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Il piano Ue per attrarre lavoratori (e ricercatori) dall’estero


La volontà è quella di creare hub europei in grado di trasformare la ricerca scientifica in prodotti e aziende di successo. Bruxelles punta a coinvolgere grandi investitori, come fondi sovrani e assicurazioni, in un “patto volontario” per finanziare l’innovazione.

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Per attrarre imprenditori e lavoratori qualificati da fuori Europa, la Commissione ipotizza un piano per rendere più semplici l’arrivo e la permanenza di talenti stranieri. Al centro di questo intervento c’è la riforma della Blue Card, un permesso di soggiorno europeo pensato per i lavoratori altamente qualificati, ma finora poco utilizzato.

A muoversi nella stessa direzione un programma da 500 milioni annunciato il mese scorso dalla presidente Ursula von der Leyen, pensato per attrarre ricercatori di alto livello – in particolare dagli Stati Uniti – approfittando anche dei recenti tagli ai finanziamenti per le università americane. D’altronde le minacce del governo Usa all’indipendenza degli atenei stanno diventando reali e stanno spingendo molti ricercatori a porsi il problema di dove continuare il proprio lavoro.

In Italia un bando da 50 milioni di euro è stato appena rivolto a chi opera in università o centri di ricerca fuori dall’Italia e vuole trasferirsi, o rientrare, nel nostro Paese per sviluppare il proprio progetto.

Lo stanziamento rientra tra le misure previste dal ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, per potenziare l’attrattività del sistema accademico e della ricerca italiano. Una “quota pari al 40%” dello stanziamento complessivo è stata destinata specificamente ai progetti nelle regioni del Mezzogiorno.

Il bando è riservato a vincitori dei bandi ERC Starting Grants o ERC Consolidator Grants, i programmi finanziati dall’European Research Council, destinati a ricercatori di eccellenza di ogni età e nazionalità che intendono svolgere attività di ricerca di frontiera negli Stati membri dell’Ue o nei Paesi associati.

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La questione si lega a doppio filo alle agevolazioni fiscali destinate a chi rientra in Italia. Una misura che parte dal governo Renzi e si è poi prolungata negli anni per consentire ai cervelli di rientro di non pagare le tasse per alcuni anni e compensare così i salari più bassi che si percepiscono nel nostro Paese.

Il problema è che l’Italia non investe molto nella ricerca. Rimanere può essere conveniente in alcune nicchie, ma per il resto la mancanza di programmazione e di fondi ha fatto danni terribili. Possono però accedere all’agevolazione fiscale i contribuenti che sono in possesso di un titolo di studio universitario o equiparato e “siano stati non occasionalmente residenti all’estero”. Soprattutto “abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno 2 anni continuativi”.

Il beneficio fiscale “per docenti e ricercatori consiste in un abbattimento della tassazione del 90 per cento per 6 anni”, a condizione che “il contribuente rimanga residente in Italia”. L’agevolazione sale a 8 anni nel caso in cui i docenti o ricercatori abbiano un figlio minorenne o a carico.

Sull’innovazione serve però da subito semplificare le regole. Oggi una startup che vuole espandersi da Milano a Berlino deve confrontarsi con normative nazionali completamente diverse su fallimenti, tasse e contratti di lavoro.

Per questo Bruxelles propone anche una sorta di status legale opzionale per le aziende innovative, con regole comuni in tutta l’Unione. S’ipotizza anche un portafoglio digitale europeo per facilitare l’interazione delle imprese con le amministrazioni pubbliche e la creazione di spazi protetti in cui le startup potranno sperimentare nuove tecnologie senza il peso immediato delle normative esistenti.



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