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Referendum, il quesito sulla cittadinanza avvicina le posizioni di Cgil e imprese


Cittadinanza italiana: dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”: questo il testo del quinto quesito referendario sul quale i cittadini saranno chiamati ad esprimersi l’8 e 9 giugno, l’unico non strettamente legato al lavoro.

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Se le prime quattro schede (verde, arancione, grigia e rossa) si focalizzano su contratti, licenziamenti e responsabilità solidale in caso di infortunio, la quinta, quella di colore giallo, propone l’abrogazione dell’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.” , della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante “Nuove norme sulla cittadinanza”.

Una tematica che nel dibattito che abbiamo avviato da qualche settimana su Bergamonews tra Cgil e mondo delle imprese (qui le posizioni sui primi tre quesiti, mentre quelle sul quarto le si trovano a questo link), vede un avvicinarsi delle posizioni, che chiaramente in questo preciso contesto si rifanno molto di più a una visione individuale che a una collettiva.

Qui Cgil

La legge italiana, modificata in senso peggiorativo nel 1992, prevede che, per poter fare domanda di
cittadinanza, sia necessario dimostrare:

– di aver risieduto ininterrottamente in Italia per almeno 10 anni;
– di avere un reddito sufficiente per sé e per i propri familiari;
– di possedere competenze linguistiche di livello B1;
– di non avere pendenze penali né motivi ostativi alla sicurezza.

La legge stabilisce anche i tempi entro cui l’amministrazione dovrebbe comunicare l’esito della procedura: oggi sono previsti due anni, elevabili a tre. Tuttavia, questi termini vengono spesso ampiamente superati. Se a ciò aggiungiamo la discrezionalità dei comuni nel fissare — entro sei mesi dalla consegna del decreto — la data del giuramento, possiamo dire senza timore di essere smentiti che, per diventare cittadini italiani, servano dai 13 ai 14 anni.

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Negli ultimi 30 anni, generazioni di cittadini stranieri hanno scelto l’Italia come Paese in cui vivere, lavorare e creare una famiglia, contribuendo anche al suo sostegno economico.

Avere la cittadinanza italiana ed europea significa:

– poter circolare e soggiornare liberamente in tutta l’Unione;
– poter votare ed essere eletti;
– godere della tutela diplomatica e consolare di qualsiasi Stato membro in Paesi terzi;
– poter invitare i familiari e chiedere per loro un permesso;
– evitare costi, burocrazia e assenze da scuola o lavoro a ogni rinnovo del permesso di soggiorno.

L’obiettivo di questo referendum è intervenire sul “tempo”, riportando il requisito da 10 a 5 anni di residenza: com’era prima del ’92 e com’è tuttora nella maggior parte dei Paesi europei.

È la soluzione migliore a cui potevamo aspirare?

Se il referendum dovesse passare, la normativa cambierebbe solo sul requisito temporale. A differenza della proposta di legge sullo Ius Scholae — ferma in Parlamento dal 2022 — non verrebbe riconosciuta la specificità di chi è nato in Italia o vi è arrivato da bambino e ha frequentato la scuola. Bambini, bambine, ragazze e ragazzi resterebbero comunque soggetti ai requisiti dei genitori.

Quindi no, non è la soluzione migliore. Ma sappiamo che, spesso, il meglio è nemico del bene. Questo referendum resta un passaggio fondamentale, che dobbiamo portare avanti con ogni strumento a disposizione. È un segnale di civiltà che ci rafforzerà anche nella possibilità di osare, in futuro, riforme più giuste per tutte e tutti.

Qui imprese

Agostino Piccinali – Presidente Gruppo Meccatronici di Confindustria Bergamo

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Dei cinque, questo potrebbe essere l’unico quesito sensato, che potrebbe anche trovare imprenditori favorevoli nelle rispettive posizioni individuali. Una cittadinanza attribuita in tempi ragionevoli potrebbe anche consentire facilitazioni nella gestione della burocrazia lavorativa, lato documentale. Sullo snellimento burocratico, Confindustria dà anche supporto nel rinnovo dei documenti, però effettivamente alcuni impedimenti di tipo burocratico legato alle lungaggini ad oggi non facilitano i rapporti.

A Bergamo c’è comunque piena collaborazione delle autorità preposte alla gestione documentale: abbiamo delle risposte, ma alla fine anche i funzionari devono rispettare la normativa e se la legge oggi prevede tempi lunghi non possono farci nulla.

Paolo Rota – Vicepresidente Confindustria Bergamo

Da cittadino privato sono favorevole, come rappresentante di Confindustria posso invece dire che il sistema delle quote adesso non funziona. Va riformato e fatto in modo che sia più facile avere persone formate dall’estero. Se rifiuti di gestire la situazione, sarà la situazione a dominarti. Credo che l’unico modo per affrontare il problema sia mettere mano veramente alla necessità di nuovi lavoratori, creando le condizioni per una loro integrazione. Non è rifiutando il problema che si risolve.

Per approfondire

Mercoledì 4 giugno alle 10, al Mutuo Soccorso di Bergamo in via Zambonate 33, si terrà un incontro pubblico dedicato ai cinque referendum promossi dalla Cgil su lavoro e cittadinanza.

L’iniziativa, intitolata “Bergamo per i 5 SÌ”, vedrà la partecipazione di Valentina Cappelletti, segretaria generale della Cgil Lombardia, insieme a Marco Toscano, segretario generale della Cgil di Bergamo. Interverranno anche Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino, e Andrea Pioselli, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo Mazzi di Bergamo.

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I cinque quesiti referendari, su cui si è chiamati a votare l’8 e 9 giugno, pongono al centro il tema della qualità del lavoro, della cittadinanza e delle tutele per le lavoratrici e i lavoratori.

“Dobbiamo superare l’equazione secondo cui un mercato del lavoro moderno debba essere un mercato del lavoro con meno garanzie per i lavoratori – commenta Marco Toscano. – Le statistiche sull’occupazione, seppure importanti, non bastano a raccontare cosa significa lavorare con un contratto precario, o senza tutele contro i licenziamenti illegittimi. La differenza tra un contratto stabile e uno a termine si riflette nella possibilità di progettare la propria vita, partecipare all’attività sindacale, crescere professionalmente. Ecco perché il referendum non è un fatto tecnico, ma una battaglia civile. Votare SÌ significa scegliere un modello di società in cui il lavoro è davvero una leva di libertà e dignità per tutte e tutti”.

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