Nelle ultime due decadi numerose società tecnologiche hanno beneficiato di un contesto di globalizzazione e di costi di input in costante diminuzione, creando piattaforme digitali caratterizzate da costi fissi ridotti e da effetti di rete ampiamente scalabili. Tali effetti di rete, basati sull’aumento di valore all’aumentare del numero di utenti, hanno generato margini elevati e barriere all’ingresso per i concorrenti.
Tuttavia l’attuale riallineamento geopolitico, l’incertezza sui dazi e l’accelerazione degli investimenti in infrastrutture critiche – come i data center per l’Ai – stanno riconfigurando la natura dei vantaggi competitivi. Siamo passati da un’epoca di asset intangibili a una fase di crescente intensità di capitale, in cui la capacità di assorbire costi d’investimento rende più rilevante che mai l’analisi della redditività futura e del pricing power.
Perché è un buon punto d’ingresso
Dopo un primo trimestre caratterizzato da elevata volatilità nei mercati azionari – con particolare pressione sui titoli legati all’intelligenza artificiale – gli investitori lungimiranti stanno cercando non solo le aziende in grado di reagire alla crisi, ma soprattutto quelle che sapranno prosperare negli anni a venire.
La recente contrazione dei titoli tecnologici – legata a fattori temporanei come l’eccesso di esuberanza per l’AI e le incertezze sui dazi – ha creato un punto di ingresso interessante per chi ha una visione di medio-lungo periodo. Il motivo è presto detto: l’annuncio di DeepSeek e la volatilità creata dagli annunci di Trump sui dazi hanno comportato una contrazione delle valutazioni più che proporzionale rispetto a quella subita dal mercato nel suo complesso.
Come scegliere i titoli
Diventa dunque cruciale andare alla ricerca di aziende che si possono definire pricing power positive, ovvero nomi in grado di fissare prezzi autonomamente e sostenere margini elevati anche in un contesto di capex intensivi. Due i criteri per selezionarle.
Vantaggi competitivi solidi nascono oggi non solo dall’effetto rete digitale, ma anche da brevetti, economie di scala e integrazione tra progettazione, ingegneria e produzione. Le imprese che hanno allestito catene del valore local-for-local sono riuscite ad anticipare gli impatti negativi dei dazi, trasformando potenziali penalità in opportunità di resilienza. Queste caratteristiche riflettono la logica quality, poiché privilegiano aziende con r&d di alto livello e capacità di adattamento strutturale.
In un’epoca in cui il protezionismo guadagna terreno, diventa poi essenziale identificare beni e servizi che gli utenti finali non possono evitare di acquistare: dai chip per dispositivi mobili alle soluzioni per l’elaborazione di dati AI. Queste commodity digitali sono difficili da replicare e, in quanto tali, costituiscono i futuri beni di prima necessità di un’economia sempre più connessa. Anche qui emerge la logica Quality, poiché puntiamo a società impegnate in mercati caratterizzati da domanda sostenuta e barriere all’ingresso significative.
In presenza di dati macroeconomici incerti e costi in aumento, la robustezza del bilancio è un vantaggio competitivo insostituibile. Le aziende con pochi debiti e ampie risorse di liquidità resistono meglio alle fasi di stress e possono cogliere occasioni di consolidamento e innovazione quando i cicli si fanno turbolenti. È l’intersezione tra l’approccio quality e l’approccio low risk, quest’ultimo legato non solo al rischio di mercato ma anche alla prevedibilità dei flussi di cassa. (riproduzione riservata)
*equity portfolio manager Quaestio sgr
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