla procedura: non possono più iniziare né proseguire azioni esecutive individuali, né acquisire privilegi sui beni (scatta la cristallizzazione delle posizioni alla data di apertura). I debiti pregressi diventano crediti concorsuali da far valere secondo le regole della procedura; eventuali pagamenti eseguiti dal debitore poco prima possono essere revocati (salvo esenzioni) se considerati preferenze indebite.

Svolgimento: Il curatore predispone l’inventario e la relazione iniziale sulle cause di insolvenza (da inviare al PM). Si procede poi alla verifica del passivo: i creditori presentano domanda di ammissione al passivo al Giudice Delegato entro termini prefissati, il curatore redige un progetto di stato passivo, e in udienza si accertano definitivamente i crediti (con eventuali opposizioni e impugnazioni). Questa fase definisce “chi ha diritto a cosa”. Nel frattempo, il curatore gestisce l’azienda fallita: può deciderne l’esercizio provvisorio (temporanea prosecuzione dell’attività se funzionale a una miglior cessione) oppure la sospende. In base alle nuove norme, l’esercizio provvisorio è incoraggiato quando vi sia interesse alla continuità o cessione unitaria, specie se è in gioco la salvaguardia occupazionale.

Si passa quindi alla fase di liquidazione degli attivi: il curatore, autorizzato dal comitato dei creditori e dal giudice, procede a vendere i beni mobili, immobili, crediti e rami d’azienda del fallito. Il Codice della crisi ha cercato di rendere le vendite più rapide e trasparenti, ricorrendo a strumenti telematici e limitando formalità. Il ricavato confluisce in un fondo da distribuire secondo l’ordine delle prelazioni: si redige un piano di riparto (parziale o finale) e il GD lo approva, assegnando le somme ai creditori (prima i prededucibili, poi i privilegiati in ordine di grado, infine i chirografari pro-quota). Spesso i creditori chirografari ottengono percentuali molto basse, o nulle, specie se ci sono molti privilegiati.

Chiusura e esdebitazione: Esaurite le operazioni di realizzo e distribuzione, il curatore presenta il rendiconto finale e il Tribunale dichiara chiusa la procedura. Nelle società, la chiusura della liquidazione giudiziale comporta l’estinzione della società. Nel caso di imprenditore persona fisica, invece, dopo la chiusura questi può chiedere l’esdebitazione: l’art. 278 CCII prevede che il fallito persona fisica sia liberato dai debiti residui non soddisfatti, purché abbia collaborato e non vi siano ragioni ostative (è un “fresh start” personale per permettere di ricominciare senza il fardello dei debiti passati). Questa esdebitazione è ottenibile di diritto se ricorrono i requisiti, dopo un controllo del Tribunale. Non riguarda però eventuali garanzie di terzi.

Innovazioni introdotte: Pur mantenendo l’impianto storico, il Codice e i correttivi hanno apportato alcune migliorie alla procedura fallimentare: (i) maggiore centralità del curatore, che ora può promuovere azioni di responsabilità contro amministratori e terzi senza dover attendere il comitato dei creditori (snellendo i tempi di attivazione di cause risarcitorie); (ii) potenziamento degli strumenti di coordinamento con le procedure di regolazione della crisi, per evitare duplicazioni (es. se durante un concordato fallisce, si può convertire la procedura invece di aprirne una nuova da zero); (iii) incentivi alla chiusura rapida: ad esempio il curatore può proporre direttamente un concordato fallimentare semplificato se trova un assuntore, oppure la procedura può chiudersi anticipatamente se non ci sono asset (chiusura per mancanza di attivo); (iv) digitalizzazione: maggior uso di PEC, portali telematici per le comunicazioni ai creditori, vendite online; (v) sezione speciale per i gruppi di imprese insolventi: è possibile una gestione coordinata di fallimenti di società collegate, con un unico tribunale competente e curatori coordinati (artt. 284-292 CCII). La filosofia è rendere il fallimento più efficiente e meno costoso, per massimizzare i recuperi.

Non va dimenticato che restano fuori dal CCII alcune procedure di liquidazione speciali: in particolare l’Amministrazione Straordinaria delle Grandi Imprese in Crisi (D.Lgs. 270/99 e D.L. 347/03) per imprese con oltre 200 dipendenti, e la Liquidazione Coatta Amministrativa per banche, assicurazioni e altri enti regolati. Tali procedure seguono leggi proprie, con finalità talvolta diverse (ad es. salvaguardia di interessi pubblici nel caso di banche). Il presente focus rimane sulle imprese ordinarie; basti sapere che per le “grandi imprese strategiche” è spesso prevista l’amministrazione straordinaria (si pensi ad Alitalia, ILVA, ecc.), e per le imprese sotto-soglia o consumatori ci sono procedure di sovraindebitamento come il concordato minore (simile a un piccolo concordato per piccole imprese non fallibili) e la liquidazione controllata del sovraindebitato (analoga al fallimento ma in scala ridotta). In ogni caso, la liquidazione giudiziale rimane la procedura di riferimento per la cessazione ordinata delle attività imprenditoriali insolventi di dimensioni rilevanti.

Impatto della liquidazione sui creditori e sull’economia: Il fallimento tradizionalmente comporta effetti gravosi: i creditori chirografari recuperano poco o nulla, i dipendenti perdono il lavoro (salvo intervento del Fondo di garanzia INPS che anticipa TFR e ultime mensilità), i fornitori subiscono perdite integrali, l’indotto locale ne risente. Consapevole di ciò, la riforma tenta di ridurre questi impatti incoraggiando soluzioni alternative e, quando il fallimento è inevitabile, velocizzandone la conclusione per permettere il riutilizzo efficiente delle risorse residue. Si potrebbe dire che la liquidazione giudiziale oggi è concepita come una “soluzione residuale e neutrale” che chiude il ciclo di vita di un’impresa, senza più quell’alone punitivo di infamia che storicamente accompagnava il fallito. A livello sociale, resta comunque uno scenario di default che si cerca, ove possibile, di evitare tramite gli strumenti di allerta e compositivi esaminati.

Strumenti di Continuità Aziendale

Uno degli obiettivi fondamentali del nuovo assetto normativo è la conservazione della continuità aziendale ogniqualvolta vi siano concrete possibilità di risanamento. La logica è chiara: mantenere in vita l’impresa (o parti di essa) significa salvare posti di lavoro, preservare competenze, evitare dispersione di valore e spesso garantire un miglior soddisfacimento dei creditori rispetto alla liquidazione. Il Codice della crisi adotta espressamente una prospettiva di going concern, evidenziando come la regolazione della crisi debba favorire, per quanto possibile, la prosecuzione dell’attività d’impresa.

In questa sezione riepiloghiamo gli strumenti già descritti mettendo a fuoco il loro ruolo nel promuovere la continuità e segnaliamo altri istituti collegati.

  • Composizione Negoziata e Allerta: Questi strumenti operano prima dell’insolvenza conclamata, proprio per consentire interventi che evitino l’interruzione dell’attività. La CNC in particolare è nata per permettere alle imprese di risanarsi da dentro, con negoziazioni protette ma senza interrompere l’operatività quotidiana. Durante la CNC l’impresa continua a produrre/vendere, e le misure protettive la difendono temporaneamente dai creditori: questo tutela la continuità nel momento più delicato, dando ossigeno affinché si trovi un accordo che ne garantisca la sopravvivenza. Anche gli obblighi di allerta interna (adeguati assetti) servono a intervenire quando ancora l’impresa è attiva, non a motore spento.
  • Piani attestati di risanamento: Sono strumenti in continuità per eccellenza, in quanto presuppongono la prosecuzione dell’attività durante e dopo l’esecuzione del piano. Non c’è interruzione: si modificano le condizioni di debito ma l’azienda rimane operativa. Anzi, spesso nei piani attestati c’è un focus sul rilancio commerciale e industriale (nuovi investimenti, taglio rami improduttivi) per ritrovare redditività.
  • Accordi di ristrutturazione (ARD): Anche gli ARD generalmente puntano a evitare la disgregazione aziendale. In particolare, quando l’accordo coinvolge banche e altri finanziatori, l’obiettivo è ristrutturare il debito finanziario mantenendo l’impresa in funzione e magari con nuova finanza. Gli ARD ad efficacia estesa e le convenzioni di moratoria sono tarati per la continuità: la legge stessa esclude che possano essere usati se l’intento è liquidatorio. Significa che se l’accordo prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione dei beni, non si può imporre ai dissenzienti di una categoria di stare fermi. L’efficacia estesa è concessa solo se c’è un piano di prosecuzione dell’impresa (direttamente o tramite cessione), segno che l’accordo in questione mira a salvare la business unit.
  • Concordato preventivo in continuità: È lo strumento formale principe per assicurare la sopravvivenza dell’impresa sotto supervisione giudiziaria. Rispetto a strumenti privati, il concordato in continuità consente misure più incisive: ad esempio, il Tribunale può autorizzare l’azienda a contrarre finanziamenti prededucibili indispensabili per la gestione corrente o ad effettuare atti di straordinaria amministrazione (es. vendere asset non strategici per fare cassa) durante la procedura. Viene nominato un commissario a tutela dei creditori, ma l’imprenditore rimane in carica e può condurre l’attività seguendo il piano industriale di rilancio. Come visto, la normativa scoraggia i concordati liquidatori “puri”, proprio per incentivare l’utilizzo del concordato con continuità come strumento di ristrutturazione aziendale. Un vantaggio fondamentale del concordato in continuità è la previsione che i contratti pendenti non possano essere risolti o sospesi dal contraente controparte per il solo fatto del concordato: ad esempio, un fornitore essenziale non può interrompere le forniture invocando precedenti insoluti né rescindere il contratto in base a clausole di insolvency. Ciò garantisce la tenuta delle relazioni commerciali vitali (fornitori, clienti, locatori) e quindi la continuità operativa. Anche i crediti dei fornitori sorti prima restano congelati e saranno pagati secondo il piano, ma intanto il fornitore deve continuare a onorare gli ordini correnti (salvo adeguate garanzie di pagamento per il nuovo, di solito si pagano per contanti alla consegna).
  • Finanziamenti per la continuità: Un aspetto cruciale della continuità è la finanza ponte. Spesso un’impresa in crisi ha bisogno di liquidità fresca per proseguire l’attività (pagare fornitori critici, completare commesse, pagare stipendi). Il sistema prevede meccanismi per favorire ciò: ad esempio, durante la Composizione Negoziata si può chiedere autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili che, se l’esperto li ritiene funzionali al migliore interesse dei creditori, verranno privilegiati in caso di successiva procedura. Nel concordato preventivo, il debitore può ottenere dal tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili sia in pendenza di procedura che nel piano stesso, i quali avranno priorità di rimborso (anche su ipoteche esistenti entro certi limiti, con specifiche garanzie se necessario). Ciò serve ad attrarre capitali privati (banche, soci, investitori) disposti a finanziare l’azienda a condizione di essere rimborsati prima degli altri creditori. Analogamente, i fornitori post-petition (che forniscono beni/servizi durante la procedura concorsuale autorizzata) vedono i loro crediti qualificarsi come prededuzione in caso di fallimento successivo, quindi vengono pagati con precedenza su tutti. Queste misure stimolano il mercato a continuare a interagire con l’impresa in crisi, sapendo di avere tutele, e in tal modo la mantengono in vita.
  • Cessione dell’azienda in esercizio: La continuità può realizzarsi anche tramite continuità indiretta, ossia trasferendo l’azienda o rami di essa a terzi che proseguono l’attività. Il Codice consente che un concordato o un accordo di ristrutturazione prevedano la cessione del complesso aziendale a un assuntore (investitore) che garantisce la prosecuzione. Ad esempio, in un concordato, l’assuntore potrebbe rilevare l’azienda e continuare il business assumendo i lavoratori (o parte di essi) – di fatto un sale of business – mentre il prezzo di cessione va alla massa creditoria. Per incentivare tali soluzioni, la norma permette di derogare alla regola di priorità assoluta per l’utilizzo di risorse esterne, come abbiamo visto: l’investitore può destinare parte del prezzo a pagare creditori di ordine inferiore se funzionale all’operazione. Nelle liquidazioni giudiziali, il curatore può (ed è incoraggiato a) vendere l’azienda in blocco anziché spezzettarla, se così i valori sono maggiori e c’è chi acquista. In quei casi, l’esercizio provvisorio è il ponte per tenere l’azienda viva in attesa dell’acquirente.
  • Trattamento dei lavoratori: La continuità aziendale comporta anche la tutela dell’occupazione. Il Codice prevede l’obbligo di consultazione sindacale in vari frangenti (ad es. Composizione Negoziata per imprese >15 dipendenti, concordato preventivo in cui siano previste misure sui rapporti di lavoro, ecc.). Ciò recepisce la direttiva UE, che vuole i rappresentanti dei lavoratori informati e coinvolti. Inoltre, il mantenimento dei contratti di lavoro durante concordati in continuità è la regola, salvo il caso in cui il piano preveda esuberi: in tal caso si attuano le procedure di licenziamento collettivo con accordi sindacali e accesso a eventuali ammortizzatori sociali. Va ricordato che, grazie alla continuità, i lavoratori non perdono automaticamente il posto, come invece accade nella liquidazione. Se poi l’azienda viene ceduta, la normativa sul trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c.) si applica anche in ambito concorsuale con alcuni adattamenti: i lavoratori passano al cessionario con le tutele previste (possibilità di escludere solo parzialmente certe pendenze pregresse con accordo sindacale ex art. 47 L. 428/90, ma grosso modo il principio di continuazione dei rapporti di lavoro è salvo).
  • Amministrazione Straordinaria: Nonostante non faccia parte del CCII, va menzionato come strumento speciale di continuità per grandi imprese. L’Amministrazione Straordinaria (leggi Prodi e Marzano) è finalizzata proprio a tentare il risanamento o la cessione a pezzetti di grandi complessi insolventi, tramite commissari governativi, con durate più lunghe e poteri straordinari. Riguarda casi con enorme impatto occupazionale e sistemico. La si potrebbe considerare la “concordato in continuità delle grandissime imprese”. Tuttavia, data la sua natura eccezionale e fuori Codice, non la approfondiamo qui.

In sintesi, il sistema attuale mette a disposizione una gamma di strumenti che, a vario titolo, possono garantire la sopravvivenza dell’impresa economicamente sostenibile. Dal workout privato assistito, alle procedure concorsuali flessibili, fino all’estrema ipotesi di vendita dell’azienda (continuità in mano altrui), l’obiettivo comune è evitare la dispersione dei valori. La liquidazione fallimentare è confinata all’ultimo posto, come opzione residuale quando la continuità non è più possibile neppure in forme indirette. Ciò riflette un cambiamento culturale importante: il fallimento non è più visto come l’inevitabile epilogo di ogni insolvenza, bensì come uno degli esiti possibili, da scongiurare se realisticamente l’impresa può essere ristrutturata. Naturalmente, non tutte le imprese in crisi sono salvabili – alcune hanno modelli di business obsoleti, prodotti non più richiesti, gestioni gravemente compromesse – e in tali casi insistere sulla continuità può solo aggravare i danni. Sta all’abilità dei professionisti e degli organi giudiziari discernere le situazioni in cui la going concern è la strada migliore da quelle in cui occorre staccare la spina. Il Codice fornisce gli strumenti per entrambe le evenienze, con un dichiarato bias a favore della prima opzione.

Profili Fiscali nelle Procedure di Crisi d’Impresa

La dimensione fiscale riveste un ruolo cruciale nella gestione delle crisi aziendali, poiché spesso le imprese in difficoltà accumulano debiti verso l’Erario (IVA, imposte sui redditi) e verso gli enti previdenziali (contributi INPS) a causa di carenza di liquidità. La normativa italiana, consapevole di ciò, ha predisposto specifici istituti per affrontare il “debito fiscale” all’interno delle procedure di risanamento, bilanciando l’esigenza dello Stato di tutelare il gettito con quella di non ostacolare soluzioni che in definitiva possano portare a un miglior recupero rispetto al fallimento.

Abbiamo già approfondito la transazione fiscale e contributiva parlando degli accordi e del concordato (art. 63 e 88 CCII). Qui riepiloghiamo e integriamo alcuni punti chiave, aggiungendo ulteriori profili fiscali:

  • Includere il Fisco nel piano di risanamento: Oggi qualsiasi strumento di regolazione della crisi (accordo di ristrutturazione, concordato preventivo e anche composizione negoziata) può prevedere la ristrutturazione dei debiti tributari e contributivi. Ciò avviene tramite la transazione fiscale, ovvero una proposta di pagamento parziale e/o dilazionato di tali debiti rivolta all’ente creditore pubblico. Negli accordi ADR, la transazione fiscale si negozia direttamente con l’Agenzia delle Entrate (o Agenzia Riscossione) e l’INPS durante la fase delle trattative: l’ente valuta e può firmare l’accordo come un creditore qualsiasi, a certe condizioni di legge (attestazione di convenienza, etc.). Nel concordato, la proposta ai crediti fiscali viene sottoposta al voto (sono in classi di solito distinte se degradati) e se l’ente vota no, il giudice può comunque omologare forzosamente se la proposta è conveniente.
  • Oggetto della transazione: Si possono trattare tutti i tipi di tributi e contributi, comprese IVA e ritenute non versate, che un tempo erano escluse da falcidia. Le sanzioni tributarie sono sempre falcidiabili (anche allo 0%, vengono spesso condonate totalmente), gli interessi pure; il capitale d’imposta può essere ridotto in concordato secondo necessità (purché, ricordiamo, l’ente prenda almeno quanto in fallimento). Nei piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (PRO) e negli accordi, l’art. 63 ora consente di proporre anche la dilazione spinta (oltre le soglie ordinarie di rateazione). In composizione negoziata, dal 2024, è ammesso stipulare accordi transattivi sul debito fiscale parallelamente alle trattative (questa innovazione consente ad esempio di definire i debiti tributari arretrati con l’Agenzia durante la CNC, evitando di lasciarli come spada di Damocle e facilitando l’uscita dall’impasse).
  • Convenienza per l’Erario: Il principio cardine è la convenienza comparativa: l’Erario può accettare (o il giudice può imporgli) una transazione solo se il piano offre un recupero non inferiore a quello stimato in caso di fallimento. Ciò richiede un calcolo spesso complesso: stimare quanto incasserebbe l’Erario in uno scenario liquidatorio (tenendo conto dei privilegi, delle eventuali percentuali su beni, etc.) e confrontarlo col valore attuale della proposta (pagamento parziale per gi di ruolo tot). L’attestatore indipendente svolge questo calcolo nella sua relazione. Ad esempio, se si stima che l’Agenzia in fallimento recupererebbe 30 su 100 (magari come chirografaria prendendo 10% e come privilegiata un 40% su parte del credito), la proposta concordataria dovrà dare almeno 30 (spesso cercano di dare qualcosa in più, es. 35, per sicurezza e per convincere l’Agenzia a votare sì). Questo meccanismo, introdotto nel 2020 e perfezionato dal CCII, uniforma la disciplina fiscale al best interest of creditors test generale.
  • Procedura amministrativa di adesione: Per i concordati, l’Agenzia delle Entrate ha istituito specifiche commissioni che valutano le proposte di transazione fiscale. L’ente deve rispondere motivatamente entro 90 giorni (pena silenzio-rigetto, equiparato a voto contrario, quindi con eventuale cram-down possibile). Ciò richiede al debitore di depositare la proposta fiscale in anticipo. Se l’Agenzia aderisce formalmente (voto favorevole o firma dell’accordo), la transazione è conclusa e cristallizzata nell’atto di omologa. Se rigetta o tace, come visto, si può andare avanti col cram-down giudiziale. Negli accordi ADR, l’Agenzia non vota ma sottoscrive l’accordo; se rifiuta, il debitore chiede il cram-down al giudice nell’omologa (art. 63 co. 2-bis).
  • Effetti della transazione fiscale omologata: Una volta omologata, la transazione sostituisce il debito originario. Ad esempio, se l’azienda doveva €1.000.000 tra IVA e IRES e con la transazione accettata ne pagherà €400.000 in 5 anni, l’omologa rende vincolante questo nuovo “piano di pagamento” per l’Agenzia. Il debito fiscale originario viene ridotto di conseguenza e l’eventuale ipoteca o privilegio rimane a garanzia del nuovo importo ridotto. Se l’impresa adempie regolarmente alle rate, alla fine verranno anche sgravate le somme residue condonate. In caso di inadempimento della transazione (ad esempio l’impresa salta una o più rate oltre tolleranza), normalmente la transazione si risolve di diritto e il debito originario si “riespande” per l’importo residuo, con possibilità per il Fisco di riprendere le azioni esecutive. Nelle procedure concorsuali, l’inadempimento del piano porta di solito alla risoluzione del concordato o accordo, quindi a un eventuale fallimento successivo nel quale il Fisco torna ad insinuarsi per quanto non pagato (meno quanto incassato). Tuttavia, il Terzo Correttivo ha previsto che la risoluzione della transazione non comporta automaticamente la risoluzione del concordato se il debitore trova risorse per pagare integralmente il Fisco entro certi termini, dando un’ultima chance (questo però è specifico e dipende dalle clausole di salvaguardia eventualmente inserite nel decreto di omologa).
  • Iniziative deflattive e interazioni: Spesso le imprese in crisi valutano anche l’utilizzo di strumenti deflattivi “generali” come rottamazioni delle cartelle o piani di rateazione ordinari offerti dall’Agente della Riscossione. Questi strumenti, se disponibili (es. rottamazione-quater), possono ridurre il monte debiti fiscali ancor prima di accedere a una procedura concorsuale, migliorando la fattibilità del risanamento. È possibile talora cumulare: ad esempio, inserire nel piano l’intenzione di aderire a una definizione agevolata per parte del debito e transare il resto. Tuttavia, una volta aperta una procedura concorsuale, le rottamazioni decadono e bisogna usare la transazione fiscale concorsuale. Durante la composizione negoziata, nulla vieta di perfezionare una rottamazione se la legge la consente: anzi, il DL 118/2021 incoraggiava l’imprenditore a fruire di tali opportunità.
  • Trattamento fiscale delle perdite dei creditori: Un punto rilevante per convincere i creditori (incluso il Fisco come creditore) a partecipare a ristrutturazioni è la leva fiscale. Per i creditori imprenditori, le perdite su crediti subite in un concordato o ADR sono deducibili dal reddito imponibile immediatamente (sono perdite definitive su crediti commerciali, deducibili secondo l’art. 101 TUIR, quando c’è un evento certo come l’omologa concorsuale). Anche gli accantonamenti per rischi su quei crediti possono essere liberati. In pratica, se una banca accetta di tagliare un credito del 30% in un accordo, quella parte può essere portata a perdita fiscalmente riducendo l’imponibile, il che attenua l’impatto economico del taglio. Questo è un incentivo indiretto ma importante specie per gli istituti di credito.
  • Neutralità fiscale delle sopravvenienze attive per il debitore: L’abbiamo accennato: se un debitore ottiene remissioni parziali di debiti da parte dei creditori, ciò in linea di principio genererebbe una sopravvenienza attiva tassabile (art. 88 TUIR) perché il debitore “ci guadagna” patrimonialmente. Tuttavia, il legislatore esenta da imposizione le sopravvenienze derivanti da concordati preventivi omologati, accordi di ristrutturazione omologati e piani attestati di risanamento legalmente formalizzati. Questo per evitare che un’impresa già in difficoltà, appena risanata, si trovi a dover pagare tasse sui debiti cancellati. Pertanto, i “guadagni” da stralcio dei debiti in queste sedi non concorrono a formare il reddito imponibile (mentre invece se un debitore stralcia debiti in via informale senza piano attestato o concorsuale, quei condoni sarebbero tassati). L’esenzione copre anche l’IVA sui debiti annullati (non applicandosi, perché non è una cessione di beni né prestazione di servizi).
  • IVA sui crediti non riscossi: Un altro aspetto fiscale: quando un fornitore subisce un mancato pagamento (insolvenza del cliente), può emettere nota di credito IVA per recuperare l’IVA già versata su quella fattura non incassata. La legge di Bilancio 2022 ha previsto che l’apertura di una procedura concorsuale (concordato omologato, fallimento, accordo omologato) consente al creditore di portare in detrazione l’IVA dei crediti non riscossi immediatamente, senza attendere la chiusura della procedura. Questo è utile per i fornitori in caso di fallimento o concordato del cliente, ma menzioniamo che è un alleggerimento del carico fiscale per i creditori, non direttamente per il debitore in crisi.

In conclusione, i profili fiscali nelle crisi d’impresa presentano due facce: da un lato strumenti sostanziali (transazione fiscale) per ridurre l’ammontare del debito erariale e quindi rendere sostenibile un piano di risanamento; dall’altro misure fiscali collaterali (esenzioni da tassazione delle remissioni, deducibilità delle perdite, vantaggi IVA) per creare un contesto fiscale favorevole sia al debitore sia ai creditori che aderiscono. Il coordinamento tra diritto tributario e diritto concorsuale è stato storicamente difficile, ma le riforme recenti – in linea anche con direttive europee – mostrano un deciso passo avanti verso l’integrazione: l’Amministrazione finanziaria viene considerata un creditore cruciale con cui dialogare (non più un soggetto esterno intoccabile), e contemporaneamente si cerca di non penalizzare fiscalmente chi utilizza gli strumenti di risanamento.

Profili Bancari e Finanziari nelle Ristrutturazioni

Le banche e gli altri intermediari finanziari (leasing, factor, fondi) sono spesso i creditori principali delle imprese in crisi, specie per quelle di dimensioni medio-grandi. I debiti bancari (mutui, scoperti di conto, anticipi) costituiscono spesso una quota rilevante del passivo e il loro atteggiamento può decidere le sorti di un tentativo di risanamento. Per questo motivo, il legislatore ha introdotto norme specifiche per regolare i rapporti con le banche durante le procedure di crisi e per incentivare comportamenti collaborativi. Vediamo i punti salienti:

  • Moratorie bancarie e Standstill: Come descritto nella parte sugli accordi, esiste la convenzione di moratoria (art. 62 CCII) che formalizza gli standstill tra impresa e banche. Già prima delle riforme, era prassi che le banche – spesso coordinate dall’ABI o da accordi interbancari – concedessero moratorie temporanee sui crediti alle imprese in crisi (ad es. sospensione pagamento rate mutui per 6 mesi, mantenimento linee autoliquidanti). Ora ciò può essere parte di un accordo vincolante anche per banche dissenzienti se la maggioranza qualificata aderisce. Questa possibilità riduce il rischio del “free rider”: ovvero la banca che, vedendo le altre in attesa, accelera per escutere pegno o revocare fidi e prendersi tutto. Con la convenzione di moratoria, se il 75% delle banche concorda nel congelare le azioni, anche il 25% residuo è costretto a stare fermo. Ciò favorisce un gioco cooperativo tra istituti di credito.
  • Divieto di revoca degli affidamenti in Composizione Negoziata: Un grosso problema era la reazione “a catena” delle banche alla notizia di difficoltà dell’impresa: spesso appena intuivano una crisi, revocavano i fidi o ne sospendevano l’utilizzo (provocando un credit crunch immediato). Il correttivo 2024, come visto, ha stabilito che l’accesso formale alla CNC non può costituire motivo di revoca o sospensione degli affidamenti bancari né di peggioramento del rating creditizio. Questo è un vincolo legale: finché l’azienda è in CNC, le banche dovrebbero mantenere operative le linee (fidi di cassa, castelletto per sconti, lettere di credito) salvo non possano farne a meno per obblighi di vigilanza prudenziale (in tal caso devono motivare per iscritto). È una tutela fondamentale: impedisce che l’avvio di un percorso di risanamento volontario si traduca paradossalmente in un auto-avvelenamento (self-fulfilling prophecy) per l’impresa via revoca generalizzata dei crediti bancari. Chiaramente, se emergono insolvenze conclamate, le banche potrebbero comunque agire; ma non per il solo fatto formale della CNC.
  • Accordi di Ristrutturazione con banche (art. 61 CCII): La previsione di efficacia estesa per categorie omogenee di creditori è nata soprattutto per i creditori finanziari. Già dal 2015 con l’art. 182-septies L.F. l’Italia aveva introdotto la possibilità di imporre un accordo alla minoranza di banche dissenzienti se il 75% era d’accordo. Ora quell’istituto è evoluto ma la sostanza rimane: le banche formano una categoria e se la stragrande maggioranza concorda il piano di rientro, la minoranza non può opporsi oltre un certo limite. Ciò riflette anche una prassi: le banche tendono ad agire in pool nelle ristrutturazioni (spesso nominano un “bank mandate” o lead bank che guida le trattative a nome di tutte). L’accordo ad efficacia estesa dà certezza che nessun piccolo finanziatore farà fallire l’accordo all’ultimo.
  • Nuova finanza e roll-over del debito: Le banche spesso vengono coinvolte non solo per tagliare il debito esistente ma anche per fornire nuovo supporto finanziario all’impresa ristrutturata. Ad esempio, in un concordato in continuità le banche possono concedere un finanziamento fresh money per l’attività corrente, garantito dalla prededuzione (e talvolta da privilegio speciale se autorizzato). Oppure, all’esito di un accordo ADR, possono erogare linee aggiuntive per il circolante. Il sistema normativo tutela tali nuovi finanziamenti: come già ricordato, i finanziamenti in esecuzione di un piano attestato, di un accordo o di un concordato omologati sono considerati prededucibili, ossia verranno rimborsati con precedenza su tutti gli altri crediti in caso di successivo fallimento. Inoltre, se l’accordo o concordato prevede espressamente quali siano i nuovi finanziamenti, l’omologa li “benedice” e li esclude da possibili revocatorie o censure. Questo dà fiducia alle banche e agli investitori a mettere soldi freschi, sapendo di essere senior rispetto ai vecchi creditori. Il Codice prevede anche che eventuali garanzie concesse su nuovi finanziamenti (es. pegno su asset residui) non siano soggette a revoca se autorizzate.
  • Ristrutturazione del debito bancario: Sul piano squisitamente tecnico-finanziario, quando un’impresa rinegozia i debiti con le banche può utilizzare diversi strumenti: allungamento delle scadenze (allungamento mutui, con eventuale periodo di pre-ammortamento), riduzione dei tassi di interesse, consolidamento delle esposizioni a breve termine (trasformare fidi in finanziamenti a medio termine magari garantiti), conversione di parte dei crediti in strumenti partecipativi (equity o strumenti simil-equity), rilascio di garanzie aggiuntive su crediti ristrutturati, oppure stralcio parziale (haircut sul capitale). Le banche valutano di solito piani di ristrutturazione secondo metriche di recoverability e present value: confrontano quanto otterrebbero da un fallimento (spesso poco, e in tempi lunghi) con quanto il piano propone (es. 50% su 5 anni garantito da new investor). Se il piano appare più conveniente e credibile, sono incentivare ad aderire. La cornice normativa supporta queste scelte, come evidenziato, con vantaggi fiscali (deducibilità perdite creditizie) e protezioni legali (no revocatoria, ecc.). Inoltre, la vigilanza bancaria consente alle banche di classificare meglio i crediti ristrutturati in bonis se la ristrutturazione soddisfa certe condizioni (ad es. è sustainable e c’è un periodo di osservazione di regolarità nei pagamenti).
  • Crisi bancarie e credit crunch: Un aspetto macro: in periodi di difficoltà economiche generali, le banche possono irrigidire la concessione di credito (credit crunch), peggiorando le crisi d’impresa. Il legislatore, con queste norme (divieto di revoca fidi per CNC, obbligo di partecipare attivamente alle trattative), cerca di mitigare il problema, quantomeno a livello micro per la singola azienda in procedura. Inoltre, l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) negli ultimi anni ha varato Protocolli di intesa con Confindustria per moratorie su crediti alle PMI, e Linee guida per uniformare le pratiche di ristrutturazione del debito. Tali linee guida, pur volontarie, incoraggiano le banche a sedersi al tavolo con l’impresa in difficoltà prima di procedere alla revoca degli affidamenti o all’escussione delle garanzie, soprattutto se l’impresa manifesta trasparenza e volontà di risanamento.
  • Garanzie Pubbliche: In alcuni casi, per sostenere il credito alle imprese in crisi temporanea, possono intervenire garanzie pubbliche. Ad esempio, il Fondo Centrale di Garanzia PMI in Italia ha offerto garanzie su finanziamenti destinati alla ristrutturazione di debiti (in certe misure emergenziali). Oppure Cassa Depositi e Prestiti e SACE hanno programmi di supporto. Se tali strumenti sono disponibili, vengono integrati nei piani per convincere le banche a erogare new finance (sapendo di avere copertura statale parziale). Ciò però esula dalla normativa concorsuale ed è più materia di politiche economiche congiunturali.
  • Gestione dei pegni e ipoteche bancarie: Le banche in genere hanno garanzie reali (ipoteche su immobili, pegni su macchinari, su crediti, privilegio su stock di magazzino) o personali (fideiussioni dei soci). In una procedura di concordato o ADR, queste garanzie condizionano il potere contrattuale: se la banca è ipotecaria e coperta dal valore dell’immobile, difficilmente acconsentirà a uno stralcio del credito, preferendo escutere la garanzia. La legge però consente di modificare temporaneamente anche questo scenario: con le misure protettive, anche le azioni esecutive reali (es. pignoramento immobiliare di una banca ipotecaria) sono sospese per la durata della procedura. Ciò dà modo al debitore di cercare accordo anche con i creditori garantiti. Un concordato può prevedere la vendita dell’immobile ipotecato e il pagamento parziale dell’ipotecario in base al ricavato: se questo implicasse un minus per la banca, occorre il suo voto nella classe dei privilegiati degradati. Se la banca non ci sta, a volte si deve soddisfarla integralmente (es. liquidando quell’immobile al valore di perizia per darle il 100% fino a capienza). La legge permette di cramdown sui privilegiati solo degradandoli in base al valore di stima dei beni: in concordato se il valore a garanzia è inferiore al credito, la parte eccedente va in chirografo e può subire falcidia (questo non è un vero cramdown, è il normale meccanismo di falcidia per incapienza). Quindi, la contrattazione con le banche garantite ruota molto attorno alle perizie di stima: se il perito valuta quell’immobile meno del debito, la banca è costretta ad accettare una perdita per la parte eccedente, oppure a opporsi e sperare che il giudice non omologhi. Tuttavia, se tutte le condizioni di legge sono rispettate (ad es. banca in classe privilegiati con soddisfacimento integrale pari al valore di stima, e chirografo su eccedenza trattato come gli altri chirografari), l’opposizione della banca di solito non impedisce l’omologa.
  • Derivati e altri rapporti finanziari: Alcune imprese hanno contratti derivati o altre operazioni finanziare con banche (es. interest rate swap). In caso di insolvenza, spesso questi contratti prevedono clausole di risoluzione automatica. Il Codice non ha affrontato nello specifico i derivati, ma la normativa generale sugli ipso facto (art. 14 CCII) tende a invalidare le clausole risolutive automatiche per insolvenza nelle forniture di beni e servizi essenziali, non è chiaro se si applichi a derivati (probabilmente no, perché i derivati sono regolati da contratti quadro ISDA con normative di close-out netting). Comunque, questo è un tema di nicchia: in molte ristrutturazioni, l’eventuale close-out di un derivato produce un credito (o debito) da includere nel passivo. Le banche tendono a chiudere i derivati e conteggiare l’importo nel debito complessivo ristrutturato.

In definitiva, il ruolo delle banche nelle crisi d’impresa è al tempo stesso quello di creditori da soddisfare (spesso tra i maggiori, quindi da convincere ad accettare piani di recupero parziali) e di finanziatori indispensabili per la prosecuzione dell’attività. Il successo di un’operazione di risanamento dipende quasi sempre dall’assenso del ceto bancario e, possibilmente, dal suo supporto attivo (ad esempio mantenendo aperte linee di fido per finanziare il circolante, o erogando nuova liquidità post-omologa). La legge cerca di creare un quadro di cooperazione, offrendo da un lato tutele (prededuzione, non revocabilità, trattamento preferenziale) per spingere le banche a dare aiuto all’impresa che può sopravvivere, e dall’altro vincolando le banche a non fare azioni distruttive precipitose (divieto di revoca fidi in CNC, standstill forzoso se la maggioranza concorda). È un equilibrio delicato: la banca deve comunque rispettare norme di vigilanza e prudenti valutazioni del merito creditizio; non le si può imporre di “buttare soldi buoni su cattivi”. Però, se vi è un piano credibile, oggi l’ordinamento le chiede di considerare seriamente la via del “consenso contrattuale assistito” invece di passare direttamente alle vie legali contro l’impresa. In tal senso, il CCII promuove un cambio di mentalità anche nel sistema bancario: meno reattività individuale e più gestione collettiva delle crisi d’impresa, nella consapevolezza che una ristrutturazione ben congegnata può portare un recovery per le banche superiore a quello di un fallimento, e preservare un cliente che, risanato, può tornare a essere un’azienda sana (e quindi continuare ad operare come cliente bancario).

Implicazioni Settoriali: PMI, Edilizia, Industria, Commercio, Startup

Le diverse tipologie di imprese e settori economici possono presentare peculiarità specifiche nell’affrontare situazioni di crisi e nell’utilizzo degli strumenti di ristrutturazione del debito. In questa sezione esaminiamo le implicazioni e considerazioni principali per alcuni settori e categorie di imprese: le Piccole e Medie Imprese (PMI), il settore edile, il settore industriale/manifatturiero, il settore commerciale e le startup innovative. Pur esistendo un quadro normativo unitario (il CCII si applica in generale a tutti, salvo eccezioni), le caratteristiche operative di ciascun comparto influenzano l’approccio alla crisi.

Piccole e Medie Imprese (PMI)

Le PMI costituiscono l’ossatura del tessuto imprenditoriale italiano. Spesso sono imprese a conduzione familiare o con struttura manageriale poco formalizzata, capitalizzazione limitata e forte dipendenza dal credito bancario a breve termine. Queste caratteristiche comportano alcune criticità ma anche strumenti dedicati:

  • Adeguati assetti anche per le piccole realtà: Anche le PMI (incluse le microimprese sopra certe soglie) devono dotarsi di sistemi di monitoraggio interno della crisi. Tuttavia, molte piccole aziende potrebbero non avere organi di controllo interni (spesso per legge non obbligatori) né competenze finanziarie avanzate. Ciò rende fondamentale il ruolo del commercialista esterno che le assiste: è spesso quest’ultimo a dover sensibilizzare l’imprenditore su segnali di crisi (es. tensioni di cassa, arretrati fiscali) e a promuovere l’attivazione tempestiva di strumenti come la Composizione Negoziata. L’esperienza insegna però che la piccola impresa tende a rivolgersi ai professionisti quando la situazione è già molto compromessa. Il CCII cerca di invertire questa tendenza anche tramite la leva delle responsabilità personali: l’imprenditore (soprattutto se amministratore di società) che non istituisce assetti adeguati e ritarda colpevolmente il ricorso agli strumenti di regolazione può incorrere in azioni di responsabilità per aggravamento del dissesto.
  • Imprese “minori” e concordato minore: Il Codice prevede procedure semplificate per i debitori “non fallibili” o minori (che, come definito, non superano determinati limiti dimensionali). In particolare c’è il concordato minore (artt. 74-83 CCII) riservato ai debitori minori, che ha regole procedurali più snelle (ad esempio, il piano non necessita di approvazione dei creditori mediante votazione formale; il tribunale decide dopo aver valutato eventuali osservazioni dei creditori). Il concordato minore richiede comunque di soddisfare i creditori chirografari in misura almeno pari al 20%, salvo eccezioni, ma consente di gestire la crisi delle piccole imprese in modo meno costoso e formale. Inoltre, per i debitori minori e i guadagni modesti esiste la liquidazione controllata (ex liquidazione del sovraindebitato), analoga alla liquidazione giudiziale ma innanzi all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e con costi ridotti.
  • Sovraindebitamento e OCC: Molte micro-imprese individuali o società di persone molto piccole rientrano nell’ambito del “sovraindebitamento” (che comprende anche i professionisti e i consumatori). Esse possono accedere, oltre al concordato minore già citato, anche ad una ristrutturazione dei debiti del consumatore/imprenditore minore (artt. 67-73 CCII) o ad un piano del consumatore se persona fisica. L’Organismo di Composizione della Crisi (presso gli Ordini professionali o enti pubblici) assiste queste piccole realtà predisponendo le proposte e attestando la fattibilità. In sostanza, il legislatore ha creato un doppio binario: sopra soglia CCII con tribunale, sotto soglia OCC.
  • Garanzie personali e patrimoni familiari: Nelle PMI è comune che i titolari abbiano prestato fideiussioni personali sulle esposizioni bancarie dell’azienda, o abbiano messo ipoteca sulla casa di proprietà a garanzia di finanziamenti. Ciò significa che la crisi dell’impresa rischia di travolgere anche il patrimonio familiare dell’imprenditore. Gli strumenti di ristrutturazione possono gestire solo in parte questa dinamica: ad esempio, un concordato della società non libera automaticamente il fideiussore (se non per la quota di debito stralciata, grazie alla regola ex art. 1239 c.c. applicata agli accordi e concordati: il garante è liberato per la parte di debito rimessa). Ma per la parte residua, i creditori potranno agire sui garanti se l’accordo non li vincola. In molti piani di PMI, dunque, è necessario coinvolgere i soci/garanti: spesso i piani prevedono un contributo finanziario personale dei soci/famiglia (apporto di nuovi fondi magari derivanti da vendita di beni personali) in cambio della liberazione dalle garanzie. Oppure la famiglia può valutare di avviare anch’essa una procedura di sovraindebitamento personale (es. piano del consumatore) parallela a quella dell’impresa, per regolare la propria esposizione.
  • Costi delle procedure: Le PMI sono sensibili ai costi (onorari professionali, spese di giustizia). Una critica storica era che procedure concorsuali come il concordato fossero troppo onerose per piccoli debitori. Le nuove procedure minori, il ricorso agli OCC e la standardizzazione di modelli (checklist per CNC, ecc.) puntano a ridurre i costi. Ad esempio, l’assenza di votazione nel concordato minore evita i costi di adunanza dei creditori. Tuttavia, rimane vero che predisporre un piano attestato o una CNC richiede competenze professionali (consulenti, legali) che non sono gratuite. Lo Stato ha predisposto un sistema di patrocinio a spese dello Stato per sovraindebitati indigenti, e la figura del gestore della crisi presso l’OCC può essere pagata a percentuale sui risultati. Ciò aiuta le microimprese, ma per PMI di dimensioni intermedie (non miserrime ma neanche grandi) resta opportuno considerare i costi come parte del piano. Un piano ben fatto però può diluirli: ad esempio, gli onorari dei professionisti possono avere prededuzione e venire pagati col cash flow del risanamento.
  • Rapporto con fornitori locali: Le PMI spesso operano in contesti locali ristretti, con fornitori e clienti di zona. Una crisi di una PMI può provocare sfiducia nella comunità d’affari circostante. Convincere fornitori e clienti a continuare a dare fiducia è cruciale: strumenti come la CNC, se ben comunicati, possono dare il segnale che l’impresa sta affrontando i problemi in modo strutturato, evitando il panico. Spesso l’imprenditore PMI punta molto sul capitale reputazionale personale: ad esempio, rinegozia i debiti in via informale chiedendo tempo e promettendo pagamento integrale. Il CCII cerca di incanalare questo in soluzioni formalizzate, ma la dimensione relazionale rimane forte: in un piccolo paese, il creditore conosce l’imprenditore e potrebbe preferire un accordo privato sulla parola piuttosto che procedure formali. Non a caso, il ricorso alle procedure concorsuali in Italia è storicamente meno frequente tra le micro imprese: molte preferiscono soluzioni “fatte in casa” (moratorie di fatto, rifinanziamenti familiari, ecc.), oppure finiscono per chiudere senza procedure (liquidazione volontaria e poi i creditori inseguono).

In sintesi, per le PMI l’accento è su soluzioni semplici, rapide e poco costose, sfruttando gli istituti di sovraindebitamento se applicabili, oppure componendo negozialmente con l’aiuto di esperti. La formazione degli imprenditori sull’allerta precoce e l’accompagnamento da parte di professionisti qualificati (commercialisti e avvocati specializzati in crisi) è fondamentale per superare la ritrosia e gestire la crisi in modo ordinato. Il Codice della crisi ha predisposto gli attrezzi, ma la sfida è farli utilizzare diffusamente anche alle piccole realtà.

Imprese Edili e del Settore Costruzioni

Il settore edilizio e delle costruzioni presenta dinamiche peculiari che influenzano le crisi d’impresa in questo ambito:

  • Struttura finanziaria delle imprese edili: Spesso le imprese di costruzioni (specialmente quelle coinvolte in sviluppo immobiliare) lavorano per commessa, con cicli di cassa irregolari e pesante ricorso all’anticipazione bancaria su stati di avanzamento lavori. Hanno asset in immobilizzazioni (terreni, edifici in corso di costruzione) e forti indebitamenti verso banche (mutui fondiari, scoperti di conto per finanziamento cantiere) e verso fornitori/subappaltatori. Una crisi nel settore (ad es. calo vendite immobili, incremento costi materie prime) può portare facilmente a insolvenze a catena. Nel caso di sviluppi immobiliari, se l’operazione s’inceppa (invenduto, cost overrun), l’impresa rimane con immobili a metà e debiti elevati.
  • Tutela degli acquirenti di immobili da costruire: Un aspetto critico nel settore è la tutela dei promissari acquirenti di immobili in costruzione. Dopo alcuni scandali (costruttori falliti lasciando acquirenti senza casa e senza soldi), è stata introdotta la L. 210/2004 (D.Lgs. 122/2005) che prevede obbligo per il costruttore di rilasciare una fideiussione bancaria a garanzia degli importi versati dai privati acquirenti e di stipulare una polizza decennale postuma. Ciò significa che se un’impresa edile fallisce, gli acconti versati dai clienti sono coperti dalla garanzia (che i clienti possono escutere). Nei concordati di società immobiliari, questi creditori particolari (promissari acquirenti) di solito vengono trattati con la consegna dell’immobile a completamento, oppure se l’immobile non verrà più consegnato vengono indennizzati attingendo alle fideiussioni. Dunque, i concordati edili spesso contengono classi dedicate ai promissari acquirenti, con proposte di adempimento specifico (consegnare l’alloggio finito, magari tramite un altro costruttore subentrante) oppure di risarcimento (escussione polizza e pagamento parziale del residuo credito se la polizza non copre tutto).
  • Continuazione dei cantieri: In caso di crisi di un’impresa edile, uno degli obiettivi principali è evitare l’abbandono dei cantieri, che comporta degrado delle opere e perdita di valore. Gli strumenti di continuità (concordato in continuità, esercizio provvisorio in fallimento) sono vitali per completare i lavori in corso. Ad esempio, un costruttore in concordato può chiedere di proseguire i cantieri con la supervisione del commissario, reperendo nuova finanza per terminare gli immobili da consegnare. Un concordato in continuità indiretta potrebbe prevedere che un’altra impresa subentri nei cantieri (ad es. tramite affitto d’azienda autorizzato dal tribunale) portandoli a termine: i creditori potrebbero così recuperare di più vendendo appartamenti finiti piuttosto che scheletri incompiuti. Pertanto, nei piani concordatari del settore edile, spesso si trovano accordi con partner o investitori per portare a compimento i progetti.
  • Rapporti con la Pubblica Amministrazione: Molte imprese edili lavorano su appalti pubblici. Una crisi può comportare la risoluzione dei contratti pubblici, salvo il caso in cui l’impresa ricorra a concordato in continuità: il Codice degli Appalti (D.Lgs. 50/2016) permette all’ente appaltante di continuare il rapporto con l’appaltatore in concordato con continuità aziendale autorizzato dal tribunale, purché l’impresa fornisca garanzie aggiuntive e l’ANAC non si opponga. Questo per evitare blocchi di opere pubbliche. Ad esempio, se un’impresa in costruzione di un ponte chiede concordato in continuità, la stazione appaltante può decidere di non risolvere il contratto e far proseguire i lavori, magari con monitoraggio, se confida nell’esecuzione. Invece, se l’impresa va in liquidazione o concordato liquidatorio, l’appalto pubblico di norma viene sciolto e riassegnato ad altri, con ritardi notevoli. Quindi per le imprese edili che lavorano con il pubblico, la continuità non è solo desiderabile ma spesso necessaria per non perdere i lavori (e quindi la ragione di esistere dell’impresa).
  • Subappaltatori e fornitori locali: L’edilizia coinvolge una miriade di microimprese subappaltatrici (impiantisti, carpentieri, ecc.) e fornitori di materiali. Il fallimento di un general contractor può trascinare a sua volta in crisi i sub-fornitori che restano non pagati. I concordati edili spesso dedicano attenzione a questi creditori trade: talvolta si creano classi separate per subappaltatori con possibilità di offrire percentuali di soddisfo diverse (magari più alte se ritenuti essenziali per completare l’opera). Inoltre, in caso di proseguimento dei lavori, spesso i subappaltatori vengono coinvolti per finire i cantieri dietro promessa di pagamento del pregresso secondo il piano e pagamento cash delle nuove opere. È una situazione delicata di gestione dei rapporti: se i subappaltatori perdono fiducia e smobilitano, il cantiere si ferma. Quindi il successo di un concordato in continuità di un’impresa edile dipende in parte dalla capacità di tenere a bordo i subappaltatori, magari con accordi ad hoc (es. nuovi contratti con il commissario per completare i lavori e riconoscimento di prededuzione su una parte delle nuove forniture).
  • Patrimoni immobiliari da liquidare: In molti casi la crisi di un’impresa immobiliare porta alla necessità di liquidare l’invenduto (terreni, case costruite ma non vendute). Bisogna però evitare vendite affrettate a valori di saldo che penalizzano i creditori. Il concordato può prevedere la vendita in blocco a un certo valore, oppure la creazione di una società veicolo in cui far confluire gli asset da valorizzare nel tempo (questo però è complesso e richiede l’accordo dei creditori). In liquidazione giudiziale, la vendita di questi asset può essere lunga (gli immobili non si vendono facilmente all’asta se il mercato è depresso). Un rischio di procedure lunghe è anche il deterioramento: un edificio non manutenzionato perde valore. Perciò, curatori e commissari devono spesso investire un minimo per proteggere il patrimonio (ad esempio sicurezza dei cantieri, guardiania), giustificando poi tali spese come prededucibili. Nel concordato, si possono coinvolgere consorzi di garanti (es. consorzi di cooperative edilizie) per prendere in consegna e finire opere, con supporto dei comuni se interventi di edilizia convenzionata.
  • Edilizia e superbonus 110%: Una nota attuale (al 2025) è l’impatto delle normative di incentivazione (come il Superbonus 110% per ristrutturazioni edilizie) sul settore. Molte piccole imprese edili si sono trovate esposte finanziariamente a crediti fiscali non monetizzati, causando crisi di liquidità diffuse. Legislativamente, questo è un esempio di shock esterno che porta a insolvenze multiple. La gestione di tali crediti fiscali incagliati entra a far parte dei piani di risanamento: per esempio, un’impresa edile in concordato può contare sul fatto che, se riuscirà a cedere quei crediti fiscali, avrà liquidità per pagare i creditori. Il problema è che la cessione di quei crediti è incerta. Nei tavoli di crisi del settore, il governo e banche hanno studiato soluzioni (piattaforme di acquisto crediti). Per un professionista, questo rientra nella valutazione del recovery: c’è un attivo atipico (crediti d’imposta) da valorizzare.

In sintesi, il settore costruzioni presenta crisi complesse con implicazioni sociali rilevanti (casa, opere pubbliche). Gli strumenti di regolazione devono essere calibrati per completare progetti incompiuti e tutelare gli acquirenti e i committenti. Spesso si tratta di concordati in continuità (diretta o tramite terzi subentranti). Non a caso, alcune delle più note procedure degli ultimi anni sono nel settore edile (grandi gruppi come Astaldi, Condotte, etc., sono passati per concordati con continuità). Anche per le PMI edili locali, la stessa logica si applica in scala ridotta: se un costruttore locale ha 3 palazzi in costruzione e va in crisi, meglio provare a farlo continuare o far subentrare un’altra impresa per finire i palazzi, piuttosto che lasciarli a metà e fallire. Il CCII fornisce gli strumenti giuridici, ma serve anche regia (a volte enti locali, banche, consorzi di imprese) per arrivare a soluzioni.

Imprese Industriali e Manifatturiere

Il settore industriale/manifatturiero copre un’ampia gamma di aziende (dalla piccola azienda metalmeccanica alla grande fabbrica automobilistica). In termini di crisi d’impresa, alcune caratteristiche tipiche di questo settore sono:

  • Assetti produttivi e capitale fisso: Le imprese manifatturiere possiedono impianti, macchinari, fabbricati industriali. In caso di insolvenza, questi beni costituiscono parte essenziale sia per eventuale prosecuzione (senza di essi l’attività non continua) sia come garanzia per creditori (spesso sono ipotecati o oggetto di leasing). Una ristrutturazione industriale di solito passa da investimenti per riconvertire o ammodernare gli impianti: ciò richiede nuova finanza o l’ingresso di un investitore. I piani industriali nei concordati raramente possono prescindere da iniezioni di capitali freschi, perché l’insolvenza spesso deriva da obsolescenza tecnologica o inefficienze produttive che vanno corrette (a differenza di settori come immobiliare dove il problema è vendere l’invenduto più che investire in innovazione).
  • Cessione dell’azienda come opzione: Nelle crisi industriali, una soluzione frequente è trovare un acquirente o partner che rilevi l’azienda in difficoltà (o parti di essa) per integrarla o rilanciarla. Il CCII favorisce ciò con gli strumenti di continuità indiretta: un concordato può prevedere la cessione dell’azienda a un certo soggetto, che potrebbe farsi carico di alcuni debiti e assicurare la continuità. Anche in fallimento, l’obiettivo del curatore è magari vendere il complesso aziendale a qualcuno per evitare la frammentazione. Questo settore vede quindi M&A distressed: operazioni di acquisizione di aziende in crisi da parte di competitor o investitori specializzati. Ci sono fondi di turnaround e società di investimento che cercano proprio impianti industriali da rilevare a prezzo di saldo per rilanciarli. La sfida delle procedure concorsuali è incastrare i tempi e le forme: ad esempio, avviare un bando competitivo in concordato o fallimento per la vendita; valutare se vendere con affitto preliminare (così l’impianto non si ferma); ottenere assenso sindacale per passaggio lavoratori.
  • Gruppi di imprese: L’industria spesso opera in gruppi societari (holding e varie controllate). Il CCII dedica una disciplina ai gruppi (artt. 284-292): consente di presentare un concordato di gruppo o accordo di gruppo, con un unico tribunale competente e piani coordinati per più società. Ciò è fondamentale: pensiamo a un gruppo industriale con 5 stabilimenti gestiti da 5 società diverse (magari ognuna specializzata in un componente). Se fallisce la capogruppo, le altre rischiano di non poter operare per mancanza di coordinamento. Il nuovo codice permette depositi congiunti e trattazione unitaria. In pratica, si può elaborare un piano di salvataggio dell’intero gruppo, in cui magari alcune società minori si liquidano e le principali si ristrutturano. L’omologazione di soluzioni di gruppo è complicata ma c’è margine, es. classi intersocietarie, ecc. La recente modifica (terzo correttivo) ha introdotto anche l’art. 284-bis sulla transazione fiscale unitaria di gruppo, come detto: fondamentale perché gruppi grandi hanno esposizioni fiscali frammentate, ora componibili in un colpo solo.
  • Implicazioni occupazionali e sindacali: Le crisi industriali implicano spesso esuberi di personale. Una ristrutturazione di successo può richiedere di ridurre la forza lavoro o riconvertirla. Pertanto, i piani concorsuali sovente incorporano accordi sindacali per la gestione dei “rami secchi”: es. chiusura di uno stabilimento periferico con licenziamento collettivo di 100 operai, incentivati all’esodo e ammessi alla Naspi, oppure se esistono ammortizzatori speciali (es. cassa integrazione straordinaria in concordato, prevista ex lege in alcuni casi). Il CCII, come visto, impone di informare e consultare i sindacati nelle procedure che toccano i lavoratori. A livello di risultato, per convincere i creditori ad approvare un concordato, spesso l’imprenditore deve dimostrare di aver “tagliato i costi”, e in un’azienda di produzione il costo del personale è significativo. Quindi la fattibilità e credibilità di un piano passa anche dall’aver definito un piano sociale. Ad esempio, nel concordato XYZ si prevede l’uscita di 200 dipendenti su 500, con accordo sindacale e cassa integrazione straordinaria + fondi pubblici. Questi 200 dipendenti saranno creditori privilegiati per TFR e arretrati e andranno pagati nel piano (spesso integrale). La riduzione organico alleggerisce i costi futuri e rende possibile la continuità per gli altri 300. Senza ciò, i creditori vedrebbero un business plan non efficiente e difficilmente voterebbero sì.
  • Forza contrattuale vs. filiera: Nell’industria manifatturiera c’è spesso una filiera (supply chain) con un produttore leader e tanti fornitori a monte. La crisi di un produttore grande può trascinare i fornitori (caso tipico: crisi di OEM auto -> fornitori di componenti in sofferenza). Viceversa, se fallisce un fornitore critico, il produttore può fermare la produzione per mancanza di pezzi. Le procedure di crisi hanno quindi riflessi su tutta la catena: succede che il cliente principale intervenga nel salvataggio del fornitore (per evitare disservizi) finanziandolo o acquisendolo. Nel quadro CCII, niente vieta che un cliente sia soggetto proponente di un accordo (es. un accordo di ristrutturazione pro solvendo in cui il cliente assume debiti del fornitore?). Non c’è un istituto specifico, ma nella prassi ci sono i “salvataggi del cliente”: ad esempio, un produttore di elettrodomestici potrebbe preferire sostenere il concordato del suo fornitore di schede elettroniche (magari anticipandogli pagamenti futuri) piuttosto che farlo fallire e rimanere senza fornitura. Questi accordi spesso sono fuori dal tribunale, ma a volte confluiscono: es. un cliente strategico appare in un concordato come assuntore, rilevando il ramo d’azienda del fornitore.
  • Tecnologia e proprietà intellettuale: Un aspetto a latere: imprese industriali possono possedere brevetti, know-how, marchi di valore. In procedura concorsuale, questi asset intangibili vanno valorizzati. Può essere opportuno cedere brevetti non core per fare cassa, oppure al contrario proteggere il know-how se si vuole vendere l’azienda come going concern (un acquirente è più interessato se il portafoglio brevetti è integro). I piani concorsuali considerano anche questo: talora licenze di tecnologia a terzi possono generare entrate. Un curatore in fallimento può vendere i brevetti all’asta. La difficoltà è valutarli correttamente e trovare compratori (ci sono aste specializzate per IP).

In sintesi, le imprese industriali tendono a utilizzare tutti gli strumenti possibili a seconda della taglia: PMI industriale può risolversi con accordo stragiudiziale o concordato minore; grande impresa con concordato preventivo (spesso in continuità), o accordo di ristrutturazione magari preludio a fusione/ingresso partner. Le crisi industriali sono al centro della normativa, e spesso esempi e casi giurisprudenziali (Concordati Parmalat, Alitalia, Ilva, etc.) hanno plasmato la legge. Il CCII, con la disciplina dei gruppi e il favore per la continuità, appare calibrato proprio per gestire grossi complessi produttivi insolventi in modo ordinato, preferendo soluzioni di ristrutturazione e vendita piuttosto che spezzatino immediato.

Imprese Commerciali (Distribuzione e Retail)

Il settore commercio (dettaglio e ingrosso) presenta caratteristiche differenti: meno immobilizzazioni (a parte locali commerciali in affitto di solito), capitale circolante elevato (scorte di magazzino) e dipendenza dal flusso di cassa giornaliero. Le crisi nel commercio spesso sono collegate a calo dei consumi, concorrenza (es. e-commerce) o errate politiche di acquisto.

  • Gestione delle scorte: Un problema nelle procedure di imprese commerciali è cosa fare delle rimanenze di magazzino. Sono beni destinati alla vendita (merci): in fallimento, se non venduti subito, rischiano di deprezzarsi (mode passeggere, deterioramento). Frequentemente si opta per vendite promozionali (liquidazioni) già durante la crisi per generare cassa. Nei concordati di catene retail, è tipico vedere l’autorizzazione a campagne di saldi straordinari per monetizzare lo stock. Un concordato con continuità può prevedere di chiudere i negozi non redditizi vendendo tutto l’inventario a prezzi scontati e concentrare l’attività nei punti vendita migliori.
  • Chiusura di punti vendita: Le imprese di commercio al dettaglio spesso operano in rete di negozi. Le crisi recenti (vedi Mercatone Uno, etc.) mostrano che la ristrutturazione passa per la razionalizzazione: chiudere i negozi in perdita e tenere aperti quelli profittevoli. Ogni chiusura comporta licenziamenti, risoluzione di contratti di affitto, cessione eventuale di rimanenze locali. Il concordato in continuità lo consente: il debitore può nel piano indicare quali negozi proseguiranno e quali no. Il tribunale potrà autorizzare la risoluzione dei contratti di locazione dei locali da chiudere (normalmente sarebbero contratti pendenti: in concordato c’è la facoltà di scioglimento con indennizzo del danno emergente al locatore come creditore concorsuale). Ciò è fondamentale: liberarsi di location costose in zone non più redditizie.
  • Franchising e contratti commerciali: Molte catene operano in franchising. Il fallimento o concordato del franchisor può far saltare la rete di franchisee a valle, o viceversa. La gestione di questi contratti è delicata: se la casa madre (franchisor) è in crisi, un concordato potrebbe mantenerla operativa così che i negozi affiliati continuino a rifornirsi e usare il marchio. Se fallisce, i franchisee spesso perdono il marchio e fornitura. Quindi c’è l’interesse degli affiliati a sostenere la procedura. In un caso Mercatone Uno (catena mobili in affiliazione), la crisi del franchisor ha portato i punti vendita a situazioni caotiche. Questo evidenzia la necessità di considerare i contratti di rete come asset: il concordato potrebbe cedere il marchio e la rete a un nuovo operatore. Ad esempio, un competitor acquista il brand e propone nuovi contratti ai franchisee, salvando parte del valore.
  • Stagionalità e credito di fornitura: Nel commercio, molti fornitori concedono pagamenti differiti (es. 60-90 giorni) e le vendite sono stagionali (moda, etc.). Un’impresa commerciale in crisi spesso ha collezioni in negozio da pagare a fornitori, ma se va in insolvenza, i fornitori restano scoperti e possono rivendicare la merce non venduta? In certe condizioni, se la merce è in conto vendita o con patto di riservato dominio, i fornitori possono riprenderla. In procedure concorsuali, capita di vedere fornitori chiedere l’esclusione dal passivo di merci consegnate con riserva di proprietà. Questo può complicare la gestione (immagina scaffali da cui rimuovere prodotti di fornitori che esercitano riserva). Il curatore di solito cerca accordi: vendere comunque la merce e poi dare ai fornitori una percentuale. Per questo, molti fornitori preferiscono negoziare e supportare un concordato (così magari ottengono un 30-40% pagato su quelle forniture, piuttosto che riprendersi merce magari invendibile in altra catena).
  • Fedeltà della clientela e marchio: Nel commercio al dettaglio il marchio e la clientela fidelizzata sono asset intangibili di valore. Un caso di successo è quando un’azienda in concordato riesce a mantenere la fiducia dei clienti (ad es. con comunicazioni rassicuranti: “continuiamo ad operare, i vostri ordini saranno evasi regolarmente”), evitando cali di vendite peggiorativi. Il peggior scenario per un retail è che, saputo del concordato, i clienti smettano di comprare per timore di assistenza futura o garanzie. Ad esempio, se un rivenditore di elettronica è in concordato, un cliente potrebbe temere: “se poi fallisce, la garanzia del prodotto?”. In realtà la garanzia è del produttore solitamente, ma il timore c’è. Quindi la comunicazione è cruciale. Alcune aziende offrono garanzie aggiuntive (in concordato, fanno convenzione con un’assicurazione per garantire ai clienti assistenza in ogni caso). Tutto per non far crollare la base clienti.
  • Procedure minori e sovraindebitamento: Molte imprese commerciali sono piccole ditte individuali (es. negozianti) che rientrano nel sovraindebitamento. Quindi più che concordato preventivo useranno il concordato minore o la liquidazione controllata. Ad esempio, il proprietario di un piccolo negozio indebitato perché vendite dimezzate può chiudere e liquidare i beni con liquidazione controllata, ottenendo l’esdebitazione come persona fisica. O se ha prospettiva di salvare l’attività riducendo affitto e debiti, può fare un piano del consumatore/imprenditore. In casi micro, l’aspetto emotivo-relazionale con la comunità conta: alcuni preferiscono trovare un accordo informale con fornitori vicini (che magari sono conoscenti) e evitare la “vergogna” di una procedura pubblica. Il CCII su questo è neutro, ma la realtà socio-economica incide: nei piccoli centri, si percepisce il fallimento come un disonore, ciò porta qualcuno a evitare di dichiararlo e magari a sacrificare patrimonio personale pur di pagare i creditori integralmente (spesso tardivamente e con danno a sé). Le campagne informative sulla nuova legge puntano anche a ridurre questo stigma, presentando il concordato o la composizione negoziata come strumenti “normali” di gestione aziendale, non come marchio di infamia.

In sintesi, nel settore commercio i piani di crisi spesso ruotano attorno a riduzione dei costi fissi (chiusura punti vendita, rescissione affitti onerosi, taglio personale) e monetizzazione rapida degli stock. Se c’è un brand forte, si cerca un investitore che rilevi la catena (questo è avvenuto con brand di moda in concordato acquistati da fondi). La continuità è possibile se i negozi residui sono profittevoli e c’è accordo con fornitori per rifornirli (in concordato si può pagare alla consegna per i nuovi ordini, con autorizzazione del tribunale a far credito di massa). Oppure la soluzione può essere liquidatoria: vendere tutte le merci, chiudere e distribuire il ricavato ai creditori (spesso magro). La norma del concordato liquidatorio con 20% minimo si applica anche qui: se vendendo tutto il magazzino e i beni non arrivo a dare 20%, devo trovare un apporto esterno per offrire quel minimo.

Startup e Imprese Innovative

Le startup innovative (termine che in Italia indica solitamente società di recente costituzione, spesso in settori tecnologici, registrate in apposito albo) hanno dinamiche peculiari:

  • Capitale di rischio vs. debito: Le startup in fase iniziale tipicamente si finanziano con capitale proprio o di venture capital, e poco debito bancario. Possono però avere forme di debito convertendo (convertible notes) o altri finanziamenti soci. Quando falliscono, spesso non hanno molti creditori tradizionali (fornitori/piccole fatture) e i soci/investitori sopportano la perdita. Dunque, per molte startup, la via di uscita dalla crisi è semplicemente la liquidazione volontaria: se non decollano, i soci chiudono baracca, perdono il capitale investito e pagano i pochi debiti residui se possibile. Non di rado si preferisce questa via informale rispetto ad aprire un fallimento (che costerebbe di più di quanto i creditori possano ricavare). C’è una soglia di non fallibilità ancora per le imprese sotto 500k debiti, quindi molte startup non sarebbero neanche soggette a liquidazione giudiziale.
  • Procedure di sovraindebitamento per startupper: Se una startup fallisce e ha fatto debiti personali (es. il fondatore ha messo fideiussioni, o ha ricevuto prestiti personali per finanziare la startup), potrebbe usare il piano del consumatore per risolvere la sua situazione. Questo è un tema: incentivare il second chance dell’imprenditore innovativo. L’UE e l’Italia spingono per dare rapidamente esdebitazione a chi fallisce in buona fede, così da poter ricominciare. Il CCII prevede l’esdebitazione immediata del fallito persona fisica se meritevole, e per i piccoli c’è la esdebitazione del sovraindebitato incapiente (anche senza pagare nulla, se proprio nullatenente). Ciò è calibrato proprio su figure come startupper che investono in un venture, va male, restano pieni di debiti personali (magari per un leasing di apparecchiature intestato a loro come garanti). In 3 anni possono pulire la posizione.
  • Valorizzazione di IP e talenti: Una startup può però avere asset intangibili (brevetti, software sviluppato, un team di ingegneri affiatato). Se fallisce, quei brevetti o codici possono essere venduti. Capita che grandi aziende attendano che una startup cada per comprarne i resti a poco prezzo (acquihire, acquisition per hire, per prendere i suoi ingegneri e tecnologie). Un concordato magari potrebbe portare un miglior esito vendendo prima che fallisca. Ma spesso i tempi sono stretti e gli investitori preferiscono un deal privato (pre-pack): prima di portarla in tribunale, tentano la cessione. Se riescono, evitano la procedura concorsuale. Se no, la portano in liquidazione. Quindi raramente si vedono startup in concordato, più facile che evaporino prima.
  • Accesso alle procedure semplificato: Una specificità: le “startup innovative” per legge godono di alcune esenzioni (es. niente imposta di bollo per atti, iscrizione facile al Registro). In passato era persino previsto che non fossero soggette a procedure concorsuali per un certo periodo (norma poi rimossa). Attualmente, il regime speciale incide poco sulla crisi, se non per un aspetto: l’OCC e i mentor. Ci sono programmi di incubazione che assistono startup anche in difficoltà. Non esiste formalmente un “OCC per startup”, ma di fatto incubatori e associazioni di investitori fungono da facilitatori nella chiusura o nel pivot. Spesso quando una startup esaurisce la cassa, si cerca di pivotare (cambiare modello di business) se c’è ancora un nucleo valido. Se invece è destinata a terminare, la chiusura avviene veloce per non prolungare l’agonia e bruciare altri soldi. Gli strumenti concorsuali formali (concordato etc.) raramente trovano uso, salvo casi di startup cresciute con molti debiti (ad es. startup che hanno accumulato debiti commerciali credendo di poterli ripagare con round di finanziamento poi non ottenuti).
  • Meritevolezza e insolvenza non fraudolenta: Le startup di solito non fanno mala gestio o frodi, semplicemente non trovano mercato. Ciò le rende candidate ottime per la esdebitazione integrale senza colpa. In questo senso, la normativa sul sovraindebitamento e sull’esdebitazione mira a incoraggiare l’imprenditore onesto e sfortunato. Potremmo dire che oggi, se un fondatore dopo il fallimento chiede l’esdebitazione, gliela danno quasi sempre (a meno di reati). Questo “fresh start” è voluto per la cultura startup: fallire una volta non deve precludere di ritentare (contrariamente allo stigma tradizionale italiano verso il fallito).

In conclusione, per le startup il messaggio chiave è: procedura concorsuale come eccezione, preferendo soluzioni di mercato (acquisizioni, chiusure volontarie) e, se debiti residui, sfruttare le procedure di sovraindebitamento/esdebitazione per pulire la posizione del fondatore. Il CCII comunque copre l’eventualità che una startup diventi un’impresa “normale” con debiti rilevanti: allora verranno applicati gli strumenti generali (allerta, CNC, etc.). Un esempio potrebbe essere una startup che ottiene finanziamenti bancari ingenti garantiti dal Fondo PMI: se non li restituisce, quel debito pubblico la rende soggetta a segnalazione e potenziale concordato minore. Sono casi possibili nel contesto del fintech o del greentech dove i capitali in gioco crescono rapidamente.

Tabella riepilogativa: Di seguito proponiamo due tabelle di confronto: la prima sintetizza le caratteristiche salienti dei principali strumenti di regolazione della crisi, la seconda ne evidenzia vantaggi e svantaggi generali.

Confronto tra Procedure e Strumenti di Crisi d’Impresa

Tabella 1 – Caratteristiche Principali delle Procedure di Regolazione della Crisi

Strumento Chi può attivarlo Condizioni di accesso Ruolo del Tribunale Effetti sui creditori
Allerta interna & Adeguati assetti Automatico (obbligo per amministratori) Segnali di crisi rilevati (squilibri, indici). Volontaria segnalazione a CNC se crisi probabile Nessun procedimento giudiziale attivato Nessun effetto diretto: creditori restano liberi. Obbligo di segnalazione da creditori pubblici qualificati.
Composizione Negoziata (CNC) Debitore (volontaria) Stato di crisi o insolvenza probabile ma risanabilità attesa. Domanda tramite piattaforma CCIAA Non è procedura giudiziale; Tribunale interviene solo per misure protettive e nuova finanza Creditori non vincolati se non aderiscono ad accordi. Azioni esecutive sospese se misure protettive concesse. Nessun pagamento coatto imposto.
Piano Attestato di Risanamento Debitore (accordi privati) Crisi reversibile; piano fattibile attestato da esperto indipendente. Deve evitare insolvenza Nessuna omologazione richiesta (atto privato) Solo creditori aderenti sono vincolati (accordi individuali). Estranei vanno pagati integralmente nei termini concordati, altrimenti possono agire. Atti esecutivi del piano esenti da revocatoria.
Accordo di Ristrutturazione (60%) Debitore (richiede consenso creditori ≥60%) Stato di crisi o insolvenza (no fallimento aperto). Adesione ≥60% debiti; attestazione indipendente su veridicità dati e pagamento integrale estranei entro 120gg Omologazione da Tribunale (udienza). Controllo su completezza documenti e convenienza Fisco. Possibili misure protettive con decreto Vincola i creditori aderenti come un contratto. Creditori non aderenti: devono essere pagati al 100% entro 120 giorni; se Fisco non aderisce, possibile cram-down fiscale in omologa. Esenzione da revocatoria e da alcuni reati.
Accordo di Ristrutturazione agevolato (30%) Debitore (volontario) Come sopra, in più: niente moratoria per estranei e nessuna richiesta misure protettive. Quorum ridotto al 30% crediti. Omologa da Tribunale (come ADR normale). Verifica rinuncia a stay ecc. Come ADR ordinario, ma debitori estranei pagati senza ritardo (nessuna moratoria). Nessuna sospensione automatica azioni (no protezione pre-omologa).
Accordo ad efficacia estesa Debitore (consenso settoriale) Accordo non liquidatorio con continuità aziendale; informazione completa a tutti creditori della categoria; adesione ≥75% crediti di quella categoria; soddisfazione dissenzienti ≥ scenario liquidazione. Omologa da Tribunale. Giudice estende effetti accordo ai non aderenti di quella categoria con decreto. Creditori non aderenti della categoria specifica: sono vincolati alle stesse condizioni dei aderenti (dilazioni/moratorie), purché non sia imposta rinuncia al credito. Fuori categoria o altri estranei: come ADR normale (pagamento integrale se non aderenti).
Concordato Preventivo in continuità Debitore (società o impresa sovra-soglia) Stato di crisi o insolvenza. Piano con continuità diretta/indiretta, attestazione esperto su fattibilità e migliori interessi creditori. Classi di creditori obbligatorie. Se liquidatorio, requisiti extra (20% + apporto 10%). Tribunale ammette procedura (verifica requisiti); nomina Commissario. Voto dei creditori per classi (maggioranza crediti in ogni classe). Omologazione con possibile cram-down classi dissenzienti (RPR). Tutti i creditori anteriori sono vincolati dall’omologazione (dissentienti inclusi). Pagamenti secondo piano: chirografari soddisfatti in % piano (no soglia minima se continuità). Privilegiati: integri su valore garanzia, eccedenza degradata. Creditori pubblici dissenzienti: cram-down possibile se condizioni. Contratti pendenti proseguono (niente risoluzione per insolvenza).
Concordato Preventivo liquidatorio Debitore Stato insolvenza. Liquidazione di attivo senza continuità. Obbligo: apporto esterno ≥10% e dividendo chirografari ≥20%. Piano deve offrire ≥ scenario fallimento. Tribunale valuta ammissibilità più stringente (20% test); Commissario; voto creditori (maggioranza assoluta crediti). Omologa: no cram-down interclassi ammesso (tutte classi devono approvare). Tutti i creditori vincolati dal decreto di omologa. Chirografari ricevono almeno 20% (se piano non raggiunge, giudice non omologa). Privilegiati pagati per ordine cause prelazione con realizzo vendite. Se Fisco vota no ma proposta conveniente, omologa lo stesso (cram-down). Dopo omologa, azienda liquidata e società estinta.
Concordato Semplificato (post-CNC) Debitore (solo se CNC fallita) Esperto CNC dichiara esito negativo; debitore insolvente. Proposta di concordato liquidatorio senza voto creditori (entro 60 gg da relazione finale CNC). Tribunale valuta proposta e piano come per concordato (requisiti di legge 20%). Nomina commissario giudiziale; creditori e commissario possono fare osservazioni. Omologa senza voto (decreto). Creditori vincolati da omologa, senza aver votato. Di regola soluzione liquidatoria: creditori soddisfatti almeno pari a fallimento e ≥20%. Nessuna possibilità di proporre concorrenti. Procedura rapida (no adunanza).

Fonti: artt. 56-63, 84-88, 112-114 CCII; D.L. 118/2021 conv. L.147/2021; Relazione illustrativa CCII; riferimenti dottrinali vari【16†L383-L391】】

Tabella 2 – Principali Vantaggi e Svantaggi dei Diversi Strumenti

Strumento Vantaggi Svantaggi / Rischi
Composizione Negoziata Confidenzialità iniziale; flessibilità soluzioni; temporanea protezione da azioni esecutive; coinvolgimento attivo di esperto indipendente; incentivi (sospensione obblighi capitalizzazione, divieto banche revoca fidi). Permette test sul mercato pre-concorsuale. Non vincola i creditori dissenzienti (esito non garantito); richiede collaborazione creditori chiave; costi di consulenza; se negoziazione fallisce, possibile aggravio esposizione. Pubblicità interviene se si chiedono misure protettive (rischio reputazione).
Piano Attestato Totalmente stragiudiziale (minore impatto reputazionale); tempi rapidi e negoziabili liberamente; costo contenuto (no spese procedura); esenzione da revocatoria per atti esecuzione; mantiene controllo all’imprenditore. Fiscalmente efficiente (stralci non tassati). Non offre stay legale (nessun blocco azioni creditorie); serve consenso di tutti i principali creditori (nessuna imposizione ai dissenzienti); successso dipende da fiducia creditori; eventuale attivo ceduto rimane aggredibile da estranei se piano fallisce. Nessun decreto di omologa = minor certezza giuridica (accordi solo contrattuali).
Accordi Ristrutturazione (60%/30%) Procedura relativamente veloce e riservata (solo fase omologa pubblica); vincolante per creditori aderenti con omologa; consente cram-down fiscale; moratoria 120gg su estranei evita esecuzioni immediate; flessibilità nel disegnare classi di adesioni (si possono escludere creditori pagati interamente); esenzioni penali e revocatorie. Meno costoso del concordato e meno invasivo (niente commissario). Soglia consenso elevata (non sempre raggiungibile); creditori estranei vanno pagati per intero → richiede liquidità immediata significativa; se bisogno di misure protettive, no riduzione quorum (60% fisso, a meno di rinuncia stay); transazione fiscale necessaria se debiti tributari alti (procedura aggiuntiva). Nessun effetto su creditori non aderenti salvo sospensione breve. In caso di opposizioni, possibile incertezza in omologa.
Accordo ad efficacia estesa Permette di superare veto minoranze in categorie omogenee (es. banche); preserva continuità aziendale imponendo moratoria anche ai dissenzienti (evita azioni individuali disgregative); condizioni rigorose = tutela equità per dissenzienti (minimo pari al fallimento). Rafforza potere negoziale del debitore verso categorie frammentate. Applicabile solo se continuità e solo per creditori di natura simile; requisito 75% elevato di per sé (richiede già ampio consenso nella categoria); creditori fuori categoria non coinvolti; procedura di omologa può complicarsi per verifiche aggiuntive (notifiche a dissenzienti, attestazioni specifiche). Possibile rischio di ricorsi dei dissenzienti (se contestano criteri di omogeneità o convenienza).
Concordato in Continuità Strumento più completo: stay automatico delle azioni (appena chiesto se prenotativo); possibile continuare attività sotto protezione giudice; classe di creditori consente soluzioni differenziate; cram-down interclassi (RPR) permette omologa anche con opposizioni; taglio del debito coercitivo per chirografari e subordinati; transazione fiscale integrata con cram-down; contratti pendenti tutelati (niente risoluzioni); nuova finanza garantita prededucibile. Favorito per salvare azienda e occupazione. Procedura pubblica e lunga (mesi/anni); costi alti (spese procedure, compensi commissario e attester); perdita di autonomia gestionale (controllo del commissario, atti straordinari autorizzati dal GD); esiti incerti (serve voto maggioranza crediti; rischio di piani concorrenti se legge li prevede – attualmente solo liquidazione giudiziale ne contempla); se fallisce, porta quasi certo a fallimento. Inoltre, requisiti stringenti per ammissione se liquidatorio (20%); possibili tensioni con creditori privilegiati (devono aderire a eventuali stralci su parti unsecured o si rischia inammissibilità).
Concordato Liquidatorio Permette chiusura ordinata evitando istantanea liquidazione giudiziale; debitore può gestire vendite sotto supervisione, spesso ottenendo valori migliori di aste fallimentari; tempi più rapidi di fallimento per definire partita (creditori votano un piano definito). Dividendi ai chirografi potenzialmente superiori a fallimento grazie ad apporto di terzi (obbligatorio ≥10%). Liberazione definitiva impresa da debiti una volta eseguito (azienda di regola chiude comunque). Dividendo minimo 20% chirografi obbligatorio: se non reperibile, piano non ammissibile; richiede contributi esterni, altrimenti fallimento preferibile per creditori; l’azienda cessa attività (perdita occupazione e avviamento); creditori privilegiati devono essere pagati integrali salvo degradazione per incapienza (non flessibile come concordato in continuità su questo); procedura complessa simile a fallimento ma con aggravio di dover predisporre e far approvare un piano. Se non approvato dai creditori o non omologato, si va comunque in fallimento con tempo perso.
Liquidazione Giudiziale (Fallimento) Procedura standard per chiusura impresa insolvente: amministrata da curatore esperto; parità trattamento creditori (par condicio) garantita; possibilità di azioni revocatorie e responsabilità per aumentare attivo; esdebitazione finale per imprenditore onesto. Procedura nota, con prassi consolidate. Liquidazione atomistica dei beni (rischio minor realizzo rispetto a continuità); tempi lunghi spesso per incassare e ripartire (anni); costi procedurali elevati relativi (che erodono attivo); gestione meno flessibile (regole rigide su graduazioni crediti); stigmatizzazione reputazionale tradizionale. Creditori chirografari di solito recuperano molto poco (dipende da attivo). Impresa perde soggettività (spossessamento totale) e di fatto muore.

Nota: I vantaggi/svantaggi sopra indicati sono generali; casi specifici possono presentare eccezioni. Ad esempio, un concordato in continuità mal gestito può risultare più costoso e meno efficiente di una pronta liquidazione, così come un accordo stragiudiziale può fallire se il debitore non è trasparente. La scelta dello strumento va calibrata sulle circostanze concrete dell’impresa e della crisi in questione.

FAQ – Domande Frequenti sulla Crisi d’Impresa e Ristrutturazione del Debito

Di seguito una serie di domande comuni, con relative risposte, che imprenditori e operatori si pongono nell’affrontare situazioni di crisi aziendale.

  • D: Quando dovrei iniziare a preoccuparmi della crisi della mia impresa?
    R: Subito, ai primi segnali di difficoltà. La normativa attuale impone all’imprenditore di attivarsi tempestivamente non appena emergono indizi di crisi (indici di bilancio negativi, tensioni di liquidità, ritardi nei pagamenti di fornitori, stipendi o imposte). Non bisogna aspettare l’insolvenza conclamata. Prima si interviene (ad esempio rinegoziando debiti, cercando nuova finanza, attivando la Composizione Negoziata), maggiori sono le chance di risanare l’azienda. Ignorare i segnali d’allarme può aggravare il dissesto e, per gli amministratori, comportare responsabilità verso i creditori (per aver colpevolmente ritardato il ricorso a procedure concorsuali).
  • D: Qual è la differenza tra un piano di risanamento “attestato” e un concordato preventivo?
    R: Il piano attestato di risanamento è un accordo privato e volontario con alcuni creditori, basato su un piano industriale asseverato da un esperto indipendente, senza intervento del tribunale. Resta efficace solo fra chi vi aderisce e non coinvolge i dissenzienti (che vanno pagati normalmente). È confidenziale e flessibile, ma non offre tutele “coercitive” (nessun blocco per chi volesse agire esecutivamente) e non consente di imporre sacrifici ai creditori non consenzienti. Il concordato preventivo, invece, è una procedura giudiziale in cui il piano viene sottoposto al voto di tutti i creditori e omologato dal Tribunale: se approvato, diventa vincolante erga omnes, anche per eventuali creditori che hanno votato contro. Il concordato permette quindi di imporre stralci e dilazioni anche ai dissenzienti, ed offre protezione legale (automatic stay dai creditori appena si deposita ricorso e viene concesso dal giudice), ma è più complesso, costoso e pubblico rispetto al piano attestato. In sintesi: piano attestato = accordo stragiudiziale consenziente, concordato = procedura concorsuale con effetti obbligatori generalizzati.
  • D: I debiti fiscali possono essere ridotti? Il Fisco partecipa ai piani?
    R: Sì, i debiti verso l’Erario e gli enti previdenziali possono essere inclusi nei piani di ristrutturazione mediante la cosiddetta transazione fiscale e contributiva. In un concordato preventivo o in un accordo di ristrutturazione dei debiti, il debitore può proporre di pagare solo una parte delle imposte/contributi dovuti (e/o di dilazionarli) e l’Agenzia delle Entrate e l’INPS possono aderire formalmente alla proposta se risulta più conveniente di un fallimento. Ad esempio, l’azienda offre di pagare il 40% del debito fiscale in 5 anni al posto del 5% stimato in caso di liquidazione: il Fisco, valutate le carte, di solito accetta. Se il Fisco rifiuta senza motivo ma la proposta era oggettivamente vantaggiosa, il Tribunale può omologare ugualmente il piano (cram-down fiscale) nonostante il diniego. Questo vale sia nel concordato che negli accordi di ristrutturazione. Attenzione: la riduzione può riguardare anche IVA e ritenute (una volta intoccabili, ora falcidiabili dal 2020), e in genere comporta sempre lo stralcio integrale di sanzioni e interessi. Bisogna però seguire la procedura: serve un’attestazione di un esperto che certifichi che la proposta al Fisco è conveniente rispetto alla liquidazione e attendere la risposta formale dell’ente. In Composizione Negoziata, il terzo correttivo 2024 consente addirittura di stipulare accordi transattivi col Fisco durante le trattative. Dunque sì, il Fisco partecipa ai piani, ma con regole e tempi propri, e la riduzione non è “libera”: va motivata da uno scenario migliorativo per l’Erario rispetto all’incasso in caso di fallimento.
  • D: La procedura di concordato preventivo implica la perdita della mia azienda? Devo lasciare la gestione?
    R: Non necessariamente. Nel concordato preventivo il debitore di regola mantiene l’amministrazione dell’azienda (debtor in possession), sotto la supervisione di un Commissario Giudiziale nominato dal Tribunale. L’imprenditore continua quindi a gestire l’attività, anche se gli atti di straordinaria amministrazione devono essere autorizzati e c’è un controllo costante. Solo in casi eccezionali il Tribunale può togliere la gestione al debitore (nomina di un amministratore giudiziario) – di solito quando vi è abuso o mala gestio durante la procedura. Certo, il concordato è invasivo: molte decisioni dovranno essere concertate col Commissario e col Giudice Delegato, e alla fine l’azienda è vincolata a eseguire il piano approvato. Ma non è come il fallimento, dove il debitore perde subito ogni potere sui beni. Nel concordato in continuità aziendale, anzi, la presenza dell’imprenditore è preziosa per portare avanti l’attività: l’obiettivo è salvarla insieme alla sua leadership (se ritenuta valida). In un concordato liquidatorio, invece, spesso l’imprenditore accetta di farsi da parte: il piano prevede la vendita dell’azienda o la sua liquidazione e l’imprenditore semplicemente collabora finché serve. In sintesi, nel concordato preventivo l’imprenditore non deve necessariamente “cedere l’azienda” – può anzi restarne alla guida durante e dopo la procedura, se il piano lo consente. Ovvio, se il piano prevede la vendita dell’azienda ad un terzo, allora sì, l’imprenditore ne perderà la proprietà. Ma è una scelta strategica del piano, non un effetto obbligato del concordato.
  • D: Come scelgo tra un accordo di ristrutturazione dei debiti e un concordato preventivo?
    R: La scelta dipende dal grado di consenso che pensi di ottenere dai creditori e dalla necessità di vincolare eventuali dissenzienti. Un accordo di ristrutturazione (ADR) è indicato se: hai pochi creditori principali, ragionevolmente d’accordo sul piano, e disponi di risorse per pagare integralmente gli altri creditori estranei (o comunque questi sono di importo limitato). Vantaggi: meno pubblicità, tempi più rapidi, costi inferiori e maggiore controllo. Tuttavia, ricorda che serve almeno il 60% (o 30% se agevolato) di adesioni e che i creditori non aderenti devono essere soddisfatti per intero entro 120 giorni – quindi l’ADR funziona bene se i dissenzienti sono pochi o trascurabili. Se invece prevedi che una parte significativa di creditori non sarà d’accordo con il piano, o non hai liquidità per pagarli integralmente a breve, allora l’ADR rischia di fallire. In tal caso è preferibile un concordato preventivo, che con il meccanismo del voto e dell’omologa consente di imporre il piano anche ai dissenzienti (purché la maggioranza lo approvi e il piano rispetti i criteri di legge). Il concordato è inoltre preferibile se devi ristrutturare anche i debiti privilegiati (es. ridurre importo a banche ipotecarie, falcidiare crediti erariali privilegiati): nell’ADR non puoi modificare il trattamento dei creditori privilegiati senza il loro consenso individuale, mentre nel concordato puoi degradare la parte non coperta da garanzia e pagare solo quella coperta dal valore del bene. Riassumendo: ADR se hai un consenso largo e vuoi più snellezza; concordato se devi forzare la mano a una parte dei creditori o gestire situazioni più complesse di classi e privilegi. Talora si inizia con un tentativo di accordo stragiudiziale o ADR: se non va, si ripiega sul concordato (magari già preparato come riserva).
  • D: Cosa succede ai contratti in corso (affitti, forniture, leasing) se avvio una procedura concorsuale? I partner possono cancellarli?
    R: Dipende dal tipo di procedura. Nella Composizione Negoziata, l’apertura della trattativa di per sé non incide sui contratti (è riservata); però se chiedi misure protettive al tribunale, queste impediscono ai contraenti di risolvere i contratti in essere per crediti pregressi (ad esempio il locatore non può sfrattarti per canoni arretrati durante la protezione). Inoltre dal 2024 è vietato alle banche revocare fidi solo perché accedi alla CNC. Nel concordato preventivo, la legge stabilisce che i creditori non possono rifiutarsi di adempiere ai contratti pendenti né scioglierli per il solo fatto che hai presentato la domanda di concordato (o sei in concordato). Quindi, ad es., un fornitore non può cancellare un contratto di fornitura continuativa invocando una clausola risolutiva legata all’insolvenza (le cosiddette ipso facto clauses sono nulle). Idem il locatore non può risolvere il contratto di affitto solo perché entri in concordato. Questi contratti possono essere sospesi o sciolti solo su autorizzazione del tribunale, se utile alla procedura (e l’eventuale danno al contraente viene indennizzato in prededuzione o come credito concorsuale). In pratica, il concordato offre un quadro di stabilità contrattuale: i partner contrattuali devono continuare a rispettare i patti. Discorso analogo per l’amministrazione straordinaria (per grandi imprese): legge speciale consente prosecuzione contratti di fornitura essenziali. In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), invece, il curatore ha facoltà di subentrare o sciogliere i contratti pendenti (art. 172 L.F. e corrispondenti CCII): molti contratti vengono sciolti perché l’impresa cessa l’attività (es. leasing, locazioni, forniture non più utili). Il contraente avrà solo diritto al risarcimento danni come creditore concorsuale. Quindi è nettamente meglio, se vuoi proseguire l’attività, farlo in concordato dove la regola è continuare i contratti, non in fallimento dove la regola è scioglierli. In sintesi: le procedure protettive (CNC, concordato) evitano che i partner risolvano unilateralmente i contratti per la crisi finanziaria, mentre la liquidazione fallimentare di solito li interrompe, a meno che il curatore li mantenga per esigenze della procedura.
  • D: Posso essere personalmente ritenuto responsabile dei debiti della mia società se questa fallisce o va in concordato?
    R: In linea generale, se la tua società ha personalità giuridica (es. SRL, SPA) tu come socio non sei responsabile con il tuo patrimonio personale dei debiti sociali. La procedura concorsuale riguarda solo la società: i creditori soddisferanno le loro pretese sul patrimonio sociale e poi, eventualmente, non avranno altro (a meno che tu avessi prestato garanzie personali, come fideiussioni: in tal caso il concordato o fallimento della società non libera automaticamente il fideiussore, che resta obbligato). Ci sono però dei casi in cui gli amministratori o i soci possono dover rispondere: ad esempio, se hai distratto beni, aggravato dolosamente il dissesto o violato obblighi legali (pagando preferenzialmente taluni creditori, falsificando bilanci, ecc.), il curatore o commissario potrebbe promuovere un’azione di responsabilità e chiedere danni a te. Oppure, i creditori sociali possono agire contro gli amministratori se questi non hanno preservato il patrimonio sociale (azione ex art. 2394 c.c.). Inoltre, se la crisi è stata mal gestita (ritardando il doveroso ricorso a procedure, causando perdita ulteriore ai creditori), l’amministratore potrebbe essere accusato di “illecita prosecuzione dell’attività” e tenuto a risarcire il maggior danno. Questi profili vengono valutati caso per caso nelle procedure: spesso il curatore verifica se ci sono estremi di colpa grave o dolo. In assenza di condotte scorrette, l’apertura di un fallimento o concordato di per sé non fa scattare responsabilità personale: anzi, se l’imprenditore ha agito tempestivamente e in buona fede, la legge favorisce la sua esdebitazione e non punisce l’insuccesso. Diverso è se sei un imprenditore individuale: in tal caso non c’è distinzione patrimoniale, quindi rispondi con tutto il tuo patrimonio dei debiti d’impresa e se fallisci, fallisci anche personalmente. Tuttavia, al termine della liquidazione puoi ottenere la esdebitazione e ripartire pulito. Riassumendo: con società di capitali, normalmente no responsabilità personale per i debiti (salvo garanzie o malversazioni); con ditte individuali sì, ma c’è la liberazione finale. Naturalmente, in concordato preventivo non c’è neanche il concetto di “fallito”, quindi l’imprenditore (anche individuale) che completa un concordato esce dall’impresa senza debiti residui e senza marchi d’infamia, e non subisce interdizioni personali (mentre il fallito subisce temporanee interdizioni dai pubblici uffici, poi cancellate con l’esdebitazione).
  • D: Se la mia azienda è piccola (sotto soglia fallimento), ho a disposizione strumenti per risolvere la crisi?
    R: Sì, anche le micro-imprese e in generale i debitori non fallibili (definiti “imprese minori”) hanno strumenti dedicati nel Codice della Crisi. In particolare:
    – Possono utilizzare la Composizione Negoziata esattamente come le grandi imprese (e sono anzi incoraggiate a farlo, anche avvalendosi delle Commissioni regionali e degli esperti iscritti).
    – Possono accedere al concordato minore, una variante semplificata del concordato preventivo pensata per debiti di modesta entità. Nel concordato minore non c’è voto dei creditori: decidere sull’omologazione spetta al giudice, dopo aver sentito i creditori e verificato che ricevano almeno quello che otterrebbero altrimenti. Il concordato minore richiede comunque di assicurare un’utilità ≥20% ai chirografari (salvo casi particolari) e può prevedere sia continuità che liquidazione.
    – In alternativa, se la situazione è compromessa, possono ricorrere alla liquidazione controllata (ex liquidazione del sovraindebitato), che è l’equivalente del fallimento per i non fallibili, amministrata da un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) invece che dal tribunale. Al termine, l’imprenditore individuale ottiene l’esdebitazione.
    – Esiste anche uno strumento di “ristrutturazione dei debiti del consumatore o dell’imprenditore minore” (ex piano del consumatore esteso ai piccoli imprenditori) che consente di omologare un piano senza voto creditori, purché sia meritevole e i creditori ottengano almeno quanto otterrebbero nella liquidazione.
    In pratica, grazie alla riforma, nessuno è troppo piccolo per essere aiutato: il vecchio concetto di “non fallibilità” (attivo < €300k ecc.) non significa più “ti arrangi”, ma “ti diamo procedure su misura a costo ridotto”. Gli OCC (che tipicamente operano presso gli ordini dei commercialisti o avvocati) sono un supporto accessibile per queste micro realtà. Quindi, anche se la tua impresa è sotto soglia di fallibilità, puoi rivolgersi a un OCC per presentare un piano di concordato minore o una ristrutturazione del debito. Se il debito è proprio impagabile, farai la liquidazione controllata e dopo 3 anni sarai esdebitato (anche subito se sei nullatenente meritevole). L’importante è non ignorare la crisi pensando “tanto sono troppo piccolo per fallire”: vero, non fallisci in tribunale, ma i creditori potranno sempre aggredirti (anche personalmente) finché non usi gli strumenti giusti per chiudere la vicenda.
  • D: La crisi di un’impresa può avere conseguenze penali per l’imprenditore?
    R: La crisi in sé (cioè il fatto di diventare insolvente) non è un reato. Tuttavia, certe condotte tenute durante la gestione dell’impresa poi fallita possono configurare reati fallimentari o societari. Ad esempio: la bancarotta fraudolenta (distrazione di beni, sottrazione o falsificazione di libri contabili), la bancarotta preferenziale (pagamenti preferenziali fatti a ridosso del fallimento) o la bancarotta semplice (imprudenza grave nella gestione, come aver aggravato dolosamente il dissesto). Questi reati si materializzano in caso di dichiarazione di liquidazione giudiziale (fallimento): sarà il curatore e il tribunale a segnalarli e il PM eventualmente a procedere. In un concordato preventivo, invece, non si parla tecnicamente di “reati fallimentari” perché non c’è fallimento; restano però possibili reati societari generici (false comunicazioni sociali, ecc.) se vi sono state false rappresentazioni. Il CCII ha previsto che l’omologazione di un concordato o ADR esenta comunque gli amministratori dai reati di bancarotta preferenziale e semplice relativamente agli atti esecutivi del piano. Ciò significa: se segui le regole della ristrutturazione, non verrai accusato di aver pagato alcuni creditori preferendo altri, né di aver aggravato la crisi – perché l’hai gestita entro gli strumenti legali. In sintesi, se hai agito con trasparenza e correttezza, anche se la tua impresa finisce in default, difficilmente avrai conseguenze penali. Viceversa, se hai distratto beni, frodato i creditori o falsificato i bilanci, allora sì, potresti essere perseguito penalmente. Un consiglio: durante la crisi, evita operazioni opache o per favorire persone vicine a te, perché in seguito verranno a galla e potrebbero integrare reato. Meglio operare sotto consiglio di professionisti e in modo tracciabile. Ricorda anche che molti reati fallimentari scattano solo con il fallimento giudiziale: se riesci a risolvere con un concordato, non si configurerà la “bancarotta” (che è un reato proprio del fallito). Quindi usare gli strumenti di composizione della crisi non solo non è penalmente rischioso, ma anzi ti protegge da certe incriminazioni, purché tu li usi lealmente.
  • D: Cos’è la “esdebitazione” e come funziona?
    R: L’esdebitazione è l’istituto che permette all’imprenditore individuale (o al socio illimitatamente responsabile di società fallita) di ottenere la liberazione dai debiti residui non pagati alla fine della procedura concorsuale. In pratica, chi è fallito, dopo la chiusura del fallimento può chiedere al Tribunale di essere “discharged” dai debiti rimasti insoddisfatti, così che i creditori non possano più pretenderli. È un concetto introdotto per dare una seconda chance all’imprenditore onesto sfortunato. I requisiti: aver cooperato nella procedura, non aver commesso reati fallimentari, non aver beneficiato di altra esdebitazione nei 10 anni precedenti, etc. Con il CCII l’esdebitazione è pressoché automatica per il fallito persona fisica meritevole (si parla di esdebitazione “di diritto” dopo 3 anni dalla chiusura). Anche i sovraindebitati (non soggetti fallibili) hanno analogo istituto: se incapienti, possono ottenere la cancellazione dei debiti immediatamente o dopo un breve periodo di “buona condotta”. Quindi, l’esdebitazione è quel che “cancella” i debiti restanti e permette alla persona di ripartire senza ipoteche sul futuro. Attenzione: l’esdebitazione non riguarda le società – le società, finita la liquidazione, si estinguono e basta, non c’è bisogno di esdebitazione perché cessano di esistere. Riguarda invece le persone fisiche (imprenditori individuali o soci di SNC/SAS falliti). E non copre alcuni tipi di debiti specifici, ad esempio le obbligazioni da risarcimento di danni per fatto illecito extra-contrattuale o debiti alimentari, che restano (ma sono eccezioni). In definitiva, l’esdebitazione è la meta a cui ambisce chiunque fallisca: “pulire” la propria posizione. E oggi è relativamente facile ottenerla per chi non ha frodato i creditori. Dunque, se sei costretto a chiudere un’attività debitrice, sappi che dopo la liquidazione concorsuale puoi aspirare a tornare un cittadino economicamente attivo senza strascichi, grazie all’esdebitazione.

Simulazioni Pratiche di Crisi e Soluzioni

Presentiamo ora alcune simulazioni ipotetiche, casi pratici ispirati a situazioni reali, per illustrare come gli strumenti descritti possano essere applicati e con quali effetti. Ogni caso evidenzia il tipo di impresa, la natura della crisi e il percorso di risanamento o liquidazione adottato.

Caso 1: PMI manifatturiera in crisi finanziaria – Ristrutturazione tramite Accordo e Concordato

Scenario: Alfa S.r.l. è una PMI metalmeccanica (50 dipendenti) che produce componenti per autoveicoli. Negli ultimi 2 anni ha subito un calo di fatturato e accumulato debiti: €2 milioni verso banche (scoperti e mutui), €800k verso fornitori, €300k di debiti fiscali e contributivi non pagati. Il patrimonio include un capannone (valore €1M con ipoteca banca) e macchinari (valore €500k liberi). I segnali di crisi ci sono: ritardi oltre 90 giorni con fornitori per €400k, esposizioni bancarie sconfinanti da 60+ giorni; l’amministratore ha atteso sperando in nuovi ordini, ma la situazione peggiora.

Crisi: A inizio 2025 Alfa S.r.l. è in stato di crisi conclamata: la liquidità manca per pagare stipendi e fornitori, alcune banche minacciano revoca fidi. L’azienda è però operativa e avrebbe commesse se potesse acquistare materie prime. I creditori fremono: alcuni fornitori hanno ottenuto decreti ingiuntivi, una banca vuole escutere un pegno su magazzino.

Soluzione adottata: L’amministratore, assistito dal consulente, decide di attivare una Composizione Negoziata della crisi. Tramite la piattaforma, viene nominato un esperto. Ciò avviene prima che partano esecuzioni (Febbraio 2025). Alfa ottiene dal Tribunale misure protettive: un decreto che sospende le azioni esecutive dei creditori, così le ingiunzioni dei fornitori non sfociano in pignoramenti immediati, e la banca non revoca le linee (complice la norma nuova che glielo vieta durante CNC).

Con l’aiuto dell’esperto, Alfa S.r.l. mette a punto un piano di risanamento: include la vendita del capannone (non più strettamente necessario) a un investitore locale per €1M e la stipula di un contratto di affitto dello stesso (rent-back) a condizioni sostenibili; l’ingresso di un socio finanziatore con €500k freschi per rafforzare il circolante; la rinegoziazione dei debiti bancari (allungamento mutuo, conversione fido a MLT) e uno stralcio del 30% dei debiti fornitori. Il piano prevede di recuperare marginalità grazie a nuovi contratti già in trattativa (clienti esteri interessati ai componenti).

Durante la CNC (3 mesi) l’esperto convoca banche e fornitori principali: si abbozza un Accordo di Ristrutturazione. Le banche, vedendo l’apporto del nuovo socio e la prospettiva di evitare un fallimento, accettano di: congelare i pagamenti mutuo per 6 mesi, estendere di 2 anni le scadenze, ridurre il tasso interessi; inoltre una banca converte €100k di esposizione in una partecipazione al capitale (diventa socia al 10%). I fornitori, rappresentanti di circa il 65% del totale credito, sono disponibili a uno stralcio 30% se pagati in tempi brevi per la quota restante.

Nasce così un Accordo di ristrutturazione agevolato (quorum richiesto 30% perché Alfa ha evitato misure protettive ulteriori oltre il primo periodo, e si impegna a pagare subito i fornitori estranei). Ad aprile 2025, Alfa deposita l’accordo in Tribunale: hanno aderito banche e fornitori coprendo il 75% dei crediti totali, quindi ben sopra il minimo (anche se ne sarebbe bastato il 30%, qui c’è largo consenso). I fornitori che non hanno aderito (25% del totale, molti di piccole dimensioni) verranno pagati integralmente con i soldi ricavati dalla vendita del capannone entro 120 giorni dall’omologa. Nel frattempo, contestualmente, Alfa presenta una proposta di transazione fiscale all’Agenzia Entrate: offre di pagare il 50% dei €300k di debiti fiscali/contributivi, in 24 rate mensili, con l’attestazione indipendente che in fallimento l’Erario prenderebbe solo 20%. Il Fisco aderisce prima dell’udienza (grazie al fatto che col 50% recupera molto più).

A maggio 2025 il Tribunale omologa l’accordo di ristrutturazione. Non vi sono opposizioni rilevanti (i fornitori estranei sono soddisfatti al 100% immediatamente, quindi nessuno si oppone). L’omologa rende efficace l’accordo: immediatamente Alfa incassa €1M dalla vendita dell’immobile (operazione autorizzata in corso di procedura grazie all’esperto), con cui paga i fornitori estranei (100% in 60 giorni dall’omologa) e i primi acconti ai fornitori aderenti (che otterranno 70% del loro credito in 6 mesi). Le banche proseguono il finanziamento (nessuna revoca linee, anzi concedono nuovo credito di firma per approvvigionamenti). Il nuovo socio versa €500k in aumento di capitale, destinati in parte a pagare debiti e in parte a capitale circolante.

Esito: Alfa S.r.l. torna ad operare regolarmente: con debiti finanziari spalmati, debiti fornitori ridotti e onorati in parte, e il fisco dilazionato (in più, quell’accordo fiscale omologato le permette di liberare le ipoteche equitali su beni e di non pagare sanzioni). Il capannone ora è di un terzo, ma Alfa lo usa in affitto a canone sostenibile. L’azienda ha evitato il fallimento e preservato tutti i posti di lavoro. Dopo un anno, grazie ai nuovi contratti, Alfa registra utili e riesce a rispettare il piano di accordo. I creditori hanno avuto in media il 70% di quanto dovuto (100% i privilegiati come dipendenti e una percentuale tra 50 e 70% i chirografari). In caso di fallimento, i fornitori avrebbero forse preso il 20%, le banche ipotecarie il valore dimezzato del capannone; quindi tutti sono in condizioni migliori.

Considerazioni: In questo caso, la combinazione CNC + Accordo ADR agevolato + transazione fiscale ha funzionato. Se invece i fornitori non avessero aderito in misura sufficiente (diciamo solo 40%), Alfa avrebbe potuto optare per un concordato preventivo in continuità. Il piano sarebbe stato simile ma formalizzato con classi: banche (classe privilegiati parzialmente degradati), fornitori (classe chirografi), Fisco (classe chirografo privilegiato degradato). Avrebbe richiesto il voto in percentuale (qui c’era molto consenso comunque) e l’omologa. I costi sarebbero stati maggiori e i tempi un po’ più lunghi, ma il risultato sostanziale analogo: l’azienda salvata. In pratica, Alfa è riuscita a restare su binario stragiudiziale/semi-giudiziale grazie alla disponibilità delle parti; se ci fosse stata più conflittualità, il concordato sarebbe stata la via di riserva (che fortunatamente non è servita). Da notare che l’amministratore di Alfa, attivandosi in tempo, ha evitato di incorrere in responsabilità: l’esperto CNC ha certificato che non ha compiuto atti distrattivi né aggravato la situazione, quindi Alfa e il suo amministratore non subiscono né azioni di responsabilità né tantomeno profili penali (anzi, l’omologazione dell’accordo lo mette al riparo da accuse di pagamenti preferenziali, perché avvenuti nell’ambito di un procedimento legale).

Caso 2: Impresa Edile di medie dimensioni – Concordato Preventivo in Continuità Indiretta

Scenario: Beta Costruzioni S.p.A. è un’impresa edile con 3 cantieri aperti (costruzione di condomini residenziali). Ha 100 dipendenti. Un cantiere è quasi finito (80% venduto su carta), gli altri due sono a metà e soffrono per l’aumento dei costi materiali. Beta ha debiti per €5 milioni verso banche (mutui per finanziare i cantieri, garantiti da ipoteche sui terreni edificabili e da fideiussioni personali del socio), €2 milioni verso fornitori e subappaltatori del settore edile, e debiti fiscali di €500k (IVA sugli acconti incassati dagli acquirenti). I promissari acquirenti degli appartamenti hanno versato caparre e acconti per tot €1 milione (coperti da fideiussioni bancarie come per legge). A seguito del blocco del Superbonus e di problemi di liquidità, Beta è insolvente: non paga più i subappaltatori da 6 mesi, che hanno sospeso i lavori; la banca ha segnalato sofferenza per rate mutuo non pagate e minaccia escussione fideiussioni; gli acquirenti delle case temono di perdere i soldi e alcuni hanno fatto decreti ingiuntivi per riaverli.

Crisi: Beta S.p.A. viene raggiunta da istanze di fallimento (due subappaltatori e un acquirente infuriato). Siamo a luglio 2024, Beta è di fatto ferma e in stallo. Il patrimonio: terreni e lavori in corso (valore ipotetico €6M a progetto finito, ma ora in quello stato varrebbero molto meno), qualche macchina operatrice. C’è l’interesse del Comune a far proseguire almeno il cantiere più avanzato per consegnare case ai cittadini. Il socio di Beta, disperato, vorrebbe evitare il fallimento anche perché ha fornito garanzie personali e perderebbe tutto.

Soluzione adottata: Beta S.p.A. deposita un ricorso per concordato preventivo con riserva (“in bianco”) un giorno prima dell’udienza prefallimentare, ottenendo lo stop delle istanze di fallimento (automatic stay). Entro 60 giorni prepara, con l’ausilio di un advisor, un piano di concordato in continuità indiretta: prevede che Beta ceda i 3 cantieri (quindi l’insieme di terreni, lavori e promesse di vendita) a una nuova società veicolo (Gamma S.r.l.), partecipata da un investitore del settore edilizio trovato dall’advisor. Questo investitore è disposto a subentrare e finire i lavori, ma vuole avere l’azienda “pulita” dai debiti pregressi: dunque paga per quei cantieri un prezzo di €4 milioni da versare in concordato. In pratica, Beta “vende” i rami d’azienda (i cantieri) a Gamma, la quale assume anche i 80 dipendenti su 100 necessari a proseguire (20 amministrativi non necessari vengono lasciati in Beta).

Con quei €4 milioni, Beta S.p.A. propone di pagare: integralmente i crediti privilegiati (inclusi subappaltatori che vantano privilegio edile, e i dipendenti per TFR e stipendi arretrati), e in parte i chirografari (fornitori non privilegiati, acquirenti per eventuali danni). In dettaglio: i subappaltatori hanno privilegio speciale sui beni costruiti per i loro crediti (art. 2765 c.c.), Beta calcola di soddisfarli al 100% su quanto riconosciuto (ci sono contestazioni su alcune somme, ma su quelle ammesse saranno pagati integrali). Gli acquirenti degli immobili: Beta non può restituire tutti gli acconti, propone che Gamma si faccia carico dei loro contratti (quindi manterranno il diritto di avere la casa, solo con qualche mese di ritardo) e in cambio Beta non li paga in cash – salvo chi rinuncia alla casa potrà escutere la fideiussione fino al 100%. Quindi per gli acquirenti, o casa a fine lavori o rimborso da banca (il piano prevede che Beta non si oppone all’escussione delle polizze, e la banca fideiussore avrà poi credito surrogatorio). Banche: la banca ipotecaria su terreni verrà soddisfatta con parte del ricavato cessione cantieri (stima di prendere 60% del dovuto, ma preferisce di gran lunga a un fallimento dove forse prenderebbe 30% e dovrebbe gestire invenduti). I fornitori chirografari: prevedono di ricevere 30% dei loro crediti in due tranche (una ad omologa, una a chiusura lavori, quest’ultima garantita dall’investitore Gamma). Il Fisco (IVA e ritenute) – circa €500k in parte privilegiati – riceverà ~50% (grazie al fatto che nel concordato in continuità non serve più il 100% ai privilegiati se c’è continuità, basta il test convenienza e il rispetto priorità relativa: qui l’Erario è in classe chirografo degradato per la parte eccedente il valore di beni liberi, e si offre comunque più del fallimento). Si predispone una transazione fiscale integrata nel piano per falcidiare IVA al 50%, con attestazione di convenienza.

Il piano considera anche un apporto di €500k di finanza esterna dall’investitore da destinare ai creditori (questo serve a raggiungere la soglia del 20% ai chirografari, perché solo coi 4M del prezzo non si arrivava). Così, il concordato liquida in totale €4.5M ai creditori.

Beta suddivide i creditori in classi: Classe 1 subappaltatori privilegiati (che prendono 100%); Classe 2 banca ipotecaria (prende ca.60% ma acconsente perché è meglio di alternativa; inoltre l’investitore si impegna a fornirle in futuro commesse); Classe 3 Fisco privilegiato degradato (prende 50%); Classe 4 chirografari fornitori (30%); Classe 5 acquirenti di case (che hanno un trattamento in natura: consegna case, non denaro, quindi classe separata). I dipendenti, pagati integralmente, sono fuori da voto (prededuzione per stipendi correnti, privilegio per TFR – ma investitore li assume e garantisce TFR maturato, quindi di fatto non c’è debito TFR da soddisfare in piano se passano tutti; i 20 licenziati avranno TFR pagato integralmente dal concordato).

Il Tribunale valuta il piano: rileva che è di continuità indiretta (perché l’attività prosegue in mano a Gamma, non Beta stessa, ma la legge consente anche continuità indiretta). Ammette Beta alla procedura e nomina un Commissario.

Svolgimento e esito: Si tiene il voto dei creditori. La banca ipotecaria (Classe 2) approva (era d’accordo fin dall’inizio); i subappaltatori privilegiati (Classe 1) approvano contenti perché vedono un investitore che li farà lavorare di nuovo e paga il vecchio; la Classe chirografi fornitori (Classe 4) – anche se 30% è poco, approvano al 70% del valore (molti preferiscono qualcosa subito e magari lavorare ancora a finire cantiere con Gamma, piuttosto che niente in fallimento). Gli acquirenti di case (Classe 5) approvano quasi tutti, perché preferiscono la casa al rimborso; solo due contrari (che infatti eserciteranno opzione di escussione fideiussione, fatto che il piano consente – li paga la banca, non Beta). Dunque tutte le classi tranne il Fisco (Classe 3) hanno approvato a larga maggioranza. L’Erario vota contro per politica interna (anche se conveniva). Niente paura: essendo concordato in continuità, basta una classe (qui più d’una) favorevole e il rispetto della relative priority e convenienza, il giudice può omologare comunque. Il Commissario attesta che i crediti erariali prendono 50% qui vs presumibile 0% in fallimento (perché ipoteche banche avrebbero assorbito tutto), quindi il tribunale applica il cram-down fiscale e omologa malgrado il “no” dell’Erario.

Una volta omologato (marzo 2025), il piano si attua: Gamma S.r.l. versa €4.5M (prezzo + finanza esterna) nel patrimonio Beta sotto controllo Commissario. Beta paga subito i subappaltatori (100%), in 6 mesi i fornitori al 30%, paga la prima tranche a banca ipotecaria (che poi avrà saldo dalla vendita appartamenti ipotecati in corso, garantito da Gamma). Gamma assume il controllo dei cantieri e li completa entro fine 2025; consegna le case agli acquirenti. Beta S.p.A., a fine piano, viene liquidata: si è spogliata di tutti asset (cantieri venduti) e ha pagato quanto previsto. Viene dichiarata cessazione del concordato e Beta, ormai vuota, verrà cancellata dal registro imprese (dissolta). Il socio di Beta, pur perdendo la società, esce relativamente sollevato: le sue fideiussioni personali sulle case sono state attivate ma la banca ha rinunciato a rivalersi ulteriormente su di lui (perché dentro l’accordo c’era la condizione che la banca escutendo la polizza rinuncia ad azioni verso Beta e coobbligati). Ha perso probabilmente il capitale investito ma evita fallimento personale e responsabilità penali. I dipendenti hanno conservato il lavoro (80 su 100) presso Gamma, gli altri 20 hanno avuto TFR e accesso agli ammortizzatori per licenziamento collettivo (approvato in sede di concordato con accordo sindacale).

Considerazioni: In questo caso complesso, il concordato in continuità ha permesso la salvaguardia di un’attività (cantieri) tramite un investitore terzo, gestendo la distribuzione di perdite in modo ordinato e con il consenso dei più. Un fallimento di Beta avrebbe comportato: cantieri fermi per anni, acquirenti rifarsi solo sulle fideiussioni (spesso scoperte), subappaltatori forse nulla, e dispersione di valore (terreni venduti a pezzi). Invece con il concordato il progetto edilizio è stato portato a termine – la continuità indiretta – e tutti hanno avuto una soddisfazione migliore. Si noti l’uso delle classi: ha consentito di trattare diversamente categorie diverse (es. acquirenti che prendono la casa vs fornitori che prendono cash 30%). Questo sarebbe impossibile in un ADR. Inoltre, il potere del tribunale di approvare nonostante il no del Fisco è stato decisivo, altrimenti il Fisco (16% crediti) avrebbe bloccato tutto e portato a fallimento (dannoso per gli stessi creditori pubblici!). Ciò mostra l’utilità del cram-down. Dal lato investitore, Gamma ha ottenuto i cantieri a prezzo scontato (4.5M per un valore finale di case vendute ~6-7M), assumendosi oneri di finirli ma contando su margine. È una tipica operazione di assunzione concordataria: un soggetto compra il pacchetto dell’azienda in crisi in sede concorsuale, ripulendola dai debiti, e traghettando attivi e parte del personale.

Quanto al socio di Beta: non arricchisce ma evita guai. Il concordato, essendo andato a buon fine, esclude azioni di responsabilità (nessuna anomalia grave trovata dal Commissario) e l’aver collaborato attivamente lo mette al riparo anche penalmente (nessun reato emerso, e la condotta trasparente durante la crisi – atti autorizzati dal giudice – lo tutela da possibili accuse di distrazione: nulla è uscito dal patrimonio se non con autorizzazione). Beta ha pagato almeno il 20% ai chirografi, quindi i requisiti di legge sono rispettati. L’Amministrazione comunale e gli acquirenti sono soddisfatti: le case sono state completate. La fiducia nel mercato locale ne esce meno danneggiata rispetto a un fallimento con mezzo quartiere incompiuto.

Caso 3: Liquidazione di una Startup Innovativa fallita – Sovraindebitamento del Fondatore

Scenario: Delta Digital Startup è una s.r.l. innovativa creata nel 2022 per sviluppare un’app mobile. Ha vissuto di capitale di venture angel (€200k) esaurito in sviluppo prodotto. Ha inoltre ottenuto un prestito bancario di €50k garantito dal Fondo PMI (con fideiussione personale del fondatore per 20k) e ha debiti verso fornitori tech per €30k. Nel 2024 non riesce a trovare nuovi investitori né a generare ricavi (app non decolla). A fine 2024 è insolvente: cassa zero, debiti totali €80k. Non ha attivi rilevanti: qualche computer e il software sviluppato (valore incerto). Ha 3 dipendenti che da 2 mesi non ricevono stipendio.

Crisi: Il fondatore, unico amministratore, non vede via d’uscita. Confrontandosi con i soci, decidono di chiudere la startup per contenere i danni. Non c’è massa sufficiente per un concordato (troppo debito per troppo pochi asset, e procedura costosa). Neanche ha senso un accordo di ristrutturazione (la banca e i fornitori vogliono soldi che non ci sono). Inoltre la startup ha requisiti di “non fallibilità” (attivo e debiti sotto soglie di legge, benché queste soglie in CCII non impediscano la liquidazione giudiziale, in pratica sarebbe un caso di liquidazione controllata via OCC).

Soluzione adottata: A gennaio 2025 Delta Digital S.r.l. decide la liquidazione volontaria ex art.2484 c.c. Nomina un liquidatore, che vende i PC (ricava €5k) e dismette l’attività. I 3 dipendenti trovano altro lavoro, ma avanzano stipendi per €10k (che il fondo di garanzia INPS coprirà in parte). Il liquidatore capisce che il patrimonio non basta a pagare tutti: informato il tribunale, viene aperta una procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato (trattandosi di impresa minore). Un OCC viene nominato gestore della crisi. Viene redatto l’elenco creditori: Banca €50k (di cui 80% garantito Stato), Fornitori vari €30k, Dipendenti €10k, socio Angel €200k (ma è socio, niente debito, perde capitale). Attivo: €5k cessione PC, software invendibile (il codice sorgente viene valutato €0; il fondatore lo conserva per riutilizzarlo in altro progetto magari).

L’OCC convoca i creditori: realisticamente, c’è €5k da spartire. I creditori deliberano di non opporsi a chiudere tutto così. Il tribunale, vista l’assenza di attivo, dichiara chiusa la liquidazione controllata con esdebitazione dell’impresa. Delta S.r.l. viene cancellata senza aver soddisfatto quasi nulla, ma i crediti sono inesigibili comunque.

Post-chiusura e ruolo del fondatore: Il fondatore, Mario, 30 anni, si ritrova con la banca che chiede a lui €20k (fideiussione). Inoltre deve restituire €10k a sua zia che gli aveva prestato soldi personalmente per la startup (debito fuori bilancio azienda). E ha 5k di carte di credito spese. Totale debiti personali €35k. Non ha proprietà (vive in affitto, ha un’auto usata). Con uno stipendio da sviluppatore nel frattempo trovato, potrebbe in teoria ripagare con grandi sacrifici in 5-6 anni. Si rivolge però all’OCC per valutare l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente. Dimostra di essere nullatenente (auto vale €3k), di aver agito in buona fede (non ci sono atti in frode), di non poter pagare i €35k residui. Il Tribunale, a maggio 2025, gli concede l’esdebitazione immediata: i suoi debiti personali vengono cancellati (tranne eventuali alimentari o risarcitori, che non ha). La banca e la zia non potranno nulla (la banca in parte è risarcita dal Fondo PMI per la garanzia statale, la zia purtroppo perde i €10k). Mario riparte da zero: con stipendio modesto ma senza debiti pregressi, e con l’esperienza maturata.

Considerazioni: Questo caso evidenzia una liquidazione rapida di micro-impresa: niente concordato complicato, semplicemente si è preso atto che non c’era nulla da fare. Il sistema OCC ha gestito la chiusura formalmente così i creditori sono stati trattati equamente (praticamente tutti chirografari che prendono zero). L’esdebitazione in casi di startup fallite è fondamentale per non tarpare le ali ai giovani imprenditori: Mario potrà in futuro magari fondare un’altra impresa senza i fantasmi di quella vecchia (infatti le informazioni creditizie negative vengono eliminate dopo l’esdebitazione). I fornitori sanno di essersi assunti un rischio imprenditoriale (lavorare con startup è così). In Italia in passato Mario sarebbe rimasto tecnicamente fallito (pur essendo impresa non fallibile, i creditori potevano perseguitarlo a vita sui debiti personali). Ora non più: la legge gli consente un fresh start.

Da notare: Mario avrebbe anche potuto presentare un piano del consumatore/imprenditore minore chiedendo di pagare chessò il 10% in 4 anni ai creditori e poi esdebitazione. Ma data la sua incapienza, la legge gli ha consentito di essere esdebitato anche senza pagare nulla (novità del CCII per casi meritevoli). Così i creditori chiudono la partita come una perdita integrale, ma se fosse fallito formalmente non avrebbero comunque preso nulla – almeno così c’è stata una procedura rapida e meno costosa.

Questo caso insegna che per le startup e micro imprese la vera tutela è la velocità di uscita: trascinarle genera solo spese. Occorre però passare attraverso una procedura (anche semplificata) per regolare i debiti, altrimenti quei debiti rimangono pendenti e possono frenare il soggetto per anni. Mario ha scelto bene di affrontare la questione legalmente subito.

Se Delta fosse stata leggermente più grande (debiti €300k ad esempio), si poteva fare un concordato minore: magari vendere quel poco di asset e offrire ai creditori un 5-10%. Ma nel suo caso anche preparare un piano sarebbe costato troppo. Il liquidatore e OCC hanno preferito la via minimal: chiusura e esdebitazione.

Queste simulazioni mostrano una gamma di possibilità: la ristrutturazione in bonis (Caso 1), il concordato per salvare continuità con l’intervento di terzi (Caso 2), e la liquidazione pura con discharge (Caso 3). Ogni crisi è diversa, ma la Guida evidenzia come oggi esistano soluzioni strutturate e flessibili per gestirle, minimizzando distruzioni di valore e penalizzazioni eccessive. La chiave è agire per tempo e col giusto strumento.

Fonti Normative, Giurisprudenziali e Dottrinali (aggiornate a maggio 2025)

Di seguito raccogliamo le principali fonti legislative, le pronunce giurisprudenziali e i riferimenti dottrinali citati o consultati nella stesura di questa guida, utili per approfondire il Codice della Crisi d’Impresa e le sue evoluzioni recenti.

Fonti Normative

  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), pubblicato in G.U. n.38 del 14-02-2019, in vigore dal 15-07-2022. Testo unico che ha riformato organicamente la disciplina concorsuale.
  • D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 147/2021 – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa (ha introdotto la Composizione Negoziata e il concordato semplificato).
  • D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – Secondo decreto correttivo al CCII, di attuazione della Direttiva UE 2019/1023 (c.d. “Direttiva Insolvency”), in vigore dal 15-07-2022. Ha modificato numerosi articoli del Codice: allerta (soppresso OCRI), introdotto strumenti come accordi agevolati (30%) e ad efficacia estesa, piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), norme su classi e cram-down fiscale, ecc.
  • D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – Terzo decreto correttivo al CCII, pubblicato in G.U. 27-09-2024 (in vigore dal 28-09-2024). Ha ulteriormente perfezionato il Codice: definizioni (strumenti di regolazione vs procedure), rafforzato transazione fiscale e composizione negoziata (divieto revoca affidamenti bancari in CNC), facilitato la gruppabilità delle transazioni fiscali (art. 284-bis CCII), ecc.
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – Direttiva europea sui quadri di ristrutturazione preventiva, insolvenza ed esdebitazione. Recepita in Italia col D.Lgs. 83/2022.
  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (come integrata nel CCII artt.65-83) – Disciplina del sovraindebitamento. Ora confluita nel Codice, rilevante per procedure di “concordato minore”, “ristrutturazione debiti del consumatore/imprenditore minore” e “liquidazione controllata” per soggetti non fallibili.
  • Legge Fallimentare R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (abrogata dal CCII dal 15-7-2022). Citata per riferimenti storici e principi giurisprudenziali consolidati (es. concetto di stato d’insolvenza, azioni revocatorie, ecc.), molti recepiti nel nuovo Codice.
  • D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 e D.L. 23 dicembre 2003, n. 347 conv. L.39/2004 – Norme sull’Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in crisi (leggi Prodi-bis e Marzano). Rimangono in vigore come regime concorsuale speciale, escluso dall’ambito del CCII.
  • Codice Civile, artt. 2086 (obbligo adeguati assetti introdotto dal Codice Crisi), 2446-2447 (riduzione capitale per perdite), 2484-2487 (liquidazione volontaria società), 2477 (sindaco obbligatorio SRL parametri ridotti per CCII), 1239 (remissione debito principale libera fideiussore applicata ex lege negli ADR), 2560 (debiti cedente azienda), ecc. Questi articoli interagiscono col diritto concorsuale (ad es. assetti adeguati art.2086 è fulcro dell’allerta interna).
  • Normativa fiscale: art. 88 TUIR (sopravvenienze attive da remissione non imponibili in concordati/ADR), art. 14 DL 91/2014 conv. L.116/2014 (sopravvenienze da esdebitazione non imponibili), norme su IVA nei concordati (art. 26 DPR 633/72 come mod. da DL 119/2018 per note credito post-procedura), ecc. Queste norme definiscono il trattamento fiscale dei piani di crisi.

Giurisprudenza

  • Cass., Sez. Unite, 25 marzo 2021, n. 8504 – Principio sul cram-down fiscale ante Codice: ha stabilito che il tribunale fallimentare può omologare il concordato/ADR anche senza adesione del Fisco (dopo L.159/2020) e che le controversie sul diniego fiscale spettano al giudice ordinario. Pronuncia storica, recepita poi dal CCII espressamente.
  • Cass., Sez. I, 28 ottobre 2024, n. 27782 – Ha confermato che nel concordato la “mancata adesione” del Fisco che legittima il cram-down include il voto negativo espresso (non solo il silenzio). Si cita come sentenza recente di legittimità sul punto (in linea col Terzo Correttivo).
  • Cass., Sez. Unite, 26 maggio 2020, n. 7877 – (Citata dottrinalmente) Sulla nozione di crisi e insolvenza, e sulla responsabilità degli amministratori per tardiva richiesta di concordato. Stabilisce che la crisi va affrontata ex art.2086 c.c. e l’inerzia può costituire inadempimento.
  • Tribunale di Milano, Sez. Fall., decr. 14 ottobre 2022 – Prima applicazioni D.Lgs.83/2022: ha ammesso concordato con classi obbligatorie, applicando per la prima volta la relative priority rule in Italia (caso di concordato in continuità con cram-down di classe chirografa).
  • Tribunale di Roma, 4 aprile 2023 – Omologa accordo ristrutturazione con efficacia estesa ai sensi nuovi artt. 61 CCII (banche dissenzienti forzate). Importante per interpretare condizioni (buona fede nelle trattative, ecc.).
  • Corte d’Appello di Bologna, 18 luglio 2023 – Conferma revoca omologa concordato e esercizio potere art. 112 CCII: ha fatto applicazione della norma su prevalenza interesse generale dei creditori/lavoratori nel confermare un concordato nonostante reclamo di singolo (norma art. 114 CCII).
  • Cass., Sez. Unite, 15 novembre 2016, n. 23218 – (Vecchia ma influente) Sulla fattibilità del concordato: distinzione fattibilità giuridica vs economica. Principio ancora valido nel CCII: giudice non sindaca merito economico se non manifesta irrealizzabilità.
  • Cass., Sez. I, 7 settembre 2017, n. 20793 – Ha affermato che nel concordato con continuità il divieto di risoluzione contratti per insolvenza si applica ex lege anche senza clausole contrarie (precursore poi dell’art. 95 CCII).
  • Cass., Sez. V, 17 dicembre 2020, n. 28895 – In tema di transazione fiscale: ha ritenuto ammissibile la falcidia dell’IVA nei concordati in assenza di divieto europeo, anticipando la riforma. Ormai superata da modifica legislativa (ora l’IVA è falcidiabile per legge).
  • Cass., Sez. Unite, 8 marzo 2019, n. 7166 – Sul concordato preventivo, controllo di meritevolezza e abuso dello strumento (ha escluso si possa proporre concordato liquidatorio senza apporto 20% – concetto poi normativizzato).
  • Cass., Sez. I, 27 maggio 2021, n. 14714 – Sull’azione di responsabilità verso amministratori in ritardo fallimentare: ha sancito che il danno da tardiva richiesta procedure concorsuali si calcola per differenza tra patrimonio netto alla data in cui si doveva intervenire e quello poi accertato. Principio che sprona ad attivarsi (collegato art.2086 c.c.).

Crisi Aziendali e Ristrutturazione del Debito: Perché Affidarti a Studio Monardo

La tua impresa è in difficoltà finanziaria?
Non riesci più a pagare puntualmente fornitori, banche o il fisco?
Temi di dover chiudere o subire una liquidazione giudiziale?

⚠️ La crisi aziendale non è una condanna, ma un campanello d’allarme.
Con gli strumenti giusti puoi ristrutturare i debiti, salvare l’impresa e rilanciare l’attività.

Quando un’impresa è in crisi

📉 La crisi si manifesta quando:

🔹 I debiti superano la capacità di rimborso
🔹 I flussi di cassa non coprono le spese operative
🔹 L’impresa rischia revoche, protesti o pignoramenti
🔹 I rapporti con banche e fornitori si stanno deteriorando

📌 Se agisci per tempo, puoi evitare il fallimento e proteggere il patrimonio aziendale.

Cosa si intende per “ristrutturazione del debito”

🔁 È un processo legale o negoziato per:

✅ Rinegoziare le scadenze e gli importi dovuti
✅ Ottenere sconti, dilazioni o sospensioni
✅ Riorganizzare la struttura finanziaria dell’impresa
✅ Mantenere continuità produttiva e occupazionale

⚖️ Può avvenire con o senza intervento del tribunale, a seconda della gravità della situazione.

Strumenti per risolvere la crisi d’impresa

📌 Accordo di ristrutturazione dei debiti
📌 Concordato preventivo in continuità
📌 Composizione negoziata della crisi con l’Esperto
📌 Convenzione di moratoria con le banche
📌 Procedure semplificate per microimprese e PMI

Ogni strumento ha requisiti e vantaggi diversi. La scelta giusta dipende dal tuo caso specifico.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la situazione economica e debitoria dell’impresa
📊 Valuta la soluzione più adatta: extragiudiziale o protetta
✍️ Redige il piano di ristrutturazione e gestisce la trattativa con banche, fornitori, fisco
🤝 Ti affianca nella procedura con l’Esperto Negoziatore della Crisi
⚖️ Ti rappresenta davanti al Tribunale in caso di accordi omologati o concordati

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato specializzato in diritto della crisi d’impresa e sovraindebitamento
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Fiduciario di Organismi di Composizione della Crisi (OCC)
✔️ Esperto in trattative con banche, Agenzia Entrate, INPS e fornitori

Conclusione

La tua impresa può uscire dalla crisi e ripartire. Ma serve agire ora, con metodo e strategia.
Con la ristrutturazione del debito puoi salvare l’attività, proteggere i lavoratori e tornare a crescere.

📞 Richiedi ora una consulenza riservata con l’Avvocato Giuseppe Monardo:
Affrontare la crisi è un atto di forza. Farlo nel modo giusto è la vera ripartenza.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Trasforma il tuo sogno in realtà

partecipa alle aste immobiliari.