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Plastica, riciclo meccanico ancora in recessione




Secondo Assorimap nel 2024 il fatturato delle imprese del riciclo meccanico delle plastiche è ancora una volta calato. Tra costi in aumento e prezzi in picchiata, il settore chiede interventi urgenti: più controlli sulle importazioni dall’estero ma anche meccanismi economici di sostegno alle imprese. Il presidente Walter Regis: “Lavoriamo a una proposta di supporti basati sul contributo del riciclo alla decarbonizzazione”


Nel 2024 in Italia sono state prodotte 833 mila tonnellate di polimeri riciclati, il +3,2% rispetto all’anno precedente. L’andamento delle vendite tuttavia non ha seguito lo stesso trend positivo, con i prezzi delle materie prime seconde rimasti fermi ai livelli di fine 2020. Poco più di 690 milioni di euro il fatturato dell’industria nazionale del riciclo meccanico, risultato di una lieve contrazione (dello 0,8%), ma comunque lontana dal drastico calo del 2023. È il ritratto che emerge dall’ultimo report Assorimap – l’associazione nazionale riciclatori e rigeneratori di materie plastiche aderente a Confimi Industria – realizzato da Plastic Consult e presentato giovedì scorso alla Fiera Green Plast a Milano.

I dati parlano di una filiera fragile, che risente dei costi energetici e di una forbice sempre più ampia tra l’aumento della capacità produttiva su scala Ue e i mercati di sbocco che non tengono il passo. Il risultato? Contrazione delle quotazioni e proliferare di importazioni ‘selvagge’ di prodotti low cost da Asia, Stati Uniti e Africa. A queste criticità si aggiunge anche il crollo dei prezzi dei polimeri vergini, che rischia di fiaccare ulteriormente un comparto chiave per la transizione ecologica. 

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Il report di quest’anno – ha dichiarato Walter Regis, presidente di Assorimap – conferma un trend di recessione per il nostro comparto. I mercati in qualche modo ci dicono che nonostante un aumento del riciclato, i fatturati continuano a scendere e portano le nostre imprese sempre più in una crisi preoccupante e ormai pluriennale”. Nel complesso i volumi ci sono stati anche nel 2024 – ha spiegato Paolo Arcelli, direttore di Plastic Consult – perché abbiamo registrato una crescita complessiva del 3,2 per cento, peraltro concentrata nel segmento del r-pet per tematiche normative. Il fatturato settoriale invece nonostante questa crescita dei volumi si è ridotto leggermente anche nel 2024, dopo il vero e proprio crollo che aveva coinvolto l’esercizio precedente. Il che vuol dire che la media dei prezzi di vendita è calata ulteriormente anche nello scorso esercizio. Se i volumi ci sono, il fatturato scende e i margini progressivamente stanno evaporando”.

Nel 2024 solo il segmento relativo al PET riciclato ha fatto registrare trend positivi di produzione e fatturato, con un ottimo recupero dei prezzi di vendita anche grazie all’applicazione dei primi target imposti dalla direttiva Single Use Plastics. La produzione complessiva di R-PET è aumentata del 17,2% nel corso dell’anno, superando le 230 mila tonnellate. “Un andamento collegato all’evoluzione della normativa – ha chiarito Arcelli – visto che nel 2025 c’è il primo appuntamento con la direttiva SUP che impone di utilizzare almeno il 25% di PET riciclato negli imballaggi per il beverage”. Sicuramente l’obbligo dell’utilizzo del riciclato ci potrà dare un aiuto – ha affermato Roberto Sancinelli, patron della Montello (Bergamo) – oggi c’è, ma solo nelle bottiglie in PET, mentre il 70% degli imballaggi post consumo è della famiglia delle poliolefine. Quando anche per questa fascia scatterà l’obbligo, ci darà sicuramente una mano nella domanda e a sostenere i prezzi e la marginalità. Purtroppo però questo termine è al 2030. La domanda è quanti morti e quanti feriti arriveranno al 2030, se andiamo avanti così”.

I nuovi obiettivi di contenuto riciclato possono essere una leva importante per rilanciare la domanda, ma rischiano di diventare un boomerang se non accompagnati da interventi per garantire la trasparenza del mercato. Tra le sfide più temute, infatti, resta quella delle importazioni incontrollate di plastiche riciclate e vergini, vendute sul mercato Ue a prezzi più bassi perché prodotte a costi – energetici e ambientali – inferiori e, soprattutto, in assenza di certificazioni sul piano sanitario e sul reale contenuto riciclato. Questione, questa, già portata all’attenzione dell’Ue in un appello lanciato da diciotto sigle industriali della filiera continentale della plastica. I riciclatori nazionali, ma non solo quelli nazionali – ha proseguito Arcelli – sono stretti da un lato tra i prezzi bassi dei polimeri e delle importazioni di polimeri da riciclo o spacciati per tali dal di fuori dell’europa, in assenza di tracciabilità. Non esistono nemmeno dei codici doganali specifici per i riciclati per poter individuare quali sono i paesi di origine e di provenienza”. 

Obiettivi di contenuto minimo e contrasto alle importazioni di polimeri low cost, da soli, potrebbero tuttavia non bastare a restituire competitività al mercato. Da qui la richiesta di strumenti di supporto economico basati sul contributo delle plastiche riciclate alla decarbonizzazione, sulla falsariga dei certificati bianchi per l’efficienza energetica. “L’associazione è impegnata nel fare una proposta che possa restituire la marginalità economica che alle imprese viene sempre più a mancare – ha spiegato Regis – vogliamo dare un valore ambientale alla nostra attività, al riciclo meccanico delle plastiche, in ottica di decarbonizzazione. Questa proposta potrebbe allinearsi anche con quello che l’Europa ha già riconosciuto con alcuni report”. “Siamo arrivati qui solo grazie all’iniziativa privata, al mercato, che ha reso possibile un’industria del riciclo – ha aggiunto Sancinelli – ora non possiamo più farcela da soli, abbiamo bisogno che la nostra attività abbia un riconoscimento e un sostegno normativo”.





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