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Centromarca. L’industria di marca asset strategico per il Paese. Mutti: “La comunicazione sempre più determinante per costruire solidità e fiducia del consumatore. Il valore dei brand legato anche alla capacità di rispondere alle istanze sociali”


E’ quanto emerso dall’assemblea annuale dell’associazione che, con Swg, ha realizzato un’indagine sul vissuto degli italiani rispetto ai cambiamenti in corso nelle politiche per il cittadino, nella dinamica dei consumi, nel mondo del lavoro e sull’evoluzione del ruolo della moderna industria di prodotto. La marca assume sempre più il ruolo di attore sociale, protagonista dei consumi, strettamente legata al mondo e al benessere dei lavoratori. L’etica deve entrare nella vita aziendale per migliorare ambiente, ambizioni e capacità attrattive verso i talenti. Impegno nella sostenibilità, investimenti nella comunità, difesa della tradizione italiana e visione internazionale sono i quattro valori più riconosciuti dagli italiani come fondanti dell’identità di Marca.

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Centromarca fa 60 (anni) e lancia il primo forum per i beni di largo consumo che si terrà a Roma il 15 ottobre. Ad annunciarlo il Presidente dell’associazione Francesco Mutti durante la Conferenza annuale dell’associazione andata in scena il pomeriggio del 9 giugno a Milano.

Nel suo intervento Mutti ha toccato differenti questioni. Ai nostri microfoni il presidente ha posto l’attenzione proprio sul tema della comunicazione di qualità e su come essa sia divenuta sempre più fondamentale per dare solidità alla marca e cooperare alla costruzione della fiducia del consumatore. Dinamiche ben conosciute, ma che trovano sostanza reale anche nei dati emersi dalla ricerca commissionata dall’associazione che certifica come il 55,4% delle aziende manterrà invariati gli investimenti nel 2025, mentre il 34,7% li rafforzerà.

“Nel momento in cui esiste un’identità forte, nel momento in cui esistono dei prodotti con un’unicità assoluta, è molto importante che questi vengano portati a conoscenza del pubblico per illustrarne gli elementi che li contraddistinguono. È inevitabile che l’intersecazione tra marca e comunicazione diventi un fenomeno determinante per il successo” – così sintetizza Mutti, il quale sottolinea come il racconto di brand continui a mutare come mai accaduto prima, ricordando come “Abbiamo sempre avuto una comunicazione molto monodirezionale. Ma oggi il consumatore è attivo, capace non solamente di ascoltare, ma di chiedere, ricercare, porre domande alle quali l’azienda inesorabilmente deve saper rispondere. In questo contesto la marca deve emergere per la propria capacità di trasparenza e dialogo nei confronti del consumatore stesso.”

Alcuni dei temi cardine della conferenza sono stati l’etica e la centralità della persona all’interno delle aziende, la capacità dei talenti di creare valore aggiunto, di come i brand debbano divenire sempre più attrattivi per i lavoratori al fine di garantirsi un capitale umano in grado di mantenere, sviluppare e far progredire i successi di marca.

Secondo la visione dell’Amministratore Delegato di Mutti SpA, sempre di più occorre rivedere proprio il ruolo dei beni di largo consumo nella capacità di attrarre talenti. “Dobbiamo ritornare a quando i grandi marchi erano la prima fonte di attenzione da parte delle persone che uscivano dalle Università. È un compito, un dovere delle aziende, dei brand, riuscire a dialogare nuovamente con i giovani affinché ritornino a essere la prima scelta nelle loro possibilità di impiego, con una prospettiva e voglia di futuro legato al marchio di cui fanno parte.”

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Sono molteplici le dinamiche e i fattori che la marche devono considerare e gestire per ottenere successo all’interno di mercati e situazioni globali incerti. Per Mutti tali elementi sono anche una grande opportunità perché: “Le grandi marche in un mondo che cambia possono essere ancor più un riferimento per il consumatore. Una possibilità per rimarcare una fiducia ben riposta.” Un’occasione che obbliga i brand a relazionarsi sempre più con un consumatore non più passivo, ma un attore attivo, consapevole e sempre più esigente. Una persona che si preoccupa della qualità dei prodotti, ma anche dell’impatto che questi hanno sulla mente e sulla società, che chiede alle imprese di essere non solamente un’eccellenza di prodotto, ma anche responsabili, trasparenti e sostenibili. “La marca oggi non è un semplice logo o un nome sul prodotto, è una promessa, una relazione, un modo di identificarsi. Il valore di un brand è sempre più legato alla sua capacità di rispondere alle istanze del presente, in particolare alla centralità della persona.” sottolinea Mutti.

Non solo elementi umani ma anche numerici, economici, di scenario sono stati raccolti del numeroso pubblico presente e approfonditi nelle news dedicate. Sappiamo come il 2024 sia stato un anno complesso, con molte incertezze internazionali che hanno frenato in parte la ripresa economica. Il mercato interno è rimasto debole, penalizzato dalla riduzione del potere di acquisto delle famiglie, mentre l’export italiano ha continuato con un buon trend di sviluppo nonostante i rischi legati alle tensioni internazionali. Secondo le previsioni della Commissione Europea per il 2025, l’Italia avrà una crescita attorno allo 0,7%, al di sotto dell’1% medio atteso per l’Unione Europea.

L’inflazione nel nostro Paese dovrebbe attestarsi all’1,6%, secondo la Banca d’Italia: un livello stabile inferiore alla media dell’area euro che viaggia attorno al 2,2%. Nel 2024 i consumi fuori casa hanno evidenziato un andamento costante, mentre il comportamento di acquisto dei consumatori si è caratterizzato per l’adozione di nuove strategie di contenimento della spesa variando in modo significativo le probabilità di acquisto, aumentandone la frequenza (+3,9% vs 2023), e diminuendo il numero di unità acquistate per singolo prodotto, meno 3,2%. Nel 2025 tuttavia, secondo l’osservatorio di Centromarca, iniziano a emergere segnali incoraggianti, in particolare per quanto riguarda la GDO.

 

L’Assemblea di Centromarca è stata l’occasione per presentare i dati di un’indagne svolta dall’Associazione in collaborazione con Swg, sul vissuto degli italiani rispetto ai cambiamenti in corso nelle politiche per il cittadino, nella dinamica dei consumi, nel mondo del lavoro e sull’evoluzione del ruolo della moderna industria di Marca nei nuovi contesti.

 

La Marca come attore sociale – Dallo studio emerge che per il 71% degli italiani le marche più note sono dei veri e propri attori sociali, che possono contribuire attivamente al benessere collettivo in una fase di intensa trasformazione del welfare. La gran parte della popolazione (81%), per altro, ne riconosce l’impatto positivo dell’attività sull’economia e le considera motori di sviluppo, occupazione e innovazione. I valori distintivi dell’industria di Marca assumono particolare rilievo quando si tratta di individuare le caratteristiche dell’azienda in cui si vorrebbe lavorare. La Gen Z, per esempio, tende a orientarsi verso imprese impegnate nella sostenibilità e con una visione internazionale, mentre i Baby Boomers si riconoscono in realtà che difendono la tradizione italiana e investono nelle comunità in cui operano. È importante sottolineare che “impegno nella sostenibilità”, “investimenti nella comunità”, “difesa della tradizione italiana” e “visione internazionale” sono i quattro valori più riconosciuti dagli italiani come fondanti dell’identità di Marca. Non si tratta di valori alternativi, ma complementari: possono coesistere e insieme costruire un’identità aziendale più ricca, credibile e sfaccettata, capace di parlare a pubblici diversi, uniti dalla ricerca di senso e appartenenza.

 

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La Marca protagonista dei consumi

La scelta di acquistare un prodotto di Marca oggi non è solo una questione di qualità: è una dichiarazione di intenti. Per metà degli italiani, privilegiare un brand significa “prendere posizione”, scegliere aziende che rispettano standard elevati, non solo produttivi, ma anche etici e valoriali. Il fenomeno è particolarmente marcato per le nuove generazioni: il 55% della Gen Z e il 56% dei Millennials considera l’acquisto un modo per sentirsi parte di qualcosa di più grande. Non si tratta di “semplici” consumatori, ma di tribù digitali che si riconoscono nei valori della Marca, la seguono, la condividono, la vivono.

In questo scenario prende forma la phygital revolution: il 91% degli italiani utilizza il digitale lungo il processo d’acquisto. Il 53% confronta i prezzi online, il 47% cerca informazioni su caratteristiche e recensioni, ma poi vuole toccare, vedere, sperimentare. Infatti, il 29% sceglie ancora di concludere l’acquisto nel punto vendita fisico. Si rivelano marche vincenti quelle capaci di creare esperienze significative, che parlano alle persone, che costruiscono identità.

 

La Marca e il mondo del lavoro

Negli ultimi dieci anni, il sogno dell’imprenditoria autonoma ha subito un forte ridimensionamento, passando dal 45% al 33% di preferenze, mentre cresce l’attrattiva per il lavoro dipendente, segno di un profondo cambiamento culturale nelle aspettative delle persone. Tuttavia, nonostante questo mutato scenario, il tema del reperimento di manodopera qualificata resta centrale per molte aziende.

L’ultima Indagine Congiunturale Centromarca, realizzata in collaborazione con Ref Ricerche sulle industrie associate, rivela che il 19,5% delle imprese ha avuto frequente difficoltà nel trovare personale qualificato negli ultimi due anni; il 61,0% “qualche volta”. Solo un marginale 2,5% afferma di non aver mai incontrato problemi di questo tipo. È un chiaro segnale del disequilibrio esistente tra domanda e offerta di competenze. Ecco perché costruire un’identità d’impresa attrattiva, inclusiva e capace di ispirare fiducia rappresenta una leva competitiva fondamentale per attrarre e trattenere i collaboratori.

L’indagine Swg evidenzia che un dipendente su due beneficia già di servizi offerti dall’azienda in cui lavora. Potendo scegliere i lavoratori esprimerebbero preferenze precise: il 53% opterebbe per i rimborsi medici, il 42% sceglierebbe le convenzioni sanitarie e il 27% indicherebbe viaggi e soggiorni di cui usufruire nel tempo libero. La preferenza per servizi che contribuiscono alla costruzione del proprio benessere personale emerge in modo nitido.

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La ricerca fotografa anche l’impatto dell’intelligenza artificiale, facendo emergere un paradosso generazionale: la Gen Z, pur essendo nativa digitale, è quella più spaventata dall’IA. Chi è cresciuto con la tecnologia sembra percepire maggiormente i rischi in ambito lavorativo, rispetto alle generazioni che l’hanno incontrata più tardi nel loro percorso professionale.

Ma come vedono gli italiani il futuro del lavoro con l’arrivo dell’IA? Il 42% prevede un aumento del livello delle competenze richieste; un altro 42% immagina una maggiore efficienza e produttività; il 41% teme una diminuzione dei salari; il 40% auspica una riduzione dei carichi e dei ritmi di lavoro. In questo scenario complesso, l’industria di Marca ha una missione chiara: diventare una palestra di futuro, un luogo dove l’innovazione non fa paura, ma si traduce in opportunità concrete per le persone. Non più solo datori di lavoro, ma architetti del domani.



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