Irene Sanesi non solo è un’economista della cultura e un’affermata commercialista, è una donna determinata e capace. E ama scrivere. Il suo ultimo libro si intitola Consideriamo la nostra semenza. Dante, Leopardi, Manzoni e il management: lo ha appena pubblicato la prestigiosa Il Mulino e sarà presentato in anteprima a Prato mercoledì 11 giugno alle 18.30 al San Niccolò. Quando si parla di management ci si dimentica che la radice della parola è latina, da manus, opera, lavoro. E’ questo che spiega il volume, in cui Sanesi rilegge in particolare la Divina Commedia, i Canti e I promessi sposi di Manzoni attraverso la lente manageriale e parla di strategia, leadership, comunicazione, utilizzando brani e personaggi di queste opere, fondamentali per crescere come persone.
Perché ha sentito esigenza di scrivere questo libro?
“Per due ragioni: perché è necessario ribadire che non può esserci buona economia ed un management giusto senza una visione e un approccio umanistico; perché l’ho sentito crescere in tutti questi anni dentro di me ed era arrivato il tempo”.
Come è riuscita a scriverlo tra lavoro, incarichi e famiglia?
“Quando si crede fortemente in quello che si fa il tempo si trova. Non ho mai condiviso troppo la frase: è questione di qualità e non di quantità, riferita al tempo. Ogni cosa ha bisogno del tempo necessario perché sia ben fatta. Ciò che davvero conta quando stai su una cosa è la tua concentrazione, attenzione a passione. Devono essere totalizzanti. Se ci riesci trasformi tutto in energia, e chi ti sta accanto lo capisce e si sente parte del tutto. Mio padre avrebbe però risposto in un altro modo…”.
Come?
“Una volta, lui che è una persona riservata e di poche parole, in mezzo a molti uomini che mi ponevano la stessa domanda, rispose: Si vedeva fin da piccola che aveva una marcia in più… Non so se ho una marcia in più, di sicuro sono capace di impegno e organizzazione, e ho una famiglia che mi sostiene e mi incoraggia”.
Perché il suo libro può essere di stimolo?
“Basta scorrere l’indice per accorgersi di come i classici siano assolutamente contemporanei. La strategia è per Dante l’impresa che fu nel cominciar cotanto tosta e per Leopardi diventa la capacità di immaginazione (io nel pensier mi fingo) dell’Infinito. Più in generale, per ricordarsi sempre che un management senza humanities non è possibile, per non dimenticare mai che la cultura è fondamentale per continuare ad innovare e a crescere”.
E Prato, come la vede?
“E’ la mia radice profonda. Mi basta sfogliare gli album delle foto di famiglia che è pratese da generazioni per coglierne le grandi trasformazioni. Un po’ di amarcord ci rende più lieve la constatazione di alcune criticità a partire dall’insicurezza e dal degrado in un contesto economico di grave crisi”.
Cosa manca alla città?
“I pratesi sono unici, abbiamo bisogno di una maggiore assunzione di responsabilità personale e collettiva che manca purtroppo anche a livello globale. Non è l’integrazione che aiuta a crescere se pensiamo significhi confondere le identità, senza dare valore profondo a ciascuna. Non abbiamo bisogno di una identità che rischia la rarefazione. Sono necessarie politiche che puntino al rispetto dell’unicità e all’unità”.
E da economista cosa pensa si dovrebbe fare?
“La ricetta anticrisi, se esiste, è culturale: consideriamo la nostra semenza. Lo riassumerei come fattore C: Cathedral thinking, il pensiero dei costruttori di cattedrali che avevano a cuore le generazioni future poiché molti di loro non avrebbero mai visto la conclusione dell’opera. Un fattore C da declinare in vari modi”.
Ad esempio?
“Culturemaking: arte, musica, teatro, cinema, biblioteche e non solo nei luoghi deputati ma anche fuori: nelle piazze, nelle fabbriche, nei luoghi di socializzazione e di lavoro. Una Competizione basata su un modello cooperativo: non si vince da soli ma insieme. Credibilità: abbiamo bisogno di persone coerenti in grado di incarnare modelli ed essere testimoni. Cammino, come quello che ha insegnato il sinodo universale: non conta solo il progetto, conta anche il processo, da accompagnare con Cura, Competenza, Condivisione, e portarci dentro le nuove generazioni”.
Come coinvolgerle?
“Non basta ascoltare i giovani, è necessario portarli dentro la cabina di regia. E’ uno dei progetti a cui sto lavorando: per cambiare paradigma bisogna riscrivere gli statuti”.
Altri progetti?
“Per BBS-pro, lo studio che ho fondato, abbiamo nuove sedi e progetti di sviluppo. Sto accompagnando in Italia la sfida del welfare culturale. Stiamo portando a conclusione il cammino sinodale. Quello che voglio fare è raccontato nel libro: coltivare talenti come ci si prende cura dei fiori nel proprio giardino, essere generosi nel proprio lavoro e aspirare a carismi più grandi, sentirsi adatte a questo tempo che ha bisogno di ciascuno di noi”.
Ha dedicato il libro ai suoi tre figli, alle loro ninnenanne con i classici.
“Leggere i classici ad alta voce è molto importante, non solo per condividerne potenza e bellezza, ma anche per scoprire cosa significhi incarnare un testo, dargli la propria voce interpretandolo anche con il corpo, farlo insieme agli altri. È quello che ho fatto quando sono nati i miei figli: la sera per addormentarli, intonavo le poesie di Leopardi o qualche brano di Dante e Manzoni, come antiche cantilene. Da adulti quali stanno diventando potranno rinunciare all’arte e alla poesia, sono però certa che non perderanno quanto da esse hanno appreso”.
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