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Esclusi digitali: l’altra faccia della modernizzazione


di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Unimpresa

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Tutto – o quasi – passa per uno schermo: la dichiarazione dei redditi, l’accesso ai servizi sanitari, la prenotazione di una visita, l’iscrizione a scuola, il pagamento di una tassa. La digitalizzazione ha reso molti processi più rapidi, più tracciabili, più efficienti. Ma ha anche generato una nuova frattura, silenziosa e trasversale: quella dell’esclusione digitale. Si tende a pensare che basti portare la fibra ovunque e distribuire qualche dispositivo per risolvere il problema. Ma l’accesso alla rete, da solo, non è sufficiente. Serve anche saperla usare. E soprattutto, saperla comprendere. In Italia milioni di persone, pur avendo una connessione, restano escluse dalla piena cittadinanza digitale: anziani, persone con basso livello di istruzione, abitanti delle aree interne, lavoratori poco qualificati.

Questa esclusione non è solo un ritardo tecnico: è una nuova forma di disuguaglianza sociale. Chi non sa usare il digitale non accede più ai diritti in modo paritario. Non può partecipare a un concorso, non può prenotare una visita medica in tempi utili, non può leggere un bando o esercitare una richiesta. Ed è qui che la modernizzazione rischia di diventare discriminazione. La Pubblica amministrazione, pur con tutti gli sforzi compiuti, spesso digitalizza senza semplificare. Pagine piene di acronimi, portali frammentati, procedure opache o ridondanti scoraggiano l’uso e generano frustrazione. Invece di facilitare la vita, complicano. E così molti cittadini si affidano ad altri – familiari, patronati, Caf – diventando spettatori passivi di una transizione che li esclude.

Il paradosso è evidente: mentre si parla di intelligenza artificiale, blockchain e metaverso, una parte rilevante della popolazione fatica ad attivare lo SPID, a gestire un indirizzo PEC o a firmare un documento digitale. Affrontare questa nuova diseguaglianza significa rimettere al centro la formazione. Serve una campagna nazionale di alfabetizzazione digitale per adulti e anziani. Serve introdurre la cultura digitale come materia trasversale nei programmi scolastici. Serve anche che le imprese – soprattutto le piccole – siano messe in condizione di aggiornarsi, accedere a strumenti semplici e formare il proprio personale.

In parallelo, bisogna ripensare la comunicazione pubblica: usare un linguaggio più chiaro, offrire supporto umano accanto a quello tecnologico, progettare interfacce accessibili. La tecnologia è uno strumento, non un fine. E deve adattarsi alle persone, non viceversa. La transizione digitale è irreversibile. Ma non è accettabile che lasci indietro chi non ha avuto la possibilità o gli strumenti per seguirla. L’innovazione che esclude non è vera innovazione: è un progresso zoppo, che approfondisce divari invece di colmarli.

L’inclusione digitale non è un dettaglio tecnico. È una nuova frontiera della giustizia sociale. E il modo in cui sapremo affrontarla determinerà la qualità democratica del Paese nei prossimi decenni. Far sì che ogni cittadino – indipendentemente da età, condizione o territorio – possa accedere pienamente ai propri diritti anche nel mondo digitale è una sfida che riguarda tutti. E che non possiamo permetterci di perdere.

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Ufficio Stampa Unimpresa
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