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Pasini: «Dazi zero con gli Usa, in Italia subito un tavolo sull’energia»


Sul fronte interno, il nodo critico per le imprese resta l’energia, con differenziali a nostro sfavore che si ampliano. Come reagire? Nell’energia elettrica paghiamo in media il 40% in più della media europea e questo è inaccettabile. I motivi sono vari, dal legame con il gas alle speculazioni finanziarie, ai costi indotti dai meccanismi Ets per la CO2. E poi si aggiungono le sentenze dei Tar, che riportano al punto di partenza le scelte regionali sulle aree idonee per le rinnovabili, scelte che alcune regioni come la Sardegna hanno definito in modo ideologico, assegnando un limite del 2% degli spazi del tutto insufficiente.

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Le proposte delle imprese vanno in più direzioni: eliminare le speculazioni sul gas così come i mercati Ets, semplificare le autorizzazioni per le rinnovabili, avviare il Paese nel percorso nucleare. E nell’attesa, disaccoppiare al più presto gas ed elettricità. Un percorso realistico? La conflittualità tra produttori e consumatori di energia non aiuta e dobbiamo tenere presente che alla fine si tratta di una questione dalle ricadute più ampie, che hanno che fare con il patto sociale del Paese. Ecco perché una soluzione va trovata: oggi si deve prendere atto che molte imprese, e non più solo le energivore, hanno costi insostenibili. La soluzione per comporre questi interessi si può trovare solo all’interno di Confindustria, dove è auspicabile l’avvio di un tavolo di confronto.

Dall’Italia all’Europa. La nuova Commissione pare aver cambiato rotta su regole e vincoli per le imprese verso il Green Deal. È soddisfatto del cambiamento? Una presa di coscienza nuova in effetti c’è: a Bruxelles e a Strasburgo si inizia a parlare una lingua diversa, anche se non con sufficiente convinzione e determinazione. Se la rotta verso la decarbonizzazione è giusta, non lo sono i tempi e i modi per arrivarci. Le multe per l’auto, ad esempio, sono state solo sospese, mentre andrebbero annullate. In generale mancano ancora risoluzioni concrete che traducano le intenzioni in fatti. E resto convinto che la via maestra debba essere quella della neutralità tecnologica, che noi imprenditori chiediamo da tempo, lasciando la libertà ai costruttori di raggiungere i target posti in modalità diverse. E mettendo da parte la demagogia, che si è concentrata su un settore, quello dell’auto europea, che vale meno dell’1% delle emissioni globali di gas serra.

Di fronte a questo quadro, alla luce di 26 mesi di produzione industriale in calo, come reagiscono le imprese? E come andrà il 2025? «Tra guerre, dazi e lentezza Ue sulle riforme si è creato un clima di incertezza diffusa che è la condizione peggiore, perché toglie i presupposti della crescita limitando la spinta agli investimenti. In prospettiva io però resto ottimista, soprattutto guardando al nuovo corso a Berlino, dove lo sblocco dei limiti al debito pubblico è stato un passaggio epocale, liberando in prospettiva 1000 miliardi di investimenti. Una ripresa di fiducia è già visibile e questa per noi è una buona notizia. Perché se riparte la Germania noi siamo in prima file per approfittarne.

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