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Fondi europei per la ricerca, 1 miliardo alla difesa di Israele


Tra Ue e Israele è in vigore un ampio partenariato di natura commerciale e politica, ora in corso di revisione dopo la richiesta di verifica del rispetto dei diritti umani da parte della maggior parte dei governi europei. L’accordo in vigore dal 2000 regola anche la cooperazione nel settore della ricerca. Inoltre Tel Aviv partecipa ad Horizon, il principale programma di collaborazione europeo dedicato a ricerca e l’innovazione. Un programma gestito operativamente da Bruxelles, ma aperto ai contributi economici di paesi non Ue, tra cui il Canada, il Regno Unito e lo stesso Israele.

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Ora una lunga e dettagliata inchiesta del quotidiano belga francofono L’Echo e del suo partner fiammingo De Tijd rivela l’entità del legame tra centri di ricerca europei e israeliani. Secondo i dati forniti dai due quotidiani economici, nei complessivi 921 progetti finanziati da Horizon e attualmente in corso, figurano 213 partner israeliani, per un ammontare di risorse che supera il miliardo di euro. Soldi anche europei e comunque allocati da Bruxelles, che però, come documentato dagli autori dell’inchiesta arrivano dove non dovrebbero, ovvero al ministero della difesa di Tel Aviv e all’industria bellica israeliana.

SULLA CARTA Horizon deve servire esclusivamente a scopi civili. Salvo poi prevedere, nelle linee guida del programma, l’eventualità di applicazioni dual-use, cioè in ambito sia civile che militare. Ambiguità di partenza a parte, c’è da dire che diversi progetti a cui Israele partecipa sono effettivamente concentrati sulla ricerca medica o biologica. Ma spesso per questi come per molti altri, data la specificità del contesto israeliano, diventa difficile tracciare una linea di demarcazione netta tra sviluppo di tecnologie civili e l’eventuale utilizzo in campo militare, come accade soprattutto per i droni e la cybersicurezza.

L’INCHIESTA dei media belgi cita ad esempio un progetto sull’innovazione nella lotta al terrorismo. In questo caso un’azienda di consulenza israeliana rivendica la collaborazione con «i veterani più decorati dei servizi del Mossad», mentre un altro progetto sulla criminalità ambientale include un’impresa israeliana fondata da ex membri delle unità speciali dell’esercito, con «forti legami» con il governo. Ma forse il dato più forte che emerge dall’inchiesta giornalistica è nella denuncia di una linea di finanziamento finita dritta al ministero della difesa israeliano. «Il ministero», si legge «è partner del progetto Horizon “UnderSec”, attivo fino alla fine del 2026, che mira a proteggere le infrastrutture sottomarine con sensori e tecnologie, e riceve a questo scopo quasi 6 milioni di euro». C’è poi il quasi mezzo milione di euro che va alla Rafael Advanced Defense Systems, un’azienda pubblica della difesa israeliana. E infine il più grande gruppo di difesa israeliano, ovvero l’Israel Aerospace Industries (Iai), partecipa addirittura a otto progetti Horizon, ricevendo quasi 2,8 milioni di euro di fondi Horizon.

DI FRONTE alle perplessità avanzate da molti esponenti politici europei, la commissaria Ue con delega a ricerca e innovazione Ekateria Zacharieva ha sempre negato la destinazione impropria delle ricorse. Per rafforzare l’argomento, Zacharieva ha inoltre sostenuto la linea: un conto sono le azioni di Israele, un altro l’attività degli enti di ricerca che ricevono i fondi. Ma perfino con simili formalismi, alcuni casi documentati nell’inchiesta de l’Echo risultano difficili da difendere. Molti istituti di ricerca accademici, infatti, collaborano apertamente con l’esercito. L’ateneo di Tel Aviv e l’Università ebraica di Gerusalemme prevedono ammissioni agevolate e programmi speciali per militari in servizio: la prima riceve da Horizon 230 milioni di euro, la seconda 189 milioni. L’Università Ben-Gurion del Negev, finanziata con 54 milioni, prevede borse di studio per i militari, e lo stesso vale per molti altri istituti.

«UN BOICOTTAGGIO accademico indebolirebbe la voce indipendente e liberale in Israele in momenti critici», osservano dal Technion di Gerusalemme. Una linea ormai insostenibile di fronte alla violenza armata di Israele a Gaza e alle azioni in Cisgiordania. L’Europa, finora complice attraverso le armi, potrebbe – e soprattutto dovrebbe – cambiare linea.

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